Intervista di Stefano Labbia alla cantautrice Sara Jane Ceccarelli: anima, cuore e graffio di una voce pura
Sara Jane Ceccarelli è una cantautrice entusiasta. Una cantante d’altri tempi, direbbero alcuni, pur vivendo appieno ogni potenzialità che il nuovo millennio offre.
Il suo disco d’esordio, “Colors” è qualcosa di intimo, magico e potente. Graffia, ruggisce delicatamente. Pezzi di vita, pezzi d’anima. Pezzi di colore.
Sara è italo canadese ed ha studiato musica classica per anni. Balzata alle cronache con il gruppo de l’Orchestra nazionale Jazz giovani talenti nel 2014, ha collaborato ed ha avuto l’onore di dividere il palco con grandi artisti tra cui: David Riondino, Natalio Luis Mangalavite, Monica Demuru, Erri De Luca, Claudio Santamaria, Paolo Briguglia, Gino Castaldo, Mario Tronco, Paolo Damiani, Eugenio Bennato, Andrea Satta e i Tetes de Bois, Gabriele Mirabassi, Roberto Taufic, Francesco Bolo Rossini e molti altri.
Sara è il manifesto di una generazione caparbia, capace e piena di voglia di emergere. Ha accettato di buon grado questa intervista in cui si confida, ci svela aneddoti e si dice innamorata della musica sin da tenera età…
S.L.: Sara, grazie per averci concesso questa intervista!
Sara Jane Ceccarelli: Stefano grazie a voi, sono e siamo molto emozionati di aver ricevuto tante recensioni e feedback da critici e giornalisti.
S.L.: Sara e la musica: com’è iniziato tutto? Quando hai capito che non avresti potuto fare a meno della seconda arte?
Sara Jane Ceccarelli: Tutto è iniziato tanto tempo fa, ma la scelta di fare della musica il mio mestiere è molto recente.Il mio primo concertino in piano solo l’ho fatto a 5 anni, e la musica ha sempre fatto parte della mia vita (mio padre è pianista, e mio fratello nonché socio di lunga data è chitarrista e arrangiatore/compositore). Ma non l’ho mai concepita come un mestiere, e ho capito perché: era un salto nel vuoto, un vuoto che per lungo tempo mi ha spaventata, e che ora è diventato qualcosa di emozionante, e stimolante nella sua spesso indefinitezza.
S.L.: Che musica ascolta Sara Jane Ceccarelli in privato? E quanto i tuoi ascolti, in qualche modo, ti condizionano durante la composizione dei tuoi brani?
Sara Jane Ceccarelli: Ascolto musica molto diversa, ma solo in certe situazioni, ovvero mentre faccio altre cose, ad esempio in auto, mentre sono in compagnia, e sotto la doccia. Difficilmente mi metto lì ad ascoltare musica come unica cosa, ho un rapporto particolare con l’ascolto. Questi giorni ho scoperto un nuovo gruppo brasiliano che canta in italiano, i Selton, e come solito poi mi “chiudo” e ascolto tutto quello che hanno fatto. Da 3 anni nello stereo in bagno ci sono i vari dischi dei Police. Qualcuno ha detto che “si sentono i Police” in qualche brano del mio disco… bene! Ho ascoltato talmente tanta musica e così diversa che veramente non saprei dire se ho un riferimento nella scrittura. E ammetto anche di aver cominciato a comporre da pochi anni, per cui a chi mi ispiro lo devo ancora scoprire!
S.L.: Come nascono i tuoi testi? Sono sempre legati alle tue emozioni, alle sensazioni della vita presente e passata di Sara o sono legati a ciò che vedi, magari in un film o ad altro?
