“Quincas Borba” di Machado de Assis: il più grande scrittore brasiliano del XIX secolo
“La natura umana è capace di qualsiasi cosa”
Joaquim Maria Machado de Assis ebbe una grande importanza storica ed è anche più famoso di José de Alencar perché ha introdotto in Brasile una nuova dimensione nello stile, uno stile moderno. Machado era un autodidatta e la cultura lo ha aiutato a capire la vita e ad amarla. Egli fece del lavoro letterario una passione: la letteratura deve aiutare l’uomo a diminuire la propria alienazione e quella del prossimo. Il memoriale di Ayres (1904) è un libro autobiografico. Scritto a quattro anni prima della morte dell’autore.
Machado è considerato il più grande scrittore brasiliano dell’800 non è il più grande romanziere brasiliano perché i romanzi dell’800 dovevano seguire determinate regole e non lasciarsi trasportare da considerazioni personali, filosofiche, ecc. tutto quello che piaceva fare a Machado. Dopo la perdita della moglie, che gli era stata compagna tenerissima, Machado, tormentato moralmente e fisicamente, rallentò l’attività letteraria. Nel memoriale di Ayres volle immortalare la soave figura della moglie attraverso la descrizione dell’accordo perfetto di una coppia di vecchi sposi senza figli. È comunque il libro di un uomo che si avvicina alle soglie dell’al di là e si placa col distacco di chi sente allentarsi i vincoli che lo legano ad un mondo di affanni e di lotte inutili. Altri suoi libri: Memorie dell’al di là (1880), Don Casmurro (1899), Esaù e Giacobbe (1904).
Quincas Borba, che dà il nome al titolo del romanzo Quincas Borba, signore dell’800, è un naufrago della vita, un tipo strano, che avrebbe dovuto sposare la sorella di Rubião, Maria de Piedade che presto muore per una pleurite. È l’inventore di una teoria filosofica: crede nell’Humanitas, principio della vita che si trova ovunque, esiste anche nel cane, e perciò questo può avere il nome di un uomo, sia cristiano che musulmano (p. 19). Infatti, Quincas Borba ha per amico un cane che chiama col suo stesso nome.
La dottrina dell’humanitismo, un seguito del positivismo, afferma che la vita è una lotta e gli uomini si divorano tra loro. Al contrario di tutti i filosofi, Quincas Borba muore ricco. Così Rubião finirà con l’essere l’unico amico del filosofo. Ma, ahimè, una malattia (aveva un granello di follia?) lentamente consuma Quincas Borba.
Benché ammalato, Quincas esce per fare lunghe passeggiate, viaggia e decide di andare a Rio. Dopo due settimane giunge a Barbacena una lettera da Rio de Janeiro in cui Quincas dichiara di essere Sant’Agostino ma poco dopo Rubião riceve la notizia della morte del cognato: È morto ieri il signor Joaquim Borba dos Santos, dopo aver sopportato la sua malattia con eccezionale spirito filosofico. Era un uomo di vasta cultura e si affannava a lottare contro quel pessimismo bilioso e meschino che un giorno si insedierà fra noi: è la malattia del secolo. L’ultima sua dichiarazione fu che il dolore è un’illusione, e che Pangloss non era tanto sciocco come volle far credere Voltaire… Era già in delirio.
