Il taccuino del giovane cinefilo presenta “Alaska” di Claudio Cupellini
Nel quarto lungometraggio di Claudio Cupellini si intrecciano le storie di Fausto e Nadine, lui aitante cameriere italiano in un lussuosissimo hotel parigino, lei graziosissima ragazza francese desiderosa di diventare modella.
Da un incontro fortuito sboccia una forte attrazione, che il destino avverso impedirà di soddisfare immediatamente: Fausto viene incarcerato per lesioni volontarie e condannato a scontare due anni di reclusione. (Vale la pena di sottolineare una certa soffusa percezione di squilibrio fra i metri di giudizio italici e d’oltralpe…?).
Uscito di prigione, i due vengono iniziati alla vita di coppia, che si rivela densa di amore sincero pur nelle difficoltà economiche; almeno fino a quando non si profila all’orizzonte un certo Sandro, con in tasca il progetto di aprire una discoteca esclusiva nel cuore di Milano.
L’“Alaska” è l’occasione giusta per tentare il salto di qualità, e al contempo il motivo maiuscolo di sfiducia a discredito di Fausto, la cui lungimiranza non viene per nulla colta da Nadine. Di lì, si innescherà una lunga serie di distacchi e ritorni, profonde delusioni e rinnovati stimoli, che hanno il piacevole sapore della verosimiglianza, di un’imprevedibilità autenticamente naturale nei suoi copiosi inanellamenti.
Ed è questa la miglior caratteristica del film: l’eccezionale genuinità della rappresentazione, un’illusione di spontaneità assicurata in primo luogo dalla recitazione accorata di Elio Germano (semplicemente uno dei maggiori talenti italiani dell’ultima decade) e di Àstrid Bergès-Frisbey, la quale, assieme all’iconica figura di Sandro (affidata a Valerio Binasco), sfugge ad un ritratto macchiettistico in virtù dell’energia straordinaria che riesce ad affiorare dalle sofferenze e dalla passione che il suo personaggio condivide con il protagonista.
È senza dubbio una vicenda che, proprio per questa sua irruenza, il suo costante essere in tensione, la brama di comunicare a voce alta plurimi contenuti, può apparire sovrabbondante qui e lì, non sufficientemente cesellata.
Le premesse, tuttavia, giustificano le suddette sbavature, sublimate in una costruzione registica di rilievo, che sa raggiungere vette memorabili (si pensi alla sequenza ove si gusta l’ultima torta di mirtilli), sostenute a loro volta dalla cura riservata alla fotografia e alla scenografia, oltre all’attenzione per il corredo musicale, che sa circuirne con prudenza un mero utilizzo commerciale.
Resta da evidenziare il grande valore che assume un cinema di questo stampo, lecitamente riconosciuto di interesse culturale, capace di sorvolare i confini nazionali e di mostrare con disinvoltura il piacere e il senso di compiutezza che le opere italiane sanno trasmettere. “Alaska” è settima arte a tutto tondo, nei suoi difetti come nei suoi pregi, che probabilmente sfuggono, come sovente accade nel panorama della critica, molto più dei loro ingigantiti “controbilancieri”.
Voto al film
Written by Raffaele Lazzaroni