Intervista di Irene Gianeselli allo scrittore Marco Marsullo: un giorno questa famiglia ti sarà utile

«Ci sono figli di colleghi di mia mamma più bravi di me in qualsiasi cosa, piú educati, meglio pettinati, meglio vestiti, più svegli, affettuosi. Ci sono figli di colleghi di mia mamma che, forse, sono anche più figli di mia mamma rispetto a me».

Marco Marsullo, I miei genitori non hanno figli, Einaudi, 2015

Marco Marsullo

Marco Marsullo nasce a Napoli nel 1985. Esordisce per Einaudi Stile Libero nel 2013 con “Atletico Minaccia Football Club” (Premio Hermann Geiger). Nel 2014, sempre per Einaudi Stile Libero, pubblica “L’audace colpo dei quattro di Rete Maria che sfuggirono alle Miserabili Monache”. Nel 2015 è uscito sempre per EinaudiI miei genitori non hanno figli”, suo terzo romanzo che sta riscuotendo successo di lettori e di critica.

Marco Marsullo collabora come editorialista per «La Gazzetta dello Sport». Ho intervistato Marco nello scorso gennaio dopo il vivace incontro con gli studenti del Liceo Scientifico Statale “Gaetano Salvemini” di Bari, una delle tappe per la presentazione nei licei pugliesi de “I miei genitori non hanno figli” organizzata da Angela Piccolo (Punto Einaudi Bari) ed Antonella Piccolo (Punto Einaudi Barletta).

Ringrazio la Dirigente prof.ssa Tina Gesmundo per avere ospitato nel Liceo la nostra intervista. Con Marco Marsullo parliamo del suo ultimo romanzo, di come si racconta l’essere figli oggi.

 

I.G.: Ti ringrazio della disponibilità. Prima di parlare del tuo ultimo romanzo, vorrei chiederti cosa significa per te essere uno scrittore e cosa scegli tra “fare” lo scrittore ed “essere” uno scrittore.

Marco Marsullo: Faccio lo scrittore. Credo che nessun autore sia investito da una luce divina che ne fa uno scrittore. Credo nel talento in certe cose, certe sfumature, credo che ci siano esseri umani che hanno più fantasia e immaginazione (e questa è l’unica cosa che posso dire di “essere”). Ogni autore si è affinato negli anni osservando il mondo e leggendo tanto. Almeno, per me è andata così.

 

I.G.: Cominciamo dalla copertina: mi ha fatto subito tornare alla mente il discorso sulla forma delle nuvole dell’Antonio shakespeareano che ad Eros spiega come la forma non sia importante in sé: contano solo le nuvole stesse, la loro essenza che prevede una materia in continua dissoluzione e mutazione. Cosa lega i genitori e i figli alle nuvole in “I miei genitori non hanno figli“?

I miei genitori non hanno figli

Marco Marsullo: Il ragazzo in copertina è schiacciato e ipnotizzato al contempo da quelle nuvole. Lo paralizzano, lo incantano. E nelle nuvole può esserci pioggia, le nuvole possono rovinare una bella giornata, o anche ripararci dal troppo caldo. E nelle nuvole ognuno di noi vede qualcosa di proprio, fa lavorare l’immaginazione. I genitori del protagonista sono come quelle nuvole, dentro c’è tutto e niente.

 

I.G.: C’è molto teatro e metateatro in questa storia, molta messinscena: il giovane protagonista senza nome dice di vivere un “musical”. Ci sono “a parte” e dialoghi impostati anche formalmente come una sceneggiatura. Com’è nata questa storia?

Marco Marsullo: È nata dalla voglia di raccontare i difetti di fabbricazione che stanno nelle famiglie, che dovrebbero essere porti sicuri ma che, spesso, finiscono per essere posti in cui sentirsi a disagio e dove non si riesce a parlare. Per questo il musical; è tutto sopra le righe, si balla, ci si agita, per dire cose che normalmente potrebbero essere appena sussurrate con affetto. Chiaramente sono partito dalla mia esperienza, si nota dalla presenza di molte analogie tra me ed il protagonista, ma il dato autobiografico non è importante – anche perché il romanzo rimane un’opera di finzione – quanto il dato oggettivo: il mio protagonista non ha nome e questa scelta è tecnica, serve per fare immedesimare chiunque legga il libro e si trovi nella sua stessa situazione. Ho voluto creare questa possibilità di immedesimazione, ho provato a toccare più temi possibili per fornire una specie di libretto per le istruzioni funzionale al dialogo tra genitori e figli che spesso non comunicano. La famiglia dovrebbe essere un nucleo protetto, il nucleo protetto per eccellenza, e invece a volte si vivono i dolori e le sofferenze più grandi e questo è un paradosso.

 

I.G.: Dicevamo del teatro. Nel “Natale in casa Cupiello” eduardiano è presente il topos della cena della vigilia come composizione armonica della famiglia, «Ci riuniamo» tenta di dire Luca in una continua tensione antifrastica. Anche la cena della famiglia spezzata del protagonista del tuo romanzo è un tentativo maldestro di riunirsi.

