Intervista di Irene Gianeselli al cantautore Mano ed al suo album “La Pulce nell’Orecchio”
Mano è il nome d’arte di Marco Giorio (classe 1983). Figlio di un fisarmonicista e sassofonista, ma autodidatta, comincia giovanissimo a suonare e scrivere canzoni. Nell’adolescenza fonda i Sambucus Nigra, con i quali esplora il mondo del reggae e del rocksteady, ma sempre in maniera molto personale.
Successivamente, nel periodo universitario, fonda i Malaweeda, esperienza che culmina con l’esibizione al Rototom Sunsplash e con il disco “Effetti Negativi” (2007). Poi è il turno di Micapungo, progetto pop-rock contaminato, coi quali si esibisce un po in tutta la penisola, vincendo anche il concorso nazionale Rock Targato Italia.
Dal 2011 è anche membro dei Los Refuse’, band di alt-folk in cui da spazio alla sua indole di polistrumentista suonando tastiere, percussioni e cantando, insieme a JacopoValsania e AlessandroPaletta, nel caratteristico trio vocale.
Nel 2012 comincia l’avventura solista. Inizialmente si esibisce da solo, chitarra acustica e gran cassa e in breve tempo comincia a collaborare con Gabriele Agangi (chitarrista de LaStanzaDeiGatti), con il quale stende la maggior parte dei brani. Successivamente entrano a far parte dell’equipaggio anche Antonio Vomera (bassista dei Movion), Cristian Longhitano (già batterista di Micapungo) e Simone Cravero (percussionista, preparatore atletico).
Dopo due anni intensi di live esce il primo disco “La Pulce Nell’Orecchio” (La Sete Dischi) in questo progetto Mano si cala nelle vesti di produttore artistico oltre che autore, curando dalle riprese al missaggio, affidandosi per il mastering alle orecchie esperte e chirurgiche di Andrea Brasolin (già trombettista nei Malaweeda, attualmente nella crew dei MartaSuiTubi).
I.G.: Come nasce la tua musica, così multiforme?
Mano: Mi piace rispondere come risponderebbe Bruce Lee: “usa il non-metodo come metodo e l’assenza di limiti come limite”. La mia musica è “multiforme” perché non è solo mia, ma è anche degli ospiti che ho voluto coinvolgere e dei musicisti del collettivo “Angioma Killer”: Gabriele Agangi (chitarre e synth) Antonio Vomera (basso e syntbass), Cristian Longhitano (batteria ibrida, percussioni), Angelica Vomera (oltrevoce), Simone Cravero (preparatore atletico, consigliere, ganci). La mia è la musica di un uomo curioso: non siamo “mono emotivi” perciò la mia scrittura segue, fin dove possibile, i miei sbalzi d’umore e le sensazioni che nascono nell’ ascoltare i grandi della musica.
I.G.: A chi ti ispiri?
Mano: I miei ascolti sono molto vari: dai Nirvana a Bob Marley, dal rap al cantautorato italiano e non, “buttandoci dentro” tutta la musica che in un certo senso mi “arriva”, ovvero qualsiasi assemblaggio di suoni (quindi non per forza solo parole) che riesce ad incuriosirmi e stimolarmi nei modi più diversi. Inevitabilmente tutto questo si riflette nelle canzoni. Mi rivedo parecchio in Beck, perché anche la sua musica è estremamente “multiforme”. Non posso proprio dire di ispirarmi a lui nonostante apprezzi molto il suo sperimentare saltando da mondo a mondo, da un rap marcio come “Loser” a una ballade come “It’s All In Your Mind”. Mi riconosco nell’essere libero “dai generi”.
I.G.: Come nasce il progetto de “La Pulce nell’Orecchio”?
Mano: Questo album è il prodotto finale di un periodo di esperimenti “pseudo – acustici”. Uso il termine “pseudo” perché in quasi tutte le canzoni c’e anche molto di elettrico e qualcosa di elettronico. Cercavo una dimensione diversa da quelle dei gruppi in cui ho suonato fino ad oggi, dove poter dare voce alla mia vocazione di arrangiatore e polistrumentista. “La Pulce nell’Orecchio” nasce dal desiderio di togliermi alcuni “sfizi” – ad esempio registrare con gli archi – e dal bisogno di mettermi alla prova come produttore oltre che come autore.
I.G.: Qual è tra le undici tracce quella che credi rappresenti in maniera immediata la situazione dei nostri giorni?
Mano: Una sicuramente è la traccia di apertura “Distanza Perfetta”: volevo ritrarre come in una fotografia da lontano il nostro pianeta di assurdi esseri in cui si vive in alcuni casi, a parere mio, assurdamente, “microscopici e insignificanti, ognuno col suo lavoretto”. “La Parlantina” è l’unica canzone dove compare Manita, il mio alter-ego rapper, un po’ femmina, un po’ “stronza”, molto arrabbiata perché molto frustrata, disturbata e disturbante, personaggio che avrete modo di conoscere meglio nei prossimi lavori. Questa canzone è un “quasi – rap” vagamente asmatico, un flusso di coscienza dove “sparo a trecentosessanta gradi” su parecchie questioni sia personali che d’attualità.
I.G.: Come definiresti te stesso e il tuo disco d’esordio?
Mano: “Cantautore ma non proprio”, perché non posso definirmi cantautore al pari di Gaber o DeAndrè, ma sono comunque autore delle canzoni che canto e questa è ad ogni modo la condizione necessaria per definirsi un cantautore. Come definirei il mio disco d’esordio? Ho deciso di pubblicarlo ufficialmente soltanto quando ho trovato qualcuno che mi sembrava davvero interessato a promuoverlo. Questo qualcuno è Michele Maraglino, della neonata net-label LSD [“La Sete Dischi”]. La sigla dice già molto e sono onorato di essere il primo artista del roster.
I.G.: Che pulce intendi mettere nell’orecchio di chi ascolta?
Mano: Mi sembrava un modo non troppo rumoroso e in linea con le mie modalità di scrittura per generare curiosità nei confronti di questa raccolta di canzoni.
I.G.: Progetti futuri?
Mano: I progetti sono futuri ma non proprio, perché spero il prima possibile di registrare le nuove canzoni. Ho in mente di seguire tutta la produzione come per il mio esordio, ma questa volta cercando collaboratori tecnici e pratici. Nel prossimo disco Manita avrà molto più spazio, addirittura sto valutando se fare uno “split” tra Mano (la mia tendenza più melodica, sognatrice) e Manita (la tendenza più ritmica, cinica e spietata), vedremo, mi piace decidere cosa fare strada facendo, ma nel frattempo partire.
Written by Irene Gianeselli