“Vicarìa. Un’educazione napoletana” di Vladimiro Bottone: quando la storia analizza i diseredati

“Il nubifragio ha lavato via le sgocciolature di sangue dalle scale dell’Albergo. Il giorno dopo non è rimasta traccia di nulla e le coscienze sembrano tirate a lucido, esattamente come l’aria. Del resto Napoli è avvezza a eliminare gli infelici come Antimo con la stessa facilità dell’occhio che espelle un corpuscolo. Basta una lacrima e via.”

Vicarìa

È in uscita giovedì 29 gennaio 2015, in tutte le librerie italiane, il nuovo romanzo edito da Rizzoli, ambientato nella Napoli di metà Ottocento. Si tratta di “Vicarìa” di Vladimiro Bottone, l’autore nato nel capoluogo partenopeo nel 1957, che vive e lavora a Torino. Collaboratore di quotidiani e periodici, Bottone ha pubblicato diverse opere, fra cui ricordiamo “L’ospite della vita” selezionato nel 2000 per il Premio Strega.

“Vicarìa” è un romanzo corposo, che ho letto in anteprima per voi. Sono infatti quasi 500 pagine, scritte in maniera impeccabile, con uno stile evocativo ed incalzante, nonostante le difficoltà “linguistiche” disseminate nei dialoghi. Alcuni dei numerosi personaggi di cui l’opera si compone, infatti, soprattutto gli appartenenti agli strati più umili, parlano napoletano; mentre il linguaggio è appropriato al periodo. A fine Ottocento vigevano termini peculiari, ora caduti in disuso, sapientemente utilizzati dall’autore per dare veridicità alla storia. Alcune citazioni latine, inoltre, si aggiungono al registro linguistico, ma il tutto miscelato in maniera equilibrata e diluito ad arte, quasi fossero tasselli di un puzzle che, a poco a poco, si compone davanti agli occhi del lettore. Niente è lasciato al caso, e questo si evince da subito.

È il 1840 e ci troviamo a Napoli. L’ispettore di primo rango Gioacchino Fiorilli, che per comodità consideriamo “solo” un giovane commissario, ha da poco preso servizio a Vicarìa, uno dei quartieri più malfamati della città, e ancora non ha idea della corruzione che vi regna. Il male si nasconde ovunque, anche se Fiorilli, al momento non ne ha una grande esperienza. Egli si trova ad indagare sulla morte del piccolo Antimo, un orfano di sette anni, deceduto in circostanze misteriose mentre tentava la fuga dal cosiddetto “Albergo dei poveri”. L’ambiente che il bambino cercava disperatamente di eludere era un edificio opprimente che i napoletani chiamano anche “Reclusorio” o “Serraglio”, una sorta di “città nella città”, asilo per vecchi, donne perdute e bambini soli al mondo. Una sorta di ospizio per chi vive ai margini dell’umanità.

Il misero corpo del povero bambino, e il maldestro tentativo di occultarne sia l’identità che la modalità della morte, suscitano in Fiorilli una compassione ai limiti dell’ossessione, che lo spinge a voler cercare a tutti costi la verità. Molti sono i personaggi che si alternano sulla scena, e Fiorilli, proprio per questo “senso di giustizia” che lo pervade, si troverà a vivere rocambolesche avvenute, non esenti la prigionia e cruenti pestaggi in ambienti malfamati. Fra i personaggi più significativi, vi è Emma che, come la definisce l’autore, è “l’unica donna bella anche appena sveglia e senza trucco”; un’insegnate di musica al Reclusorio, che ha nutrito un sentimento profondo per Antimo, il suo piccolo allievo. Si tratta di una donna idealista, che sortirà l’effetto di introdurre Fiorilli in un ambiente costituito da medici avidi, funzionari corrotti, camorristi e persone poco raccomandabili.

Vladimiro Bottone

Si tratta di un’umanità priva di speranza, quella descritta in questo libro, che ha dei punti di riferimento solo nel tribunale della Vicarìa e nella prigione della città. Senza dimenticare l’evento atteso ogni settimana dai napoletani come unica possibile salvezza, ovvero l’estrazione del Regio Lotto. “Una perpetua, quotidiana estrazione del Lotto, a Napoli. Buona sorte ogni tanto, mala sorte quasi sempre”. Perché proprio come la fortuna, molto spesso la giustizia degli uomini è cieca.

Naturalmente non vi riveleremo il finale, però possiamo anticipare che di rilevante importanza è l’intreccio della parte “noir” dell’opera, con una dimensione onirica che sempre si rivela nei momenti critici e viene a portare il suo contributo. Il piccolo Antimo “rivive” nella mente di Fiorilli e non solo. Si prova una grande pietà per questo bambino indifeso, ucciso nel fiore degli anni, in un’atmosfera cupa, a metà fra l’Oliver Twist di Dickens e un manipolo di “uomini appestati”, talmente è la loro condizione di miseria, da ricordare alcune descrizioni del Manzoni.

O città, io ti ho scritta sul palmo della mia mano”, si legge nell’introduzione al libro. E “Vicarìa- Un’educazione napoletana” è davvero un’accurata analisi di Napoli, un’opera scritta per la città. Non solo di cose belle ed edificanti scrive l’uomo, ma a volte, per conoscere a fondo la storia, è necessario indagare anche fra brutture e nefandezze.

Un’opera ben scritta, che consigliamo a chi è in cerca di un libro diverso dal solito. Un romanzo storico, dove s’intrecciano anche mistero e sentimento. Un’umanità scandagliata nel profondo ed in ogni sua forma.

 

Written by Cristina Biolcati

 

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