FEFF 2016, Sezione Beyond Godzilla – “House” di Nobuhiko Obayashi
Il nome di Nobuhiko Obayashi per il pubblico medio occidentale significa poco o niente; per chi mastica il cinema giapponese, invece, è tanta roba: regista e sceneggiatore classe 1938, è stato uno dei pionieri durante gli anni ’60 della filmografia nipponica, arrivando ai lungometraggi dopo una carriera negli spot pubblicitari. E oggi è ancora considerato un mostro sacro dagli amanti del genere.
Al Far East Film Festival l’hanno celebrato lunedì 25 Aprile, con una serata dedicata a lui con la consegna del Gelso d’Oro alla carriera: con un spirito da ragazzino, a dispetto della longeva età, è salito sul palco per ritirare il premio e ha riservato a Udine e alla kermesse solo parole di elogio.
Applausi scroscianti per quell’ometto seguito da tutta la famiglia e che saluta il pubblico come una rockstar.
Ecco quindi che le luci si spengono e il Teatro Nuovo Giovanni da Udine diventa il palcoscenico di un ormai classico della cinematografia giapponese: il comico-horror “House” (“Hausu” il titolo originale, del 1977), opera che vide l’esordio di Obayashi come regista di un film e che è ricordata ancora come visionaria e innovativa per l’epoca.
Forse anche per oggi, verrebbe da dire guardando i primi minuti dove c’è tutto tranne un apparente filo logico.
Angel (Kimiko Ikegami) è una studentessa liceale che aspetta con ansia le vacanze estive, che trascorrerà insieme al padre vedovo. Ma prima di partire scopre ciò che avrebbe mai pensato: il genitore ha trovato un’altra donna e vuole che questa parta con loro.
La giovane rifiuta e decide di partire verso la casa della zia materna, che non vede da quando era una bambina: a lei si unirà il gruppo delle amiche, pronte per l’avventura.
Quello che le attenderà, però, non sarà un tranquillo soggiorno di piacere. Fin da subito, infatti, inquietanti segnali circondano le ragazze, rassicurate dalla zia “amorevole”.
La prima a preoccuparsi è Fantasy (Kumiko Oba), quando l’amica Mac (Mieko Sato) non ricompare più: andando a cercarla, ne troverà solo la testa mozzata in fondo al pozzo. Lei, sconvolta, tenterà di farsi credere dalle altre, ma nessuno le presterà ascolto.
Fenomeni trucidi simili si susseguiranno ancora e sempre di più, fino a quando la stessa Angel sarà vittima di quella casa dell’orrore.
E da lì il destino delle altre sarà segnato, nonostante gli strenui tentativi di tutte per resistere: ciò che le capiterà è talmente assurdo che in sala diversi ridono, anche se al sottoscritto il gelo nelle vene impedisce di abbozzare qualsiasi sorriso. Ulteriormente strozzato dal dilagante non-sense in tutta la pellicola.
Il montaggio e gli effetti speciali sono chiaramente di un’altra epoca cinematografica, ma nella loro peculiarità danno ulteriore sadismo al tutto che inchioda lo spettatore sulla sedia.
E risaltano ulteriormente se si scopre che “erano stati progettati espressamente da Obayashi affinché risultassero irrealistici, per intensificare l’atmosfera surreale del film e richiamare gli albori del cinema muto e l’opera di Méliès”, come ha scritto Marc Walkov.
“Ne vien fuori un film – continua il giornalista – che è la massima espressione di un bad trip adolescenziale, in cui gli incubi della figlia [del regista] Chigumi si fondono a riferimenti ai classici dell’horror forniti dalla sceneggiatrice Katsura Chiho e a provocazioni della controcultura fornite da Obayashi”.
Si intravvede poi un riferimento a una certa pervesione sessuale, tipica poi del cinema nipponico odierno: inutile trovare in tutto questo un unico volto, cattivo per giunta. L’horror è hipster nella mente di Oby.
Written by Timothy Dissegna
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