Sara Jane Ceccarelli: Spesso i miei testi nascono di getto, ad esempio per il brano Colors ho acceso il registratore,“immortalato” una prima take che conteneva esattamente la musica e il testo che ascoltate nel disco. Ora lavoro diversamente, e ho meno paura di tradire l’idea originale, ma per questo primo disco era come se dovessi ai miei brani un rispetto totale e incondizionato. In Only me ad esempio la commistione tra italiano e inglese nasce dal fatto che il brano nasceva in italiano, arrangiato completamente in un’altra maniera. Poi l’abbiamo reso più “acido”, aggiunto elettronica e sax baritono, e messo un testo in inglese. Ma qualche frase dell’esordio dovevo utilizzarla, e ho dovuto litigare col mio socio Luigi Di Chiappari che non accettava questa cosa! Altri testi come Be Human li ho scritti a 4 mani con Anne Geersten, e devo dire che è stato bello partire da un canovaccio esistente, mi permetteva di avere un filo conduttore. The man who drew bodies in the water, dedicata al pittore Nicola Rotiroti, è nata così come la leggete, ho cambiato una frase. Per ora so lavorare così, poi magari cambierò modalità…so solo che per me la lingua è prima di tutto suono, al servizio della musica. E so che è un approccio diverso da chi invece vive la musica al servizio della parola… ci si rispetta tra autori.
S.L.: Parliamo di “Colors”, disco rilasciato a Settembre da iCompany: cosa troviamo di Sarah al suo interno? Ed in qualche modo “esporsi”, scrivere di sé, in un disco, quanto è rischioso, se lo è? L’inglese aiuta in questo? Protegge un po’ di più, rispetto all’italiano, alla propria lingua madre, per così dire?
Sara Jane Ceccarelli: Il mio primo disco non parla di cosa sono stata, ma di cosa sarò, forse. Un esperimento un po’ al contrario, ma che ben racconta di me. Sono un essere in perenne divenire, con i pro e i contro che questo può avere. Ma non è deciso a priori, è istinto. E quindi ogni cosa include il passato e butta un occhio al futuro, per raccontare un presente che cerco di tenermi stretta (mentre ero a studio già pensavo che il prossimo disco lo volevo fare R&B…solo per dare un’idea). I testi parlano in qualche modo di me, anche le cover che ho scelto. Di una idea dell’esistenza che io credevo solo gioiosa e armonica ma che poi ho scoperto essere un po’ più dura, complessa ma estremamente affascinante per questo. E non è stato facile accettare di espormi, perché per anni io ho solo interpretato brani di altri, e si è molto più protetti. Una Winter lady Leonard Cohen che “ha scelto il suo viaggio tempo fa” o una Be Human in cui pensare di essere sporchi, stanchi, impulsivi, scorretti, semplicemente permettendo a noi e agli altri di essere umani. Only me (and who doesn’t bother me) che è un grido allo stress altrui, da tenere sempre a debita distanza, e Nothing really ends before we die un canto di “speranza” per dire che abbiamo ancora tempo, con un testo scritto dalla danese Anne Geersten amica e collega preziosa. L’inglese è la mia prima lingua, e l’ho considerata per anni più musicale, forse perché cantavo quasi esclusivamente in inglese. La forza dell’italiano l’ho conosciuta più avanti, così come quella di moltissime altre lingue in cui ho cantato e canto. Ma nel comporre e scrivere i miei primi brani ha prevalso l’inglese. Mia madre mi boccia parecchie licenze poetiche! E diciamo che non ho pensato di non essere compresa, perché ora l’inglese cominciano a conoscerlo tutti…
S.L.: Come ti vedi tra vent’anni?
Sara Jane Ceccarelli: Sempre curiosa, spero coi capelli non tinti (al più me li lascio tutti belli bianchi, ormai l’ho detto), a continuare a collaborare con tanti musicisti come mi piace fare ora.
S.L.: Un aneddoto particolare della tua vita di artista e “gitana” della musica.
Sara Jane Ceccarelli: Il giorno che ho registrato dei cori nell’ultimo album di Francesco De Gregori, dedicato a Bob Dylan, e lui mi ha preparato il caffè. Non lo volevo bere, lo volevo portare a casa. Un uomo meraviglioso.
S.L.: Domanda “Marzullesca”: La parola “coppia”, istintivamente, ti fa venire in mente due corpi o due anime?
Sara Jane Ceccarelli: Mi fa venire in mente due corpi, che se non si incontrano anche nell’anima restano due corpi.
S.L.: Progetti per il futuro?
Sara Jane Ceccarelli: Tante idee e nuovi progetti, uno spettacolo di teatro-musica con Davide Riondino sul quale ragioniamo da tempo, nuovi brani da scrivere, un tour da preparare…e spero sempre cose nuove, soprattutto collaborazioni che è la cosa che più mi diverte e gratifica.
Written by Stefano Labbia
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