“Dall’Inferno si ritorna”, il saggio inchiesta di Christiana Ruggeri: il genocidio del Ruanda

Proviamo ad immaginare il Ruanda prima dell’arrivo dei coloni belgi. Immaginiamo un popolo strutturato in maniera diversa dal nostro, nel quale le differenze fisiche non compromettono il vivere in pace, immaginiamo una società nella quale era possibile cambiare gruppo, migliorare la propria situazione di nascita.

Dall’Inferno si ritorna

In Ruanda la società aveva differenze di tipo sociale, di piccoli proprietari terrieri ben visti nella comunità, ma di altrettanti braccianti e contadini che potevano con il loro ingegno e passione riuscire ad aver maggior prestigio. Una cultura compatta che con l’avvento dei coloni europei ha visto svuotata la sua bisaccia di passato. I coloni iniziarono con il differenziare gli Hutu dai Tutsi, non solo indicando il prestigio sociale ed economico come favoritismo ma proponendo una sconvolgente distinzione somatica. I coloni decisero che i Tutsi, che presentavano tratti somatici maggiormente europei, si sarebbero occupati del potere statale ed, invece, gli Hutu sarebbero stati i popolani poveri.

Una differenza che portò subito le prime rappresaglie contro il potere, detenuto dai Tutsi. E fu sangue per entrambe le fazioni, sangue determinato dalla volontà di sterminare il popolo avversario, che da vecchio amico si presentava ormai come nemico giurato.

E pensare che prima del colonialismo i “diversi popoli” praticavano un sistema pacifico  con l’accettazione dell’altro.

La giornalista degli esteri del TG2 Christiana Ruggeri ha recentemente pubblicato con Giunti Editore “Dall’Inferno si ritorna”, un saggio inchiesta su ciò che accadde realmente in Ruanda nel genocidio del 1994, che iniziò il 7 aprile per terminare dopo 101 giorni a luglio e che determinò secondo alcuni un milione di vittime.

Un massacro che avvenne per mano di 581.000 machete importati dalla Cina da alcuni uomini d’affari amici del generale Habyarimana, un massacro programmato ed armato per cercare di sterminare definitivamente i Tutsi. Uomini d’affari come l’ex segretario generale dell’ONU Boutros Boutros-Ghali che solo nel 2000 è stato accusato dal quotidiano britannico The Guardian.

Christiana Ruggeri

Christiana Ruggeri racconta l’inferno di Bibi, la bambina che a 5 anni fuggì dal Ruanda. Il nome è uno pseudonimo, oggi Bibi abita a Roma ed è una promettente studentessa di medicina, la sua identità è stata celata per permetterle di vivere come qualsiasi altra universitaria.

Il 13 aprile 1994 Bibi era a casa con i famigliari a Kigali, una giornata che per una bambina di 5 anni non poteva che terminare con la buonanotte della mamma, ma non andò così. Un gruppo armato Hutu penetrò in casa e massacrò tutti, o quasi tutti. Bibi si svegliò dopo alcune ore, aveva il braccio destro dilaniato, lesioni alla nuca ed ad un orecchio, l’addome perforato da proiettili ma era viva. Nella stanza un odore acre di sangue, tutti i suoi familiari sono stati uccisi e lei, ancora scossa, ha il solo desiderio di sorseggiare succo d’ananas.

Ero sdraiata a terra, fradicia, quando ho ripreso i sensi. La gola era talmente secca che respiravo a fatica, sentivo un sibilo nella testa, la vista era confusa, le idee non c’erano proprio. Era come vivere al rallentatore. Ma il desiderio di bere succo d’ananas era più forte di tutto, persino del malessere indistinto e di quella nausea che mi opprimeva. Non mi facevo domande. Non m’insospettiva neanche quel silenzio irreale. Sentivo solo un insopportabile ­schio alle orecchie e una disperata sete di ananas: come un’ossessione. L’acquolina in bocca era l’unica sensazione reale che avevo.

 

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