Marco Marsullo: Sì, è un Natale di superstiti, è una Vigilia che comunque prova a essere tale, ma che è una brutta copia di quella che conosciamo, specie nella tradizione canonica. È un’istituzione spezzata, quella del protagonista di questo romanzo, che però prova a sopravvivere senza badare troppo alla forma. Anche se poi la sostanza è da osservare con attenzione. Un bel casino, insomma. Nel libro il protagonista affronta un percorso con il padre e la madre: c’è una graduale progressione verso l’esplosione di libertà finale, ci sono miglioramenti continui nel loro rapporto. Inizialmente c’è un silenzio assordante, poi un silenzio complice che diventa un minimo ascolto e comprensione fino alla condivisione finale di un nuovo principio.

 

I.G.: Sono monadi monologanti questi genitori e questo figlio, vivono nella loro fortezza vuota. È interessante la scelta di definirli alto-borghesi e assorbiti dallo storytelling e dai social. Al di là dello spunto autobiografico, ci parli di questa scelta?

Marco Marsullo

Marco Marsullo: Volevo racchiudere quante più storie possibili in questi due genitori. Che fossero i genitori di chiunque, separati o ancora insieme, giovani o più anziani, tutti si trovano fagocitati in questa epoca veloce e priva di punti di riferimento costanti. E allora ce li si inventa; social, smartphone, fidanzati improbabili, ormai queste sono quasi costanti più presenti nei quaranta-cinquentenni che nei ragazzi di diciotto. Che poi, forse, si trovano costretti a imitare comportamenti scriteriati per sentirsi figli dei propri genitori, oltre che del proprio tempo.

 

I.G.: Il rapporto padre-figlio è impostato su “riti taciti”, il futuro insieme è un premio ed una condanna: il padre cerca di rimandare la fine della lotta generazionale, il figlio non vuole vincere. Non si ha più la forza di uccidere i padri. Telemaco non cerca più Ulisse. Siamo forse nel periodo in cui sono i padri a cercare i figli a patto che questi non crescano mai davvero? Siamo nell’epoca della de-responsabilizzazione reciproca?

Marco Marsullo: Il rischio è che i figli diventino genitori dei proprio genitori. Ed è il prezzo più aspro da pagare per chi è figlio da così poco tempo (diciotto anni) e ancora non ha finito di leggere il libretto d’istruzioni. O semplicemente quel libretto non glielo hanno mai dato, da principio.

 

I.G.: La madre è una figura dal carattere adolescenziale: ondivaga e umorale, vive amori adolescenziali dopo il divorzio, le sue reazioni alle azioni del figlio sono adolescenziali, vive in una sorta di bolla nel tentativo di convincersi che quella bolla possa essere un universo in continua espansione. È una donna che cerca di rassegnarsi, almeno fino ad un certo momento, a non potere nulla senza un uomo accanto, e la società ancora oggi non fa che ripeterci di continuo che una donna nulla può senza un uomo. A proposito di donne e di uomini, come interpreti i fatti di Colonia?

Marco Marsullo: Credo che la società non dica più questo. Credo che siano i residui di alcune epoche antiche. Ormai la donna ha piena coscienza di sé, e ci mancherebbe altro. In alcuni campi c’è ancora da lavorare per una vera, sostanziale, eguaglianza. Sui fatti di Colonia non saprei cosa dire, se non indignarmi. È un fatto gravissimo che andava prevenuto, forse, da una presenza maggiore di forze dell’ordine l’ultimo dell’anno in un luogo nevralgico come una stazione.

 

I.G.: In “I miei genitori non hanno figli” è un figlio a rendersi conto di quanto sia faticoso amarsi e preoccuparsi della felicità di qualcun altro. «Forse a noi è toccato questo destino di doverci adattare l’uno alla forma sbagliata dell’altro per non sparire del tutto». Qual è la forma giusta?

Marco Marsullo

Marco Marsullo: Non c’è, semplicemente. Ci sono tantissime forme che si incastrano bene, altre così e così, altre male. Il segreto è amarsi e tenere duro finché si può, e se si può. Non stravolgere nessuno e fare compromessi silenziosi con il sorriso sulle labbra. Una famiglia è un’unione di persone, per forza di cose, diverse tra loro. Il DNA non conta più, conta solo quello che si prova.

 

I.G.: Compagna chiassosa e silenziosa al tempo stesso, algida e splendente è la città in cui il giovane protagonista vive. La città, sebbene non venga mai nominata, riporta subito a Napoli: il mare si vede ovunque e torna sempre, come l’estate.

Marco Marsullo: Napoli è protagonista silenziosa del romanzo, senza mai nominarla chiunque la viva, o la conosca minimamente, sa di trovarsi lì. È la forza della mia città: sapere che si parla di lei senza doverla pronunciare. È una caratteristica che pochi luoghi al mondo hanno. E la rende immortale, per fortuna.

 

I.G.: È vero che i figli non appartengono ai genitori, ma i genitori appartengono ai figli?

Marco Marsullo: L’appartenenza non è una questione di vincoli familiari, a mio avviso. Ci si sente di qualcuno quando lo si ama, quando non si può stare senza di lui o ci si può stare con un timer. Chiaro, genitori e figli sono, per natura, portati a una graduale separazione (e per fortuna!). Ma mai si separeranno i sentimenti, in ogni fase della vita, a ogni età, a ogni condizione. Se sarà così si sarà seminato bene, altrimenti, per me, non è scontato il contrario.

 

I.G.: Progetti futuri?

Marco Marsullo: Scrivere, sempre. Svegliarmi un po’ prima al mattino, mangiare più verdure, vedere altri posti del mondo che mi mancano, che è la cosa più bella di essere vivi.

 

Written by Irene Gianeselli

 

Info

Sito Marco Marsullo

 

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