Life After Death: l’intervista ad Elsa Morante

Il 25 novembre 1985 moriva Elsa Morante.

A trent’anni dalla sua scomparsa vi proponiamo un’intervista per la rubrica Life After Death.

Elsa Morante

Me ne stavo lì seduta sulle scale, un poco a patire il caldo di luglio, un poco a ripensare al sogno che avevo fatto quella notte, quando lo vidi venirsene con il capo dritto, la schiena dritta e gli occhi attenti, puntavano al pacchetto che mi tenevo in grembo. Prima sporse il piccolo naso, poi i baffi tremolarono. Miagolò. E mi fissò a lungo.

«E dunque che vuoi, Micio?» sussurrai allungando una mano verso il capino spelacchiato.

«Si chiama Alvaro» una donna comparve sulla soglia poco distante dalle scale. La prima cosa che notai furono i capelli arruffati, spenti da poche ciocche grigie. Una donna piccola, un viso piccolo, un ovale un poco schiacciato. E gli occhi grandi azzurri.

«Avvicinati».

Non c’era nessuna timidezza nei suoi modi quando mi fermai davanti a lei. Questa donna sì, sa come si sta al mondo, pensai. Adesso, però, gli occhi mi parevano più scuri e terribili.

«Che hai in quel pacchetto?» rise afferrandomi il braccio con complicità. «Biscotti Krumiri» risposi. «Entra» mi disse. Anche il gatto ci seguì strusciandosi contro le gambe della padrona che lo prese tra le braccia e si mise ad accarezzargli il muso.

«Senti che chitarrina!» rise e le gote si riempirono di fossette decise che le diedero un’aria ribelle: mi parve una straniera capitata in una terra torrida ed abbagliante come è Roma di luglio, ma poi mi resi conto di essere anche io una straniera e mi sentii sollevata all’idea di avere una compagnia come quella.

Il gatto faceva le fusa sornione.

«Senti che chitarrina!» ripeté Elsa a voce bassa giocando con le zampine del micio.

 

Elsa Morante: Che ci facevi tu, tutta sola sulle scale?

 

I.G: Avevo voglia di uscire, ma questo caldo mi distrae e poi pensavo al sogno di questa notte.

Elsa Morante

Elsa Morante: Che miracolo i sogni! Spesso sono processi notturni di tutte le colpe della giornata. Come ci si accusa, ci si condanna! E ci si scopre, ogni giorno di più. Oggi conosco certe mie viltà, certe mie bassezze meglio di ieri. Si può fare anche una Recherche nel territorio del sogno, reminiscenze improvvise ci riaprono paesaggi ed eventi sognati e poi scomparsi dalla memoria. Tu sei giovane e avrai sempre tanti sogni da fare! Era un sogno d’amore?

 

I.G.: Mi trovavo in una stanza piena di luce, pareti e pavimenti coperti da scritte e disegni. Avrei tanto voluto leggere, ma i miei occhi non si aprivano. Una mano sulla mia spalla ed una voce gentile mi rassicuravano «Non è niente di importante, niente che tu non possa leggere anche domani». Ma io volevo leggere subito e quella voce, invece, mi ossessionava ricordandomi che sono giovane e perciò inesperta «Mai potrai leggere queste parole e capirle, se prima non ne avrai lette tantissime altre!» ripeteva. Eppure, mi dicevo, la stanza è mia, dunque mi devono anche appartenere queste scritte. E invece niente. Niente da fare.

Elsa Morante: Non è poi un sogno così tremendo, sai? Significa di certo che hai un grande bisogno di imparare e di scoprire, anche te stessa. Un animo ribelle. Mi fa piacere parlare con te, parlare con qualcuno che ci è amico è sempre una grande gioia. Negli ultimi tempi, per disperazione, mi sono messa ad amare piante e bestiole e a difenderli con tanto accanimento. Perché quando amo qualcuno io lo difendo con accanimento, anche a costo della mia stessa poesia. Purtroppo, forse per mia colpa, nessuno mi ha mai protetto né difeso mai, forse perché ho sempre avuto l’aria di una forte. Grazie per queste chiacchiere, ragazzina, chiedimi pure ciò che vuoi. Hai letto qualcosa di mio?

 

I.G.: Elsa, che grande piacere mi fa sentire che quando mi chiami “ragazzina” lo fai con tenerezza e soddisfazione. Ho letto, ma mi rendo conto che i tuoi racconti, soprattutto i tuoi primi racconti, e i tuoi romanzi andrebbero letti e riletti, così profondi e crudi, anche nei momenti più lirici, sono terribili: più di una volta nel leggerti mi sono sentita persa, disorientata. Ne “L’isola di Arturo” il ragazzo si allontana dal padre nel momento in cui l’incanto dell’infanzia si avvilisce per lasciare spazio alle pulsioni del giovane uomo. Così è sempre: il “male” pare essere un accidente necessario difficilmente distinguibile dal “bene”, tutti i tuoi personaggi sono obbligati ad un percorso sempre faticoso. “Menzogna e Sortilegio” è l’opera tua più metaletteraria.

