“La Signora di Sing-Sing” di Idanna Pucci: la storia di Maria Barbella ancora oggi attuale in Iran con Bilal

Un tema ancora tristemente attuale nel 2014, quello della pena di morte. Sono molti i paesi in cui le esecuzioni vengono ancora messe in atto, nonostante il progresso raggiunto e i tanti passi avanti fatti su molteplici fronti.

Proprio qualche giorno fa la straordinaria e rarissima reazione di una mamma, Bilal, che coraggiosamente perdona l’assassino di suo figlio in Iran e sospende l’esecuzione in piazza, ha catalizzato l’attenzione mediatica mondiale, marchiando un precedente importante proprio in uno dei paesi con il più alto tasso di esecuzioni al mondo.

Questa reazione arriva dopo una rara e inusuale campagna di mobilitazione, momento importante di condivisione di un tema tanto delicato che ha scosso le coscienze di molti, oggi come in passato, facendo riflettere sul senso ultimo di una pena che raccoglie attorno a sé motivazioni umane, religiose e sociali, sempre attuali, catapultando un esito inizialmente scontato.

La campagna di mobilitazione in Iran che ha riunito artisti e sportivi a favore di una vita, mi ha riportato indietro nel tempo, precisamente alla storia di Maria Barbella, prima donna, emigrata italiana, ad essere condannata alla sedia elettrica negli Stati Uniti d’America nel 1895 per l’omicidio del suo amante Domenico Cataldo.

La Signora di Sing-Sing di Idanna Pucci, edito da Giunti Editore, narra in modo preciso e puntuale date e avvenimenti di quella che fu la prima campagna di mobilitazione a favore di una giovane emigrata da Ferrandina (Matera) a New York, che alla fine dell’’800, sedotta, drogata e circuita con la promessa mai mantenuta di essere sposata, uccise un suo corregionale, in realtà già sposato e padre.

L’omicidio non è mai giustificabile, neanche al cospetto di un quadro seppur misero e gretto come quello in cui vive la protagonista del libro. Ma non lo è neanche la pena di morte e riuscirono a dimostrarlo a favore di Maria Barbella tutti coloro che si schierarono dalla sua parte, dopo un primo processo, poi invalidato, a seguito del quale la lucana trascorse diversi mesi nella prigione di Sing-Sing, dopo un iniziale periodo a Le Tombs.

Un caso umano e politico che appassionò la stampa americana dell’epoca ma soprattutto la Contessa Cora Slocomb di Brazzà, facoltosa americana sposata a un nobile friulano, bisnonna dell’autrice del libro, che venuta a conoscenza in Italia di ciò che stava accadendo oltreocenano, mobilitò una campagna a favore della giovane Maria.

Grazie alle sue potenti conoscenze nell’editoria, tra le suffragette e gli intellettuali dell’epoca e a intelligenti iniziative, riuscì a rendere nulla la prima sentenza. Smuovendo profondamente l’opinione pubblica americana, dimostrò che il primo processo non aveva consentito a un’immigrata dell’Italia meridionale di essere difesa come qualsiasi altro cittadino americano, rese possibile una difesa adeguata ma soprattutto riuscì straordinariamente nell’intento di risparmiare la vita di una donna con un passato di miseria alle spalle e priva della capacità di difendersi dalla volontà di un uomo che aveva abusato di lei, fisicamente e mentalmente.

Le recenti immagini dell’ultimo esempio di “mancata” esecuzione in Iran sono forti. Lo schiaffo della madre della vittima all’assassino di suo figlio è un gesto toccante, intimo e profondo. È uno schiaffo all’assassino ma anche a noi tutti, affinchè si possa, con maggiore determinazione, destare le coscienze  contro la pena di morte, con campagne di mobilitazione che in una New York di fine ‘800 e in Iran nel 2014, hanno contribuito affinchè si andasse oltre.

Dal 2005 il piccolo paesino lucano di Ferrandina fa parte delle “Città per la vita”, secondo un’iniziativa della Comunità di Sant’Egidio contro la pena di morte che con news, campagne e appelli da tutto il mondo lotta per “affermare il diritto alla vita di tutti”.

 

Written by Irma Silletti

 

Info

Sito Città per la vita

 

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