Le métier de la critique: Calcutta, la città degli ossimori delle scrittrici Sujata Massey e Jhumpa Lahiri
“L’India assale, prende alla gola, allo stomaco. L’unica cosa che non permette è di restarle indifferente”. – Tiziano Terzani
La città dai mille volti.
La città dalle mille storie.
La città dalle mille lingue.
La città dalle migliaia di pagine di letteratura.
In un tempo lontano fu solo un villaggio sul fiume: casupole profumate di riso e cocco che i monsoni a volte trascinavano via in manate di acqua piovana.
Poi i villaggi divennero tre e, man mano, possenti mura cominciarono a cingere una città destinata a crescere per diventare la capitale delle Indie Orientali.
La chiamarono La San Pietroburgo dell’Est per i palazzi sontuosi: bianche cupole accarezzate, come seni di donna, dalle nuvole; guglie imponenti a penetrare l’acqua in si cui riflettono; colonne come braccia che si protendono verso l’alto, durante una danza.
Divenne sede di industrie, snodo di commerci e comunicazioni, salotto di cultura, fucina di rivoluzione contro la colonizzazione britannica.
Bombardata nella seconda Guerra Mondiale, risorta per urlare all’indipendenza, disseminata di poeti, sognatori e cadaveri orrendamente trucidati, affamata di riso e profumata di gelsomino, l’antica capitale dell’India è anche luogo in cui l’inchiostro si cristallizza su carta, perché piccole storie raccontino un’epopea universale.
La città dei mille romanzi.
“L’amante di Calcutta”, scritto da Sujata Massey ed edito in Italia da Neri Pozza nel 2014, è un romanzo storico di grande intensità che descrive gli ossimori di Calcutta attraverso gli occhi, a forma di fiore di Loto, di una fanciulla.
La protagonista, come la città, sperimenta il cambiamento d’identità e le contraddizioni che abitano un mondo in cui essere poveri, essere scuri ed essere donne è arduo, al punto da dover indossare il sari della reincarnazione senza che le proprie carni siano state ancora bruciate.
“La moglie”, scritto da Jhumpa Lahiri ed edito in Italia da Guanda nel 2013, si concentra sulle vicende che coinvolsero Calcutta a partire dagli anni ’60 dello scorso secolo, quando il movimento naxalita maoista muoveva i primi passi.
Entrambe le scrittrici hanno origini indiane, sebbene la prima citata solo da parte di padre, sono nate in Inghilterra e cresciute negli Stati Uniti e le loro opere, qui oggetto di analisi, sono state edite a breve distanza di tempo l’una dall’altra e hanno peculiari elementi in comune.
Entrambe mettono in scena la vivacità intellettuale delle donne indiane che si dividono fra il senso d’appartenenza ad una cultura dalle radici millenarie e l’interesse per il mondo occidentale e per l’espressione dell’arte e della letteratura oltre i confini della propria nazione.
Entrambe si soffermano a indagare l’amore viscerale, quello che percorre con un brivido la pelle d’ambra, incolla il cuore alla gola, pizzica il sonno nella notte.
Ed entrambe raccontano Calcutta.
La città del dolore, dell’emarginazione, della sperequazione sociale, delle lotte fra fazioni.
La città della gioia, come la definì Dominique Lapierre.
La città che è mille città, nelle cui vie ci si perde dietro a mille risciò, fino a trovare il punto per ritornare a casa: il punto che chiude l’epilogo del romanzo.
Written by Emma Fenu