“The Sexes” o “I Sessi” di Dorothy Parker: quando una donna si innamora e il suo non ho niente
“Io pretendo tre cose in un uomo. Deve essere simpatico, spietato e stupido.”
[…] “Per l’amor di Dio, vuoi smetterla di ringraziarmi?” sbottò lui.
“Oh, bè,” rispose lei, “Non pensavo di dire qualcosa di sbagliato. Sono spiacente dal profondo del cuore se ho urtato i tuoi sentimenti. Capisco cosa vuol dire quando ciò avviene. Sicuramente, non avrei pensato fosse un insulto ringraziare qualcuno. Non sono molto abituata a sentire qualcuno imprecare perché l’ho ringraziato.”
“Ma io non ho imprecato,” sbottò lui.
“Oh, ma veramente?” gli rispose lei, “Capisco.”
“Ma insomma,” disse lui, “ho semplicemente chiesto se volevi che uscissi per andare a prenderti le sigarette. Dimmi un po’, è sufficiente per arrabbiarsi?”
“E chi si è arrabbiato?” rispose lei, “Certamente non potevo sapere che fosse un delitto dire a qualcuno che non mi sognerei di darti tutto questo disturbo. Evidentemente, sono una persona completamente idiota o qualcosa del genere.” […]
“I sessi” è un racconto breve di Dorothy Parker a cui ho lavorato qualche mese fa per l’esame di Traduzione Lingua Inglese – frequento il corso di laurea magistrale in Traduzione Specialistica dei Testi – fornendo una mia traduzione, essendoci già una traduzione ufficiale, presentata da La Tartaruga edizioni con la traduzione di Marisa Caramella, Chiara Libero e Silvio Raffo nel 1993, ma iniziata nel 1983 dalla Caramella.
Il racconto fa parte dell’opera “Tanto vale vivere: racconti, poesie e prose” contenente diversi racconti, poesie e prose scritte dalla scrittrice, che in realtà si chiamava Dorothy Rothchild e prese il cognome “Parker” dal primo marito, con un linguaggio sarcastico, ironico e graffiante, denunciando “la precarietà della felicità e del desiderio, la necessità del cinismo e della forza per chi cerca di rendere tollerabile, se non divertente, vivere ogni attimo della propria vita coraggiosamente allo scoperto”, come si legge su goodreads nella descrizione del romanzo.
Si tratta più che altro di un racconto ricco di dialoghi tra un uomo e una donna. Una visita a casa di lei, da parte dell’uomo, diventa una discussione sullo strano modo di comportarsi della ragazza, comportamento tipico di una persona innamorata, ma che vuole nascondere questo stato alla persona che le sta accanto dando come risposta ai “Cosa c’è che non va?” un “Non ho niente”.
Donne innamorate ma anche gelose, che hanno paura di esprimere i loro sentimenti e, come detto, si rifugiano in quel “non ho niente” per non dare troppe spiegazioni a chi sta loro intorno, che sia un’amica, un famigliare o l’uomo che desiderano, come in questo caso. E il ragazzo, o chiunque altro, potrebbe pensare che la ragazza ce l’abbia con lui, che lui le potrebbe avere fatto qualcosa, come leggiamo in questi stralci di dialogo:
“[…] Credo che non ti importi niente di ciò che dico,” sentenziò lui, “Sembri irritata con me.”
“Io, irritata con te?” rispose lei, “non riesco a capire come puoi pensare una cosa simile? Perché dovrei essere irritata con te?”
“E’ quello che ti sto chiedendo,” le rispose, “Non mi vuoi dire cosa ti ho fatto? Ho fatto qualcosa che ha urtato i tuoi sentimenti, tesoro? Se penso al modo in cui mi hai risposto al telefono: sono stato talmente preoccupato tanto che a lavoro non sono riuscito a concludere nulla.”
“Certamente,” disse lei, “non vorrei sentirmi dire che ho interferito con il tuo lavoro. So perfettamente che ci sono un sacco di ragazze che non pensano affatto a queste cose, ma per me è qualcosa di imperdonabile. Non sarebbe per niente carino starsene seduti qui e sentirsi dire di aver interferito con gli affari di qualcun’altro.[…]”
È un racconto che si presenta a tratti ironico e originale per il modo di essere narrato, a tratti significativo e attuale per capire il modo di comportarsi delle donne in casi come questi, ma anche quando non vogliono fare sapere a cosa stanno pensando o facendo, sicuramente perché non vogliono che la persona con la quale si accingono a intraprendere un dialogo capiscano quello che provano e, magari, sperano non venga spiattellato ai quattro venti – a quante donne, ma anche uomini, non sarà capitato? – una sorta di gioco sull’idea “posso veramente fidarmi di te?”, “Ho fiducia in questa persona?”. O nel caso dell’uomo di cui si è innamorate, non le dica che “non posso ricambiarti”, e “ho un’altra donna”, oppure non si voglia essere derisi dei sentimenti che si provano, e questo vale anche per i dialoghi che si svolgono con amici o parenti.
Oppure vi è un desiderio di lasciare crogiolare la persona amata o desiderata in una specie di ansia, di gioco sarcastico di parole, di non capire o non voler capire di cosa si stia parlando. Nel primo esempio si tratta di avere a che fare con persone timide, nel secondo anche con quelle misteriose. Potrebbero esserci diverse interpretazioni su questo argomento, sul testo in questione, anche tenendo conto che nell’epoca in cui visse la scrittrice vi erano diversi modi di esprimere e interpretare queste situazioni. Che in questo caso la Parker ha provato a esplorare senza banalità.
Dorothy Parker, come si legge su Wikipedia, “è stata una scrittrice, poetessa e giornalista statunitense. Fu tra le più argute e caustiche commentatrici dei fenomeni di costume americano dell’epoca, capace di fustigare con cinismo le debolezze, i vizi e le virtù della società del XX secolo”. Ha lasciato in eredità alcuni romanzi, di cui ricordiamo “Il mio mondo è qui: novelle”, tradotto da Eugenio Montale, il già citato “Tanto vale vivere: racconti, poesie e prose” e “Uomini che non ho sposato”, curato da Ileana Pittoni. Romanzi scritti con uno stile tutto suo, ricco di varie sfumature linguistiche.
Merita di essere letta, riletta e pure (ri)scoperta da chi non ha ancora avuto l’occasione di lasciarsi catturare dalle parole di questa donna, come si legge nei diversi articoli scritti su di lei nel corso degli anni e che ho scoperto cercando informazioni su di lei. Io stessa ammetto di non averne ancora sentito parlare, di non averla ancora apprezzata del tutto sennonché tramite questo racconto facente parte del programma di Traduzione Lingua Inglese del secondo anno.
Come si dice “non è mai troppo tardi” per cominciare.
Written by Daniela Schirru