Elsa Morante: Prima di tutto, la sola ragione che ho avuta – di cui fossi consapevole – nel mettermi a raccontare la vita di Arturo, è stata il mio antico e inguaribile desiderio di essere un ragazzo. Quanto a “Menzogna e Sortilegio” io volevo fare come Ariosto ha fatto con i poemi cavallereschi: scrivere l’ultimo dei romanzi possibili, anche il mio ultimo romanzo, e uccidere il genere. Volevo mettere nel romanzo tutto quello che allora mi tormentava, tutta la mia vita, che era una giovane vita, ma una vita intimamente drammatica.

 

I.G.: Perché non donna, ma uomo?

Elsa Morante

Elsa Morante: Secondo me in tutto il mondo ancora oggi esiste una specie di razzismo nei riguardi delle donne. In Italia, certo, più che altrove questo razzismo è tuttora sancito, in gran parte, da antichi pregiudizi e da leggi vigenti. E in conseguenza una donna, per affermarsi col proprio ingegno, deve superare difficoltà almeno dieci volte superiori a quelle che incontrerebbe un uomo, né può mai raggiungere nella società la posizione che raggiungerebbe un uomo dotato di pari o addirittura inferiori qualità. Basti pensare alla distinzione che si fa tra “scrittori” e “scrittrici” come se le categorie culturali fossero determinate dalle categorie fisiologiche. In realtà il concetto generico di scrittrici come di una categoria a parte, risente ancora della società degli harem. Ed è ancora in uso, te lo ripeto, non solo in Italia, ma in tutto il mondo. Perciò preferisco essere una poeta che una scrittrice.

 

I.G.: La colpa. C’è sempre questa sensazione: che la tua letteratura voglia espiare la colpa della Storia. Un manifesto poetico può bastare per dichiarare la letteratura libera dal “male”?

Elsa Morante: Ecco, ascolta una possibile definizione di scrittore: “un uomo a cui sta a cuore tutto quanto accade, fuorché la letteratura”. Il “Male” di cui parli è uno scandalo: sembra che la Storia corra al suo punto di estrema densità, verso il “buco nero” dove l’umanità vuole alla fine annientarsi: disintegrandosi, intanto, nella propria coscienza. Quanto a me, il sospetto della mia personale colpa, non se ne va. La mia colpa: non sapere comunicare con gli altri, non capirli, non amarli abbastanza. Avere sempre il bisogno di dimostrarmi di non essere meschina. Mi ritornano in mente le parole di Pier Paolo Pasolini “… E oggi, vi dirò, che non solo bisogna impegnarsi nello scrivere, ma nel vivere: bisogna resistere nello scandalo e nella rabbia, più che mai, ingenui come bestie al macello, torbidi come vittime…”. Torbida come una vittima, è questa la sensazione che dò, non è vero?

 

I.G.: Torbida, non saprei, ma mi sembra quasi, a volte, di leggere le storie scritte non da una donna, ma da uno “stato d’animo”. A proposito di Pasolini, avete molto in comune. Anche Pasolini si metteva continuamente alla prova, “la morte non è nel non poter comunicare ma nel non poter più essere compresi”, diceva.

Elsa Morante

Elsa Morante: Pier Paolo è stato mio amico. Ed era un lettore attento. Ricordo quando a proposito de “Il Mondo Salvato dai Ragazzini” scrisse che si trattava di un Manifesto Politico, ma era scritto con grazia e molti avevano preferito vederlo come una delizia e basta, quando, in realtà, conteneva tutte le ossessioni moderne – l’atomica, la morale dei consumi, il profondo desiderio di autodistruzione -. Pier Paolo lo considerava un canto funebre. Gli era molto piaciuto il Mondo perché parlava attraverso un sistema linguistico così comunicativo da scandalizzare. La grazia, la favola e l’umorismo non esprimevano luoghi comuni, non flatus vocis, ma appartenevano a realtà assolutamente originali e vissute personalmente. Pier Paolo mi chiamò anche a recitare per lui in “Accattone”.

 

I.G.: Ne “La serata a Colono” si ritrova il senso del destino che incombe sulla figura di Edipo. Un destino che, però, sembra essere stato scritto proprio dall’Eroe tragico e che segna la caduta del Sole, degli Dei come degli uomini che li venerano. Ma se Antigone rappresenta la “Ragazzina” ed Edipo il “Mondo” degli Infelici Molti, dove si pone Elsa Morante? Non tra i Ragazzini – perché ha conosciuto il Mondo -, non tra gli Infelici – perché è sempre forte questo slancio vitale e anche politico come si può intuire proprio leggendo “La Storia” – ma nemmeno tra i Felici Pochi – perché Elsa ammette di essere infelice, e questo è  il suo maggiore dolore -.

Elsa Morante: Non mi sono mai piaciute le vie di mezzo. O Pro o Contro. Io, però, sono felice se posso scrivere “… Ve lo ripeto, o Signori I.M., non c’è verso: con i F(elici) P(ochi) non ce la potrete mai spuntare (…) Sappiàtelo, o padri meschini I(nfelici) M(olti) d’ogni paese: se ancora il corpo offeso dei viventi resiste in questo vostro mondo di sangue e di denti è perché passano sempre quelle poche voci illese con le loro allegre notizie…”. Per la “Serata a Colono” ricordo che pregai molto Eduardo e Carmelo Bene perché la mettessero in scena. So che Carlo Cecchi è stato recentemente Edipo. Sono contenta che il mio amico di tutta la vita abbia raccolto il mio desiderio e lo abbia realizzato.