Lascia un patrimonio ingente; il testamento è a Barbacena (p. 30). Quincas vorrebbe lasciare i suoi averi al cane ma li lascia al suo amico, Rubião che non crede alla propria fortuna, ma c’è una clausola: quella che l’erede tenesse presso di sé il suo povero animale…. Allora c’è da chiedersi: è realmente malato o è pazzo? Machado coglie in Borba le proprie fasi oscure di epilettico, sdoppia la propria figura e osserva in Borba quello che avrebbe potuto essere lui stesso, se una piccola spinta l’avesse fatto cadere in quella rovina. Rubião vero protagonista del libro, che senza Borba sarebbe stato un altro uomo e la sua vita avrebbe preso un’altra direzione, si innamora perdutamente di Sofia, donna maritata di grande bellezza: Machado si rivela nei suoi romanzi grande ammiratore delle donne e si ferma spesso sui particolari, specialmente sulle braccia, su cui scrive anche dei racconti: Le braccia nude, piene, con toni di un oro pallido, si univano alle spalle e al seno tanto avvezzi alla luca a gas della sala (p. 112). C’è un gusto vittoriano quando lo scrittore parla delle spalle di Sofia. Sin dall’inizio del romanzo, Rubião si rende simpatico per la sua debolezza e passione per Sofia e per l’amore sincero non corrisposto che lo rendono umile, più umano. Machado è un autore che coinvolge il lettore che non giudica Quincas debole ingenuo (ricorda il Candido di Voltaire) o sprecone, anzi è pervaso da una commozione speciale e profonda, da un senso di simpatia universale. Il disprezzo va ai suoi falsi e interessati amici, il lettore è dalla sua parte in quanto, incurante delle cose terrene, della volgarità, della superficialità. Il danaro non lo interessa, non si lascia afferrare dalla realtà, è un sognatore (il lettore ha nostalgia del cielo come lui) e nel suo delirio ha la sincerità della parola, è uno che vede davvero o ha visto quel che racconta (p. 224). Rubião aveva ora la fantasia (p. 204). Quincas Borba e Rubião hanno vite parallele: tutti e due professori ed ereditieri, tutti e due folli. Tutto ciò ci fa comprendere lo sfuggire dell’autore alle trame complicate, care agli scrittori del tempo, le personalità dei personaggi sono costruite lentamente e intercalate alle descrizioni dei personaggi stessi ci sono con squarci dell’ambiente in cui vivono e riflessioni e aneddoti. Questo lo separa da Balzac, che, nei suoi romanzi, prima descrive l’ambiente e da questo poi arriva al delinearsi dei personaggi. In questo romanzo c’è un interessamento al problema delle strutture sociali (si veda il caso della zitella oppure l’affermazione che un marito, anche se cattivo, è preferibile al più bel sogno, p. 183). Molti capitoli sembrano non avere importanza per la tecnica, ma si tratta di implicazioni sottili, perché dovute ad una grande meditazione.
Uno dei temi principali del romanzo è la pazzia, strettamente legato a quello dell’identità. La più grande originalità di Machado è quella di trattare il tema della follia senza nessuna inflessione retorica, è lineare e discreto e in questo c’è un’enorme forza a causa della visione tragica della vita che ha. La pazzia è quasi come una confessione indiretta, uno sfogo liberatore, una descrizione di momenti in cui il suo cervello sprofonda nell’abisso dell’incoscienza, oppure s’irrigidisce per resistere al male incombente. Rubião – il centro del romanzo – è o non è pazzo? La follia si insinua a poco a poco in lui, rodendogli il cervello fino allo sdoppiamento della personalità, che lo porta a identificarsi con Napoleone III e vede in Sofia l’imperatrice Eugenia. Ma solo nel momento in cui la pazzia esplode con intensità drammatica, il lettore si accorge che l’atmosfera di pazzia era stata preparata a poco a poco con un’arte sottile di trapassi e di gradazioni appena sfumate (si veda, per esempio, l’allusione alle parole dell’Amleto di Shakespeare, Benchè questa sia pazzia, pure in essa vi è un certo metodo, p. 164). Rubião è uno schizofrenico che dopo aver cercato invano una ragione di vita nell’amore, si rifugia nella beata incoscienza della follia. È un pazzo mite ma che per alcuni momenti ritorna cosciente quindi si pone il problema della frontiera tra la saggezza e la pazzia.
Un altro tema importante è quello della fragilità dell’uomo e di tutte le cose, affrontato da Machado quando fa il paragone fra il relativo e l’eterno, parlando del giardiniere e delle rose. La ricchezza, che sembrava dover causare la felicità di Rubião, si rivela essergli motivo di danno: non solo gli ha negato l’amore di Sofia, ma lo ha portato alla solitudine, al disprezzo, alla derisione e alla decadenza, in quanto viene sfruttato dai presunti amici, ospiti a casa sua che lo derubano e lo umiliano e da Palha, che con una scusa scioglierà la società creata con lui perché desidera liberarsi di un socio la cui crescente prodigalità potrebbe metterlo in pericolo e che non desidera affatto dividere con Rubião i guadagni futuri. Rubião per gli amici si sacrifica, rifiuta pranzi, gite, interrompe piacevoli conversazioni soltanto per correre a casa a pranzare con loro (p. 202). Un episodio che illustra questo tema è quando Rubião generosamente salva la vita di un bambino – avvenimento per Rubião di una certa importanza – avendone in cambio, alla fine del libro, derisione e disprezzo da parte della madre e del bambino stesso, irriconoscenti: Se non fosse stato per un tale che passava, un signore elegante, che era accorso subito a rischio della propria vita, sarebbe morto e stramorto (p. 264).
