“Il certo e l’incerto” di Clara Spada: l’eros è simbolo di un percorso di rinascita e scoperta del vero sé
“Il certo e l’incerto” è un romanzo in versione digitale di Clara Spada, edito da Logus nel 2013. La scrittrice, di origini sarde, scrive libri e articoli ad ampio raggio culturale e ha lavorato per RAI2.
Se c’è una certezza, talvolta è nascosta nel grembo dell’incertezza, cullata dai battiti della vita.
Stefano è un uomo di 45 anni che, oggi, definiremo “nel mezzo del cammin di nostra vita”.
È bello, nato nell’agiatezza, affermato professionalmente, stimato, impeccabile, controllato.
Ha una moglie del tutto complementare: bella, intelligente, ironica, passionale, imprevedibile e sensuale.
La loro vita di coppia è felice e la loro intesa sessuale è perfetta.
Una mattina, Stefano si sveglia fra lenzuola sconosciute, accanto ad un corpo addormentato con cui ha consumato un tradimento mosso da mera pulsione sessuale.
La scrittrice, Clara Spada, nel definire lo stato del protagonista, usa il termine “bozzolo” ad inizio e fine romanzo: il messaggio è ben chiaro, si tratta della storia di un bruco che diventa farfalla.
L’amplesso diviene il non-luogo dove ci si spoglia dei vestiti e delle apparenze e ci si abbandona nell’orgasmo che è potenza vitale e simbolo di rinascita.
Eros, infatti, essendo, secondo il platoniano “Simposio”, generato da Poros (ricchezza) e Penia (povertà), esprime proprio l’impossibilità dell’onnisciente padronanza della verità, poiché esso si muove in moto continuo fra il certo e l’incerto, tendendo verso l’assoluto.
Eppure il “bozzolo”, connesso ad altri precisi elementi simbolici quali la caverna e l’acqua, ed altri più espliciti, quali la vagina, la bocca e il seno, è anche connesso alla visione della madre quale ventre accogliente e certo nel quale il maschio cerca rifugio e piacere.
Nell’arco di uno spazio temporale ridottissimo, Stefano uscirà dalla forzata adesione al modello maschile paterno, osservato e introiettato da bambino, disteso sotto il tavolo mentre il genitore seduceva le commensali a poca distanza da una madre idealizzata, diventando se stesso.
«Ho imparato una grande verità: il mondo non può dividersi in bianco e nero, in lecito e illecito, in bene e in male. Esistono tante gradazioni, sta a noi scoprirle. In esse è racchiuso l’equilibrio dell’esistenza, il prezioso dono della tolleranza e del rispetto, il solo, insieme con l’amore, a distinguerci tra i viventi rendendoci degni di aspirare all’eterno infinito, di sollevare il capo per guardare il cielo con la speranza di raggiungerlo».
L’epilogo del romanzo “Il certo e l’incerto” per i più sarà del tutto imprevisto; io, ad onor del vero, lo ho immaginato fin dalle prime pagine e, per questo, ho ancora più apprezzato “l’affinità elettiva” che si è creata.
L’autrice, infatti, non nasconde una predilezione per Goethe, a volte palesandola citando Faust, a volte limitandosi a denominare “Margherita” una bottega di scarpe artigianali presso il quale il padre di Stefano si riforniva.
E non scomodiamo né Freud né Cenerentola per comprendere l’allusione contenuta nell’atto di calzare il piede in un involucro di morbida pelle preziosa.
Written by Emma Fenu
Ho letto “Il certo e l’incerto” qualche anno fa, e non l’ho mai dimenticato. Per la bellezza della forma e per la raffinatezza del contenuto. Non avrei mai immaginato l’epilogo, ed è arrivato a sorpresa, strappandomi una risata sommessa e pensierosa.