“Penelope alla guerra” di Oriana Fallaci: la faccia giovane del cinismo

Su Oriana Fallaci hanno scritto in tantissimi, soprattutto nel suo ultimo periodo di vita. La sua presa di posizione a favore degli Stati Uniti e contro l’Islam dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 ha fatto indignare molti e applaudire altrettanti, soprattutto con il suo libro “La rabbia e l’orgoglio”.

Ma c’è una Oriana precedente al terribile crollo delle Torri Gemelle, quella che partiva per il Vietnam in guerra per raccontare gli americani e i vietcong. E non è solo la giornalista che tutti noi ricordiamo.

All’inizio degli anni ‘60, infatti, iniziava il Concilio Vaticano II, al cinema usciva il primo film di James Bond e in libreria il primo romanzo dell’invitata fiorentina, “Penelope alla guerra” (Rizzoli, 1962).

All’epoca era una donna di ventotto anni, con ancora tanta strada da fare ma il talento e la passione per il raccontare c’erano già e si vedeva bene. Mentre USA e URSS si minacciavano con le bombe atomiche sempre pronte al lancio, la Fallaci dava alla luce la sua prima opera di narrativa che, in seguito, i critici letterari avrebbero definito “un’opera giovanile”. Riduttivo, magari, ma noi non ci fermiamo sicuramente a questo.

Siamo nel 1957, tra Italia e New York, anche se la Grande Mela è al centro praticamente di tutta l’opera. Perché Giò, giovane scrittrice cinica quanto basta, viene mandata negli Stati Uniti per trovare l’ispirazione per un nuovo libro. L’editore la supplica di partire e le chiede che il soggetto sia “moderno e brillante”, lei accetta e lascia a Roma Francesco, un ragazzo che ha un debole per lei. Non è una storia vera, lui prova qualcosa ma lei non tanto, la separazione avviene quasi senza accorgersene. O quasi. La protagonista vuole l’America, è il suo sogno, ma il suo non è propriamente un viaggio di formazione.

Oltreoceano trova, almeno apparentemente, il Paese che si aspettava. Quello delle megalopoli sempre illuminate, i party alla sera e la vita che esplode tra le vie della città. Quando però rincontra Richard, un ragazzo ospitato da Giò durante la Guerra, tutto cambia. Nella giovane nascono nuovi sentimenti, dalla paura all’amore, e i due si frequentano sempre più spesso. Ma lui a volte si nasconde in un impenetrabile silenzio, inaccessibile dall’esterno, e lei non riesce a capirne il motivo.

In questi momenti di vuoto si inserisce Florence, la madre di Richard a cui lui è estremamente legato, pronta a tutto pur di proteggere suo figlio nonostante sia ormai un uomo maturo. Ma l’amato della scrittrice italiana è troppo fragile e nasconde un segreto che solo con l’aiuto di Bill, il miglior amico di Richard riuscirà a svelare. Ma la scoperta sarà uno shock che Giò non potrà ignorare, guardando ora l’America non più come la Terra Promessa ma come è realmente. Non un pianto, non una lacrima, l’alter ego della Fallaci è troppo forte per questo.

Il libro si conclude con il cinismo della protagonista, incrollabile nonostante tutto, che trova nella storia appena vissuta la fonte d’ispirazione per il soggetto che stava cercando. Una mazzata per gli amanti dei finali “e vissero felici e contenti”, quest’opera non è propriamente per loro e, forse, se la giornalista fiorentina l’avesse scritta dieci anni dopo il finale sarebbe potuto anche essere diverso. Ma alla fine quello che conta sono le lacrime non versate, le parole non dette e gli attimi che non sono mai stati vissuti. La sofferenza c’è, si tocca con mano, ma bisogna conviverci.

A leggerlo sembra quasi che sia il lettore a soffrire più dei protagonisti, si ha sempre l’impressione che qualcosa possa cambiare ma alla fine tutto torna come prima. Ciò non toglie niente al libro, che è un romanzo duro e crudo che ti lascia dentro qualcosa a forza. Sarà che qui il protagonista non è più l’Ulisse lontano, ma Penelope che lascia perdere la sua tela e si da fare; sarà che l’America è pur sempre l’America, anche se non luccica come sembra. Una donna così solo Oriana Fallaci sapeva disegnarla. 

 

Written by Timothy Dissegna

 

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