“Il regista” di Elisabetta Cametti: in 29 ore si consuma il piano diabolico di un killer geniale e senza scrupoli
“L’unico modo per fermarlo è entrare nella sua testa. Scoprire cosa lo muove: nel modus operandi si nascondono il carattere, le pulsioni, ciò che prova. È il regista di un film crudele e ce lo sta somministrando poco alla volta. Capiamo il film e troveremo lui”.
Basteranno 29 ore per comprendere il piano geniale di un killer desideroso di riscrivere la storia del crimine? È il quesito che Elisabetta Cametti pone nel suo nuovo romanzo “Il regista” (Cairo Editore, 2015): un lasso di tempo pregno di attentati e minacce, in cui si realizza una vera e propria corsa contro il tempo per avere salva la vita.
Il romanzo non è diviso in capitoli, bensì in “tempo”, ovvero quello che manca allo scadere delle citate 29 ore. Dopo il prologo iniziale, quindi, viene azionato un vero e proprio “timer” che va a scalare i minuti fino all’epilogo finale. Simile ad un ordigno ad orologeria, che presto deflagrerà sotto i nostri occhi.
Ma perché tutto deve compiersi proprio in 29 ore? Domanda legittima, a cui segue una risposta ben precisa. Attorno al numero 29 ruota una vasta simbologia. Esso è il numero degli ostacoli, delle avversità, ed è rappresentato da una bara. Tralasciando la parte riguardante attori e pop star deceduti proprio a quell’età, basti pensare che il numero torna nelle statistiche degli omicidi seriali. Pare che buona parte dei serial killer abbia compiuto il suo primo omicidio proprio a 29 anni; così come 29 è il numero medio di vittime calcolato.
L’opera è concepita come un thriller in stile americano a tutti gli effetti, ed è ambientata a New York. Niente a che vedere col commissario di provincia a cui ci hanno abituato gli scrittori italiani. Qui il progetto è più ambizioso, ma anche più rischioso e complicato. I personaggi che si susseguono sono davvero tanti e ciascuno gode di “vita propria”, nel senso che sulla sua storia si potrebbe scrivere un altro romanzo, e risulterebbe ugualmente interessante. Così come tante sono anche le vittime, oserei dire una carneficina.
“La signora italiana del thriller”, come Elisabetta Cametti viene definita dalla stampa, dà inizio al primo di una serie di romanzi aventi come sigla proprio il numero 29 – dopo il successo internazionale avuto con la serie K, ovvero “I guardiani della storia” e “Nel mare del tempo”.
Al centro dell’intreccio de “Il regista” si trova la fotoreporter Veronika Evans, coinvolta in un complotto dal disegno incomprensibile, in cui si aprono varie piste da seguire. Si tratta di un thriller incalzante e dal ritmo serrato. Gli scatti di Veronika ritraggono l’emarginazione della New York che nessuno vorrebbe vedere: barboni che muoiono di stenti, anziani abbandonati, cani randagi alla ricerca di cibo. La donna compie una vera e propria “denuncia sociale”, ed è molto seguita sui social network. Per questo viene considerata pericolosa e la sua presenza è scomoda a molti.
Ad un anno dalla sua partecipazione ad un noto talk show, la polizia trova i corpi senza vita degli altri ospiti intervenuti alla puntata. Ai cadaveri sono stati asportati i bulbi oculati e sul viso è stata posta una macchina fotografica, incollata con del nastro adesivo.
Il caso viene affidato alla profiler Barbara Schiller, che vede un’opportunità di riscatto rispetto ad un errore commesso in passato e mai dimenticato.
Durante l’indagine emergono indizi discordanti, dove l’unica costante pare sia la mancanza di un movente. Fra i sospettati, insieme a Veronika, ci sono anche un reporter di guerra, un avvocato di grido, il proprietario dell’agenzia fotografica concorrente e lo stesso conduttore del talk show. Tutti possibili vittime, ma anche possibili carnefici.
Senza dubbio Elisabetta Cametti ha creato una trama complessa, ricca di storie che, mentre si dipanano, conducono a nuovi enigmi. Le sue sono donne che vivono in una società corrotta e lottano strenuamente per cambiarla. La trama affronta temi di attualità, quali il giornalismo d’assalto, i talk show, gli attacchi degli hacker ai sistemi informatici e la loro possibilità inquietante di controllare tutto. Anche se poi si uccide per motivi vecchi come il mondo, come l’amore, la gelosia, l’invidia, l’estrema solitudine e la vendetta. Senza sottovalutare il fatto che la pazzia non conosce regole, anche se tenderebbe ad imporne molte.
Con la sua prosa fluida e l’assenza di futili ingenuità, potremmo affermare che “Il regista” si avvicini molto ai thriller dei grandi scrittori americani. Forse l’entusiasmo ha preso un po’ la mano all’autrice, poiché talvolta esagera coi colpi di scena – in questo trovo una similitudine con Dan Brown, al quale la critica la paragona.
Il “modus operandi” del killer è davvero artificioso e ha dell’incredibile, è vero. Ma dato che ci siamo immersi nella lettura di questa storia macabra e surreale, che tanto ha dello stile cinematografico, tanto vale viverla fino in fondo.
Naturalmente parlo per chi, come me, è appassionato del genere.
Written by Cristina Biolcati