“Phobia” di Wulf Dorn: uno studio sulla psicologia dei personaggi e sulle loro paure più profonde
“In quel momento aveva capito che la vita umana consiste soprattutto di paure. Ma la paura più grande è quella di vivere senza lasciare alcuna traccia. Lasciare questo mondo senza aver dato un contributo”.
S’intitola “Phobia” il nuovo romanzo di Wulf Dorn (Corbaccio, 2014), e ci fa capire che il male non si annida tutto nei personaggi all’apparenza malvagi, perché la realtà possiede molte facce. È il secolo delle fobie, questo nostro, delle insicurezze e della paura irrazionale nei confronti di oggetti reali e situazioni esterne.
Così come anche l’inquietudine dell’autore ha il volto dell’integralismo religioso che minaccia il nostro mondo con azioni terroristiche. Bombe, kamikaze, attentati dinamitardi che colpiscono a caso chi non ha nessuna colpa. E infatti, a voler ben indagare ma senza anticipare nulla, questa storia trae spunto proprio da un fatto realmente accaduto.
Ci troviamo nel sud di Londra, a Forest Hill, in una gelida notte di inizio dicembre, quando Sarah Bridgewater sente il marito Stephen rincasare. La donna rimane basita, perché l’uomo era fuori per lavoro e sarebbe dovuto tornare solo alla fine del week end. Quando si alza dal letto e scende in cucina per andargli incontro, la sua vita di colpo subisce un arresto. Quello intento a prepararsi un panino attorno al suo tavolo, ha gli abiti del marito, parla come fosse lui, ma non è Stephen. L’auto parcheggiata nel vialetto è la sua, così come anche la valigetta appoggiata in soggiorno, ma l’uomo che le parla come se lei fosse sua moglie, ha il volto deturpato da miriadi di cicatrici, ed è un perfetto sconosciuto.
Per la donna ed il figlioletto Harvey di sei anni, ha inizio un vero e proprio incubo. La polizia non crede a Sarah, ritenendo più probabile che il coniuge si sia allontanato volontariamente, anche perché, così come era arrivato, lo sconosciuto scompare senza lasciare traccia. Comincia una vera e propria caccia all’uomo, complice il forestiero stesso, che sembra divertirsi a lasciare indizi per Sarah, al fine di farsi trovare. La giovane donna, disperata, coinvolge nella propria personale indagine l’amico d’infanzia Mark Behrendt, lo psicoterapeuta che avevamo conosciuto nel romanzo d’esordio di Dorn, “La psichiatra”.
Mark e Sarah soffrono entrambi di un senso di inquietudine che negli ultimi anni ha paralizzato loro la vita. Mark ha smesso di esercitare la sua professione, da quando la fidanzata Tanya è stata uccisa da un pirata della strada che non è mai stato individuato, scegliendo di annegare il suo senso di impotenza nell’alcol; mentre Sarah, per la paura di fallire, ha rinunciato alla sua collaborazione presso una casa editrice, optando per una vita più defilata. Entrambi dovranno affrontare le loro paure, per procedere nell’indagine e giungere alla soluzione dell’enigma; per riuscire a prevedere le mosse di quell’individuo che sembra sempre spiazzarli.
Cosa vuole da Sarah? Perché ha scelto proprio lei? E soprattutto, che ne è stato di Stephen? Mark e Sarah giungeranno alla scoperta che il male, pur rimanendo tale, può avere diverse sfumature, e che viene sempre generato da una profonda sofferenza. La vita di Stephen ha i minuti contati, bisogna fare presto; mentre i protagonisti si rendono conto che salvando lui, potranno a loro volta salvare se stessi e porre fine a quella paura che li soffoca e rende schiavi.
Wulf Dorn è il mago dello “psicothriller”, abile nel mettere angoscia al lettore, nel farlo dubitare in continuazione. Il suo stile diretto, privo di fronzoli, rende partecipi degli eventi, anche se si brancola nel buio più assoluto. Due pregi, riconosco a questo autore. Non perché egli non ne abbia altri, ma questi sono come una sorta di “firma”. Non è mai prevedibile, ed è abile nel capovolgere le situazioni. Il cattivo diventa “buono” e viceversa, e il tutto lo si deve alla sua profonda capacità di entrare nell’animo umano, nei suoi sentimenti più reconditi e generare empatia. Non giustifichiamo il male, ma arriviamo a comprenderlo. Sarà perché i suoi personaggi negativi non “nascono” soltanto allo scopo di creare scene di violenza, ma hanno una storia, e sono sempre “umani”.
Wulf Dorn, l’autore tedesco tanto amato in Italia, colui che ha venduto 350.000 copie, non ha deluso neppure questa volta. “Phobia” è un thriller dove nulla è lasciato al caso, e dove tutto trova una spiegazione. Uno di quei libri che, quando si giunge alla fine, soddisfa, perché non rimangono dubbi sugli eventi narrati. Una storia ben scritta, che consiglio a tutti gli amanti del genere.
Written by Cristina Biolcati
2 pensieri su ““Phobia” di Wulf Dorn: uno studio sulla psicologia dei personaggi e sulle loro paure più profonde”