 

I.G.: Mi viene spesso alla mente un passo in Aracoeli, per me, molto significativo. Lo conosco a memoria “E allora mi sono guardato negli occhi. Raramente ci si guarda, con se stessi, negli occhi, e pare che in certi casi questo valga per un esercizio estremo. Dicono che, immergendosi allo specchio nei propri occhi – con attenzione cruciale e al tempo stesso con abbandono – si arrivi a distinguere finalmente in fondo alla pupilla l’ultimo altro, anzi l’unico e vero Se stesso, il centro di ogni esistenza e della nostra, insomma quel punto che avrebbe nome Dio. Invece, nello stagno acquoso dei miei occhi, io non ho scorto altro che la piccola ombra diluita (quasi naufraga) di quel solito niño tardivo che vegeta segregato dentro di me. Sempre il medesimo, con la sua domanda d’amore ormai scaduta e inservibile, ma ostinata fino all’indecenza”. Un ritratto dello stato d’animo Elsa-Donna?

Elsa Morante: Sei morantiana davvero, ragazza! C’è sempre, di fondo, l’ansia del volere essere amati. E nonostante tutto, mi rendo conto che le mie sono storie “violente”, che si impongono. Non tanto perché parlino con brutalità di soggetti o realtà “immorali” o “scabrose”, ma proprio perché anche nello stile – molti mi hanno rimproverato di scrivere troppo – la coerenza e il rigore erano necessari per rappresentare, oltre il conflitto ed il disordine del Mondo, le tribolazioni dei personaggi ed è questo senso di smarrimento e di disordine ad essere scandaloso. Anche “L’isola di Arturo” è molto “violenta” da questo punto di vista. Uno strappo tra l’età dell’infanzia e quella adulta. I ragazzini sono nel mezzo, a volte non si rimane ragazzini che per pochissimo tempo. Giusto quello che serve per diventare uomini. Arturo poi decide di chiudere gli occhi e allontanarsi dall’isola. Forse, poi, dovrà ricordarla per inventarsi una nuova vita. Ché forse tutto l’inventare è ricordare. Il passo di “Aracoeli” che mi hai dedicato è davvero “violento”. Si parla di una vita che “vuole essere”, ostinata fino all’indecenza.

 

Elsa Morante

Elsa Morante: Posso farti una domanda io, adesso? (senza aspettare che acconsentissi si fece avanti insolente come solo una sorella può fare) Ami qualcuno?

I.G.: (Arrossii e sorrisi e non risposi. Piegai il capo e lasciai cadere lo sguardo su Alvaro, il gatto si era sistemato sulle mie ginocchia e non me ne ero neppure resa conto. Elsa mi stava concedendo la sua amicizia, lo sentivo).

Elsa Morante: (Mi sollevò il mento e mi fissò con i suoi occhi penetranti e insondabili). L’amore vero è così: non ha nessuno scopo e nessuna ragione, e non si sottomette a nessun potere fuorché alla grazia umana. E tu mi pari proprio innamorata, come si innamorano le donne.

 

I.G.: Come si innamorano le donne, Elsa?

Elsa Morante: Con una grande voglia di conoscere. Solo chi ama conosce (mi accarezzò il viso e sorrise ancora).

 

I.G.: (Sembrava fosse triste anche lei al pensiero di doverci salutare. “Ma tornerò a trovarla, ne sono sicura. Le porterò altri biscotti Krumiri” pensavo. Elsa era molto miope ma aveva guardato da vicino nei miei occhi e aveva trovato che fossi innamorata. Mi ricordava “La pellegrina” de “Il gioco segreto”. E poi mi ricordava “Donna Amalia” de “Lo scialle andaluso”. Era così tante donne, che forse in molti erano troppo persi a cercare di trovare una unica Elsa, invece di scoprire che Elsa era proprio in milioni di donne e anche in milioni di uomini diversi). Elsa, tu che sogno hai fatto questa notte?

Elsa Morante: (Sorrise) Non ricordo. Ma sono sicura che questa notte sognerò fiori rosa.

 

I.G.: Per tutto il pomeriggio me ne andai per le dorate strade di Roma accompagnata solo da una poesia e dal calore della città assonnata.

“Solo chi ama conosce. Povero chi non ama!/Come a sguardi inconsacrati le ostie sante,/comuni e spoglie sono per lui le mille vite./Solo a chi ama il Diverso accende i suoi splendori/e gli si apre la casa dei due misteri:/il mistero doloroso e il mistero gaudioso./Io t’amo. Beato l’istante/che mi sono innamorata di te./[…]”

 

Written by Irene Gianeselli

 

 

2 pensieri su “Life After Death: l’intervista ad Elsa Morante

  1. Grazie molte, Danilo!
    Era importante ricordare questa grande donna e scrittrice.
    Irene

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