“Milano anni ’40 – I me’ ricord” di Ambrogio Rolandi: niente è più sacro delle proprie memorie
“Mio caro e vecchio Naviglio, tu che in tanti anni con il tuo lento incedere hai raccolto e portato via con te tutto quello che trovavi sulla tua superficie, puoi dire che hai sempre preso tutto, sì è vero, ma una sola cosa non potrai mai prendere e portare via…i me’ ricord.”

Protagonista della terza pubblicazione del lombardo Ambrogio Rolandi “Milano anni ‘40” (Kimerik, 2016) è il ricordo, che dalla sua nascita, avvenuta nel 1939, passa in rassegna i primi anni di guerra, fino al collegio e a quelle rare vacanze al mare; per poi ritrovarsi ragazzo in sella ad una vespa insieme agli amici. A bordo di quel taxi, che è diventato il suo lavoro, è nata la passione per la scrittura.
Ed è proprio qui che forse Rolandi, fra una corsa e l’altra, ha ripensato alla sua vita. Cercando di mettere nero su bianco le rievocazioni più emozionanti che, sebbene in tempi tanto duri, avevano il sapore della giovinezza e di anni che riservavano il meglio, e ai quali ci si apre sempre con inevitabile nostalgia. Ginetto, così come il protagonista viene chiamato, fa rivivere nelle sue parole la figura della madre Amalia, alla quale il libro è dedicato, che tanto si è prodigata in vita per sostenere la famiglia.
Sono ricordi vividi, molto dettagliati. Precisi e ricchi di particolari, frutto di una mente che ancora li ha tutti ben presenti, quasi fossero fotografie. La punteggiatura è scarsa e ridotta al minimo, quasi se le frasi uscissero a fiotti, attraverso quel “flusso di coscienza” utilizzato da molti scrittori per concatenare i pensieri. Per sfuggire alla guerra e dare il modo alla madre di lavorare, Ginetto viene affidato con la sorellina Maria Teresa alla famiglia di Mamma Angelina.
Il piccolo è accolto come fosse un figlio, e teneramente chiamato “al me’ ursett”. Per evitare i bombardamenti del secondo conflitto mondiale, scoppiato proprio in quegli anni, nel 1943 la famiglia si trasferisce alla Peluca, una grande masseria in frazione Badile, a qualche chilometro da Milano. La cattura delle rane, alimento prelibato, costatagli un bagno fuori programma e una febbre che lo ha quasi ucciso; così come la vendemmia, che dava l’occasione a tanti ragazzi per stare insieme, sono i suoi primi ricordi. In seguito si torna a Milano, dove presto Ginetto viene mandato in collegio a Rapallo.

Sono gli anni della vita lontana dai genitori, circondato da coetanei, con cui stringe amicizia. Purtroppo, alcuni li vede morire, e ne parla in maniera commovente, come ha fatto Giovanni Pascoli ne L’aquilone. L’atmosfera del collegio e di compagni morti, mi ha fatto inevitabilmente pensare a questo. Ginetto è un bambino che vive molte traversie, non ultima la morte del padre, la cui notizia giunge mentre è lontano, appunto in collegio.
È però anche entusiasta della vita, e riesce sempre a sorprendersi, fosse anche per quella bicicletta tanto agognata che la madre gli regala con sacrificio. Gli amici della via Bordighera, dove Ginetto ritorna dopo il collegio, rimangono sempre lì, nella mente dell’autore, come se il tempo si fosse “congelato”.
Un po’ come quella via Gluck che ora è del tutto trasformata, ma che sempre rivive nell’immaginario collettivo. I primi viaggi in moto, la prima sbronza che fa star male, il primo turbamento amoroso. È tutto lì, fra quelle pagine. La vita di un uomo che si offre al lettore, e che ben saprà accogliere chi ama tuffarsi nel passato e ricordare i momenti migliori. “I me’ ricord”, come dice l’autore, che nessuno potrà mai cancellare.
Written by Cristina Biolcati