FEFF 2016: al Far East Sezione Competition – “The Tag-Along” di Wei-hao (Vic) Cheng
Udine. Nella mattinata del mercoledì dedicato al cinema horror e affini, il FEFF 2016 ha presentato in première italiana il film esordiale del taiwanese Wei-hao Cheng (conosciuto anche come Vic).
“The Tag-Along” alla lettera significherebbe “colei che sta alle calcagna”, un chiaro riferimento al mosien (ossia il demone dal corpo di bambina) che in questa storia ama impossessarsi delle sue vittime tormentandone la coscienza e nutrendosi dei loro sensi di colpa.
È sceso dalle montagne con l’intenzione di recuperare le anime necessarie a surrogare quelle sottratte alla foresta fuori città, i cui alberi tagliati senza un buon motivo sempre esigono un immediato risarcimento.
Costituiscono i suoi obiettivi primari un giovane agente immobiliare e la sua pingue nonna, quindi la fidanzata di lui, conduttrice radiofonica, e tangenzialmente un guardiano notturno particolarmente legato ai riti scaramantici. Uno ad uno li travia e li rapisce, come avvenuto già con altri prima di loro, salvo poi rimetterli in libertà addossati a un nuovo carico di misteriose, spaventevoli esperienze.
Solo la giovane sembra in qualche maniera resistere allo spettro vestito di rosso, passando dall’essere una figura di secondaria importanza a ricoprire il ruolo di vera protagonista. Le di lei peculiarità su cui insiste il tormentoso essere infernale sono la refrattarietà allo sposalizio tanto desiderato dal compagno, ormai trascorsi 5 anni dall’inizio della loro relazione, e il timore di rimanere incinta prima del tempo. Il confronto obbligato con queste angosce avviene dapprima entro le mura di casa, quindi nel buio della spedizione montana organizzata per ritrovare i cari scomparsi.
Sfruttati i cliché del genere, l’incombenza del fuori campo, le apparizioni improvvise e sfuggenti, i vari rumoreggiamenti, il topos delle testimonianze digitali (scioccamente esposto e subito trascurato, così come la possibilità di fare di queste inquietanti manifestazioni una minaccia comunitaria invece che personale), i raccapriccianti pasti a base di elminti e lepidotteri, la solitudine e il disarmo che sopravvengono alla forza del gruppo, in breve una gran messe di idee lasciate senza seguito, la vicenda s’inanella in una serie di allucinazioni ed epifanie che molto hanno in comune, al punto di raggiungere un ricercato bailamme fra i piani della narrazione.
Oltre a ciò, restano solo caratteri cui non ci si affeziona quanto si vorrebbe sperare, risibili effetti speciali, una sbiascicata simbologia inerente la sfinge testa di morte, precedentemente assai meglio sfruttata ne “Il silenzio degli innocenti” di Jonathan Demme (1991).
Un prodotto dimenticabile quello del nostro Vic, il quale nelle ultime sequenze ammicca il pubblico con immagini che paiono mettere sull’avviso: “sarà davvero giunta al termine questa persecuzione?”. Francamente, non ce ne importa più di tanto.
Voto al film
Written by Raffaele Lazzaroni
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