Intervista di Timothy Dissegna alla fotografa Ulderica Da Pozzo, espone all’EXPO Milano 2015
Da quando esiste la fotografia, in molti si sono chiesti quale dovesse essere il suo compito. Immortalare semplicemente la realtà? O andare affondo nelle immagini, senza fermarsi all’apparenza? E come indagare? Tanti sono i quesiti che si sono evoluti nel corso dei decenni, fino a quando alcuni artisti non hanno saputo lasciare la propria impronta in questo mondo. E tra questi Ulderica Da Pozzo lo fa tutt’ora.
Nata a Ravascleto, paesino della regione montana della Carnia in provincia di Udine, nel 1957, ha iniziato a fotografare nel 1976 e quattro anni dopo è diventata fotografa professionista.
Partendo da un piccolo studio fotografico in paese dove faceva servizi per i matrimoni, è arrivata ad approfondire lo studio del linguaggio fotografico con maestri del calibro di Oliviero Toscani, Franco Fontana e molti altri.
Un percorso che l’ha portata ad essere tra i fotografi italiani scelti da Italo Zannier per esporre le proprie opere a EXPO Milano 2015.
Il suo ultimo lavoro si chiama “Stanze” e, dopo esser stato esposto a Roma dal 7 al 28 novembre 2013, si è trasferito nella cittadina di Palmanova, a pochi chilometri da Udine, nell’ex Polveriera Garzoni.
Aperta dal 6 marzo fino al 6 aprile, abbiamo incontrato qui la fotografa proprio il giorno di Pasquetta, facendoci raccontare il suo legame con il Friuli e cosa ci aspetterà all’Esposizione Universale.
T.D.: Personalmente quanto ha influito la Carnia, i suoi luoghi natali sulla sua formazione?
Ulderica Da Pozzo: Il luogo in cui nasce ti da sempre l’imprint, in qualche modo… Io poi sono nata nipote di un fotografo, che poi è morto quando ero bambina. All’inizio faceva il postino, poi ha lasciato quel lavoro per fare il fotografo. Sai, quando ancora le fotografie si sviluppavano ancora con le bacinelle: ecco, lo zio aveva questa “stanza magica” per me, che era peraltro un luogo strano. Nelle case, una volta, c’era la stalla, la stanza di mezzo e poi la cucina, e in quella stanza di mezzo lui aveva le sue bacinelle, i negativi, e io andavo lì ad osservare queste foto che nascevano con una mescolanza anche di odori: della stalla, della cucina, degli acidi (sorride, ndr). Per cui c’è stato questo mio essere dentro un piccolo mondo. La fotografia è entrata forse perché a me piaceva dipingere e lei era il modo più veloce per raccontare quello che volevo. La Carnia è stato il primo luogo che ho raccontato, per cui è legato alle mie prime foto, le mie prime esperienze. Non so quanto della Carnia ci sia nelle foto che faccio adesso… Io lavoro tanto sulla “memoria”, il lavoro che ho fatto sui vecchi della Carnia con il libro “Il fum e l’aga” (“Il fumo e l’acqua” in friulano, ndr) era un approccio in un modo diverso, proprio perché raccontavo attraverso gli oggetti, i muri, i segni di chi non c’è più. E poi attraverso queste cose racconti anche il mondo universale, come lo è la memoria, alla fine.
T. D.: Per quanto riguarda l’EXPO, invece, rivedremo là alcune foto esposte qui o ci saranno nuove idee?
Ulderica Da Pozzo: Di quelle che ci sono qua dentro ce ne saranno due, sicuramente quella dei rosari. Anche perchè c’è stata un po’ una scelta, con il professor Zannier, di compromesso: io avrei voluto portare queste (quelle esposte a Palmanova, ndr) e però lui ha detto di portare anche altri spaccati dei tuoi lavori, per cui diciamo che c’è un po’ un compromesso tra quello che è questo raccontare un Friuli della memoria e un Friuli dei “fuochi”, delle tradizioni, dei “pignȃrui” (“fuochi” in friulano: sono le montagne di rami che vengono bruciati la notte dell’Epifania, ndr)… Non lo so ancora con certezza, sto ancora organizzando.
T.D.: Lei che ha viaggiato tanto e ha visto tante immagini del Friuli, pensa che sia troppo legato alla tradizione o è con lei che andrà avanti?
Ulderica Da Pozzo: (Ci pensa, ndr) Non lo so quanto sia legato, il Friuli è fatto di tante cose, io ho scelto un filone. Poi il Friuli è fatto d’innovazione, di altri lavori, altri luoghi… È un piccolo mondo con tante cose dentro. Nel libro che ho fatto con Paolo Rumiz, “Luci a Nordest” (edito nel 2012, ndr), c’è proprio un bel pezzo in cui Rumiz racconta di questo spazio, piccolo in cui dentro ci sono tante lingue, tante realtà diverse, tanti incroci: forse è la più grande ricchezza che abbiamo e che non sappiamo “vendere”. Lo spazio è così limitato, da Trieste a Lignano per arrivare fino alle montagne della Carnia, la Val Cellina, le Valli del Natisone, il tragitto è così breve che in una settimana uno può vedere tanto e di tutto: ma ci limitiamo a “vendere” questo luogo a pezzi.
Written by Timothy Dissegna