“Il cuore selvatico del ginepro” di Vanessa Roggeri: l’antica credenza del nascere settima e dunque strega

Il cuore selvatico del ginepro“, questo è il titolo del romanzo di un’autrice sarda, Vanessa Roggeri, nata e cresciuta a Cagliari, dove si è laureata in Relazioni Internazionali. Lei stessa si autodefinisce amante della Sardegna e della sua civiltà più antica, quella nuragica. Quelle atmosfere legate al passato, ricco di leggende, di magia e di mistero che fin  da piccola la scrittrice ha sentito raccontare dalla nonna hanno ispirato queste suo primo romanzo.

L’ambientazione è quella tipica di un paese sardo, Baghintos, dove religione e superstizione convivono. Siamo alla fine del diciannovesimo secolo e ancora gli abitanti di questo piccolo villaggio credono che la settima figlia nata sia una strega o come la definiscono loro coga.

Infatti la protagonista è una bambina che fin dalla nascita si porta la colpa di un’antica credenza: quella di nascere settima e quindi strega. Nessuno però ha il coraggio di ucciderla. Né la levatrice, né il padre, né tantomeno la sorella maggiore, Lucia che darà il nome alla piccola di Ianetta, dopo averla trovata abbandonata all’aperto e al freddo. Già da qui si sente l’ispirazione da cui ha tratto la storia Vanessa Roggeri.

Dalla storia di una coga, narrata dalla nonna alla nipote, quando era bambina. Storia che ha suggerito la figura di Ianetta, una bambina e poi una donna che lotta per sopravvivere alle superstizioni e contro esse. O quella della madre Assunta che cerca di uccidere sua figlia, perché vinta dalle false credenze popolari. O quella della sorella maggiore Lucia che è capace di vedere sua sorella solo come una creatura da amare.

È la figura femminile in tutte le sue facce la vera protagonista del romanzo. Insieme all’isola della Sardegna con i suoi antichi riti, le sue credenze e i misteri.

La Sardegna che tempra tutti i suoi abitanti e i personaggi della storia di un carattere molto fiero e indomito. Come Lucia, che andrà oltre la superstizione e aiuterà la sorella a vivere, parlandoci spesso, non isolandola come il resto della famiglia e del paese. Ianetta è infatti la figura di una persona emarginata e vinta dalle chiacchiere e dalle voci di paese, alimentate dalla fantasia delle altre sorelle e degli altri paesani. Tranne Lucia. Tranne il dottore, che non crede in tutte queste voci e nella malvagità di Ianetta, vista da lui come una donna malata di artrite e quindi una persona da curare.

Ianetta e Lucia, due sorelle che non vivono nella stessa casa, ma che nel corso del romanzo si aiuteranno molto l’una con l’altra, per superare e vincere le difficoltà create dalle maldicenze di paese. Lucia  ha un nome  che già ci dice che porterà la luce nel buio della superstizione.

È la forza positiva che distrugge il malocchio. Come certi opercoli di molluschi che la scrittrice raccoglieva nella spiaggia da bambina, che venivano chiamati Occhi di Santa Lucia, in grado di proteggere le persone dalle superstizioni e dalle chiacchiere.

Sono due figure tragiche e assomigliano per carattere e anche per la rassegnazione che talvolta le caratterizza ai personaggi dei romanzi di un’altra scrittrice sarda: Grazia Deledda. Sembrano infatti canne al vento. Anche nel romanzo della Roggeri, come in quelli della Deledda è la figura della donna protagonista.

Perché la Sardegna è una società di tipo matriarcale, la cui famiglia ruota intorno al ruolo della padrona di casa che non amministra il suo potere in modo esplicito o con clamore, ma attraverso l’autorevolezza che le deriva di essere la depositaria di antichi saperi. In questa storia l’autrice racconta dell’isola nella quale vive esprimendo l’amore verso la sua terra.

La Roggeri narra, infatti, in un’intervista pubblicata in fondo al libro che scrivere questo libro mi ha fatto sentire a casa.  I personaggi sono legati, come ancora oggi sono i sardi, alla propria terra. Infatti, spiega sempre la Roggeri nella stessa intervista,il patrimonio immateriale della Sardegna sopravvive nel modo più intimo all’interno delle case, delle famiglie e delle comunità circoscritte. Per comprendere come certe tradizioni siano ancora vive basti pensare che ancora oggi  in ogni paese c’è una persona,nella maggioranza dei casi, una donna, che pratica il rito per togliere il malocchio. L’unica differenza è che in quest’epoca di modernità e di tecnologia, di certe cose si parla con pudore. “

 

Written by Maria Romagnoli Polidori

 

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