“Viva la vida” di Pino Cacucci: un monologo sulla vita di Frida Kahlo
“Sono nata con lo scroscio della pioggia battente. E la Morte, la Pelona, mi ha subito sorriso, danzando intorno al mio letto. Ho vissuto da sepolta ancora in vita, prigioniera di un corpo che agognava la morte e si aggrappava alla vita”.
Frida Kahlo (1907- 1954) in Messico è ovunque. Essa ha incarnato lo spirito profondo del Paese, ne ha colto l’”anima ancestrale”, facendosi interprete di gioie e dolori. Per questo chi ama quest’icona dell’arte contemporanea, non può fare a meno di leggere un breve monologo (appena 77 pagine) che, della Kahlo, offre un’ interessante chiave di lettura.
Un saggio piacevolissimo che permette di “ripassare” tutti in fila, uno dietro l’altro, gli avvenimenti che hanno caratterizzato la sua vita.
Stiamo parlando di “Viva la vida”, fra l’altro una delle frasi preferite della pittrice messicana, che pare abbia pronunciato anche in punto di morte. Tale opera è stata ideata dal giornalista e scrittore Pino Cacucci, grande estimatore di Frida Kahlo, per una sceneggiatura teatrale. Nonostante il progetto non sia andato in porto, l’autore ha pensato di “dare voce” alla pittrice attraverso questo saggio, aggiungendo alcune pagine per riepilogare i tratti salienti della sua vita e qualche considerazione personale.
L’opera, edita da Feltrinelli nel 2010 nella collana “I Narratori”, nel gennaio 2014 è uscita in ”Universale Economica”. Frida Kahlo ha sempre “preso la vita a morsi”, quindi questo monologo, che appare intenso e crudo, comunica allo stesso tempo una grande gioia di vivere.
È un inno in cui è racchiusa tutta la volontà di una donna che da giovanissima ha avuto il corpo straziato da un incidente stradale e ha sempre voluto evitare di suscitare compassione. Era il 1925 e Frida aveva appena 18 anni. Su quell’autobus speronato da un tram nella piazza del mercato di San Juan, ha guardato in faccia la “Pelona”, la morte, che come spesso amava ricordare, le ha sempre danzato attorno.
Ferita in maniera devastante, a dispetto delle leggi fisiche e di ogni previsione, in modo oseremmo dire miracoloso, riesce a sopravvivere. Ma da quel giorno in poi, ingaggia con la morte una sorta di lotta “corpo a corpo” che è a dir poco sfiancante. Logorata nel fisico, colei che si è definita “storpia rompicoglioni”, inizia a dipingere per sconfiggere il dolore.
Costretta per lunghi mesi all’immobilità, ritrae se stessa tramite uno specchio posizionato sopra al suo letto. Nonostante tutto, la vita di questa “soldadera” è incredibilmente intensa, costituita da grandi amori e violente passioni. Fra tutti, Diego Rivera, grande pittore di murales messicano, di vent’anni più vecchio, ingombrante nel fisico e nella vita, che nel 1929 diventa suo marito.
Un amore contrastato, travagliato, costellato da tradimenti, da parte di entrambi. Ma forse quello di Frida era soltanto un modo di reagire e prendersi le sue rivincite, di fronte a quell’uomo, dongiovanni incallito, animato da un perverso tentativo di distruggere chi amava. Diego oscurava Frida, ma allo stesso tempo era il suo unico grande amore. Il solo uomo dotato di quella sensibilità tipicamente “femminile” che Frida andava ricercando nelle sue esperienze saffiche. Diego tradirà Frida anche con la sorella di lei, Cristina.
Per la pittrice sarà come ricevere una pugnalata al cuore, un affronto personale e difficilmente perdonabile. Si lasciano, ma non riescono a stare lontani. Divorziano, ma poi si risposano. Anche gli avvenimenti politici, all’interno del Paese, sono vissuti dalla Khalo con dirompente passionalità e partecipazione.
Nel monologo, l’appassionata esistenza di Frida Kahlo viene ripercorsa dalla protagonista mentre sta “correndo verso la morte”, negli ultimi istanti di vita. Lo svolgimento della trama è concepita coi tempi di una “pièce” teatrale, durante la quale Frida torna con la memoria ai patimenti della sua reclusione forzata, ai suoi deliri artistici di pittrice “affamata” di colore, alla sua relazione con Rivera, ovvero la storia dell’”elefante e la colomba” così come i coniugi venivano soprannominati. Forte, quasi insopportabile, è il dolore per una maternità che a lei è stata negata.
In “Viva la vida” si evince la sintesi infuocata della sua esistenza di donna che, con “ali di gabbiano nero” per sopracciglia, ha incantato un’intera generazione.
“Una bomba avvolta in nastri di seta”, così come venne definita dal poeta e critico d’arte francese André Breton; dalla voce profonda e la risata dirompente. Frida, dal fascino particolare, dagli occhi perforanti ed eternamente vivi. Essi non si sono mai chiusi e sono rimasti fissi su di noi che la guardiamo negli autoritratti, perché, come ha “dipinto” sul suo diario poco prima di quel 13 luglio 1954, “continuerò a scriverti con i miei occhi. Sempre”.
Written by Cristina Biolcati
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