Machado ironizza sull’importanza della pubblicità e sottolinea la vanità umana (Vanità di questo mondo!). Infatti, Rubião manda copie del giornale ad alcuni amici. È sottolineata in special modo la vanità femminile che si incontra nel personaggio di Sofia che, senza mai lasciarsi andare né concedere troppo, né concedere nulla gioca con il proprio fascino, orgogliosa degli sguardi innamorati, delle lusinghe e delle parole d’amore che sa suscitare nei suoi ammiratori. Camacho è la classica figura dell’uomo banale e mediocre che pensa soltanto alla propria vanità, che si indentifica nell’arrivismo politico. Lo stesso Palha è preda di manie di grandezze, vuol farsi costruire una palazzina e pensa vagamente al titolo di barone (p. 196).
Il lucro e l’interesse materiale muovono alcuni personaggi: si riscontra tale tema in Palha (e gli amici) che, una volta sfruttato Rubião, non esita a dimenticare l’amicizia, i favori ricevuti, l’impegno preso (contratto della società) quando questi si avvia ormai verso la decadenza morale ed economica.
Quincas Borba è un capolavoro di stile, di letteratura, di umanità, di ironia e di humour. Rubião è un personaggio umano, vero. Nell’ultimo capitolo Machado rivela la sua ambiguità e tutte le sue altre caratteristiche: pessimismo, bontà. Ironia, ecc. Quincas Borba è visto come un simbolo del fallimento del pensiero umano, dell’umana morale e di ogni aspirazione verso l’immortalità. È una riuscita macchietta di filosofastro bohémien, di ricca nascita, di ambigua natura, ora mendicante, ora quasi criminale, e infine nuovamente agiato, ma per manovre non completamente lecite. Figlio di ricchi, educato, si dà al gioco e ai bagordi, perde tutto, vive di espedienti, si riabilita per una eredità, ricade nel torpore morale e fisico, cui fa riscontro la vivacità della mente che escogita sistemi. Per Machado l’uomo è solo e si deve aiutare con le sue forze; infatti dice: La Croce del Sud sta abbastanza in alto per non discernere le risa e le lacrime degli uomini (p. 278). Per lui è molto importante la grande curiosità dell’uomo e questo lo lega al lettore.
Tanti i Maestri di Machado che mostra grande cultura: Swift per quanto riguarda l’humour nero, funebre, feroce; Stendhal per quanto riguarda l’intuizione dei limiti della coscienza e della realtà; Molière quando denuncia tutti i tartufi del mondo; Balzac per il rapporto tra i personaggi e l’ambiente; Shakespeare. C’è più di un accenno a Shakespeare, per esempio quando si parla della tempesta. È curioso che Machado metta in scena Prospero e la frase in cui dice che le due isole sono diverse, cioè, malgrado le fantasie. Rubião agiva con elementi umani, mentre la commedia shakespeariana si svolge nel mondo degli dèi benché Ruabião, come Prospero, fosse fatto di carne e ossa (capitolo LXXXII). Ma si accenna anche dell’Amleto.
Machado è considerato il più grande scrittore brasiliano dell’800, ma non il più grande romanziere. È stato accusato di non brasilianità in quanto non parla dei problemi politici dell’epoca, ma egli aveva una cultura europea e la brasilianità significherebbe ridurre il paese ad una data forma. La sua brasilianità è provata dai suoi testi dove si ritrovano gli aspetti della psiche brasiliana. Non perde tempo a descrivere, non tratta la natura lussureggiante del Brasile e l’ambiente brasiliano perché affermava che nei romanzi di scrittori suoi contemporanei (José de Alencar in Guarani) l’esuberanza della foresta soffocava l’uomo, impedendo di penetrare nella sua interiorità con un’approfondita indagine psicologica.
Written by Fausta Genziana Le Piane
Fonte
Joaquim Maria Machado de Assis, Quincas Borba, Universale Rizzoli, 1967