Le sculture giganti di Rabarama: una metamorfosi formale per aspirare alla libertà assoluta
Rabarama, ovvero Paola Epifani, nasce nel 1969 a Roma. Il padre pittore e la madre ceramista, non poteva di certo esimersi dall’ereditare la passione per l’arte.
A Padova, dove vive e lavora dal 1990, ha iniziato a collaborare con le gallerie Vecchiato e ora espone in tutto il mondo: dall’America alla Cina, al Nord Europa.
Organizza periodicamente esposizioni di opere inedite con performance multimediali, set di bodypainting e musica d’avanguardia.
Scultrice ma anche pittrice, Rabarama ha iniziato ad essere conosciuta a partire dal 2000, quando le sue opere sono state esposte presso i più prestigiosi musei italiani e stranieri, in particolare negli Stati Uniti e a Parigi.
Una sua scultura monumentale è stata acquistata dal municipio della città di Shanghai, divenendo la prima opera italiana acquistata dal governo cinese.
Le sue gigantesche sculture forgiate in metallo, generalmente in bronzo e alluminio, così come in marmo, sono installazioni che si collocano a terra, principalmente in luoghi pubblici. Rappresentano corpi umani caratterizzati da “tatuaggi” simili alle tessere di un puzzle.
È un’opera di ricerca che, nel corso egli anni, ha portato ad un’evoluzione. Il punto di partenza è una particolare visione del mondo, basata sulla negazione del libero arbitrio, la predestinazione degli eventi e la riduzione dell’uomo a semplice computer biologico.
L’individuo è unicamente “predestinato” dalla genetica e dalla società per cui le funzioni vitali condizionano inesorabilmente ogni atto dell’esistenza.
In sostanza, l’unità psicosomatica è ridotta a pure reazioni fisico-chimiche. L’essere è immerso in una dimensione intima rappresentata dal confine corporeo della pelle.
Quest’ultima, diventa “prigione dell’anima”e spazio per la ricerca esistenziale, in quello che risulta un viaggio sospeso tra realtà e conoscenza.
L’espressività dei soggetti è quasi del tutto assente, ciascuno “imprigionato” nel proprio status quo, avente per comune denominatore una programmazione standardizzata della specie.
L’universo viene quindi concepito come un gioco di incastri, metafora di un puzzle in cui ogni singola parte trova il suo inserimento in un determinato punto spazio-temporale.
Paradossalmente, questa visione pessimistica sfocia nella disperata ricerca del soprannaturale, da riscoprire attraverso il flusso dell’energia creatrice, intesa quale possibile fuga dalla realtà e probabile rifugio.
Lettere dell’alfabeto, geroglifici, puzzle, nidi d’ape, oppure stelle rappresentano le infinite combinazioni e varietà possibili insite nell’umanità.
Le figure che dapprima non esprimevano alcuna ispirazione, subiscono una metamorfosi, “lacerando” la pelle quale involucro che le avvolgeva, nell’incessante tentativo di liberarsi, attraverso quella che si rivela una lotta inutile.
Nella fase successiva della sua esplorazione, Rabarama ha realizzato uomini-albero ricoperti di corteccia e intessuti di fili d’erba, che riconducono al legame simbiotico della stirpe umana con la propria primordiale origine.
In sostanza, l’artista sperimenta un modo originale per descrivere la figura umana, collegandosi a questioni che da sempre agitano il pensiero sulla natura e il destino dell’essere umano.
La metamorfosi incarna l’ideale svolgimento di un’intera esistenza, per cui dalla condizione iniziale di soggetto vincolato, si arriva ad una condizione esistenziale di completa rigenerazione attraverso la libertà.
Rabarama è un’artista che dialoga in maniera diretta con lo spettatore, offrendo a chiunque la possibilità di confrontarsi con tematiche importanti, mediante il linguaggio del corpo.
“Stiamo vivendo un momento di passaggio – ha affermato – e l’idea di rivolgere lo sguardo verso noi stessi, ricercando il perché della nostra esistenza, potrebbe essere importante per un cambiamento positivo”.
Written and photo by Cristina Biolcati
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