“L’ultimo arrivato” di Marco Balzano: il romanzo vincitore del Premio Campiello 2015
“Era la fine del ’59, avevo nove anni e uno a quell’età preferirebbe sempre il suo paese, anche se è un cesso di paese e niente affatto quello dei balocchi. Ma c’è un limite a tutto e quando la miseria ti sembra un cavallone che ti vuole ingoiare è meglio che fai fagotto e te ne parti, punto e basta”.
“L’ultimo arrivato” di Marco Balzano (Sellerio, 2014) vince il Premio Campiello 2015. Lo scrittore è nato a Milano nel 1978, dove vive e lavora come insegnante di liceo.
Mentre talvolta si tende ad insignire di premi letterari importanti opere un po’ troppo “di nicchia”, questo verdetto mi trova del tutto concorde. Nemmeno duecento pagine: trentuno brevi capitoli che appassionano e scorrono veloci, senza mai annoiare.
Merita davvero di essere letta e premiata questa storia cruda e struggente, come solo la vita, con le sue miserie, sa essere. Il protagonista è Ninetto Giacalone, detto “pelleossa”, siciliano emigrato a Milano nel 1959, ancora bambino, in cerca di un futuro che nel suo paese nessuno è riuscito a garantirgli. Ninetto ama la poesia di Giovanni Pascoli e sogna di diventare maestro elementare; Ninetto che legge libri e da adulto si identifica con quello “straniero” descritto da Camus; che non sa esprimersi né trovare conforto, perché incapace di perdonare se stesso, anche dopo avere trascorso 10 anni nel carcere di Opera per un colpo di testa del tutto irrazionale. Ninetto che pensa che gli anni dell’infanzia, nonostante la fame e il fatto di essere stato costretto ad abbandonare la scuola per andare a lavorare, siano stati i migliori. Allorquando l’alienazione della catena di montaggio non era ancora giunta a dissipare i suoi sogni, e tutto era ancora possibile.
Quando Ninetto Giacalone inizia a narrare la sua storia è solo un bambino di nove anni, costretto dalla miseria a trasferirsi nel capoluogo lombardo, insieme ad un compaesano che ha promesso al padre di occuparsi di lui. La descrizione del viaggio in treno però, con avventure e disavventure annesse all’arrivo, fanno comprendere che il bambino dovrà imparare a cavarsela da solo.
Negli anni Cinquanta il fenomeno di spostarsi dal Meridione al Nord, in cerca di lavoro, era molto diffuso e spesso le famiglie non riuscivano a viaggiare insieme. I bambini venivano affidati a parenti o conoscenti: non avevano nemmeno 10 anni e mai prima di allora si erano allontanati da casa. Essi dicevano così addio alle loro famiglie poverissime e si trasferivano nelle grandi città, in cerca di maggior fortuna.
Ninetto pelleossa è proprio uno di loro: un piccolo emigrante che parte lasciando dietro di sé una madre malata e un padre incapace di prendersi cura della famiglia. Durante questo viaggio, chiamiamolo di formazione, il bambino passa dall’essere “picciriddu” a uomo “adulto”, poiché gli si apre un mondo che lo porta alla scoperta della vita e di se stesso.
Come unico conforto Ninetto ha le lezioni del suo amato maestro delle elementari, che ogni tanto ripete quasi fossero un mantra.
Una volta a Milano il ragazzino trova lavoro come “galoppino” per una lavanderia, potendo così provvedere a se stesso. Qui le sperimentazioni si rivelano coinvolgenti: l’esplorazione di una città grande in cui tutto gli appare nuovo; i primi approcci con le donne che a 15 anni lo vedranno già sposato con Maddalena; il conoscere nuova gente sempre un po’ ai margini come lui; la perdita della ragione, in età adulta, e il compimento di un gesto violento che porterà gravi conseguenze, nonché alla detenzione.
Attraverso questo romanzo, scritto con un linguaggio semplice, ricco di termini vernacolari e volutamente non esente da errori grammaticali – in fondo Ninetto prima è un bambino e poi, da adulto, non ha studiato molto – Marco Balzano è riuscito a ricostruire un periodo della nostra storia che forse avevamo un po’ dimenticato. Tutti concentrati come siamo a tenere d’occhio i barconi che giungono d’oltremare.
La maniera sorprendente con cui cambia registro, mentre fa parlare Ninetto bambino e poi un Ninetto adulto, dona ulteriore veridicità alla storia e rende la prosa del tutto evocativa.
Si tratta di una pagina della nostra Italia, verace e pregna di difficoltà, che “L’ultimo arrivato” ravviva e fa tornare reale.
Written by Cristina Biolcati