“Nulla, solo la notte”: la rivalutazione dello scrittore americano John Edward Williams
“Così cominciava a sentirsi un po’ meno al sicuro, in quella sospensione; e via via che aumentava la consapevolezza, diminuiva la sua gratitudine, e quella sensazione lo trafiggeva intensamente, e d’improvviso, con una transazione illogica, scopriva di non essere più perfetto in quella di tenebre, ma di essere diventato qualcosa, un’identità, imperfetta e viva, in un miasmatico mondo di luce che iniziava a emergere dal vuoto.”
Fino a qualche tempo fa in ben pochi sapevano chi John Edward Williams (1922 – 1994) fosse, sia in America che, e ancora meno, in Europa. Ma nel 2006 la New York Review of Books ha dato nuovo valore agli scritti di questo autore americano, vincitore di un National Book Award per la narrativa nel 1973, permettendo così la ripubblicazione delle sue opere.
“Nulla, solo la notte” (Fazi Editore, febbraio 2014) è il romanzo d’esordio, scritto tra il 1942 e il 1945, durante il servizio militare in India e Birmania, all’interno del quale prosa e poesia, le due grandi passioni di Williams, si fondono facendone una storia d’altri tempi.
Arthur Maxley è un ventiquattrenne americano la cui vita si è accidentalmente fermata il giorno della scomparsa della madre. Il padre, da quel momento perennemente assente, come in fuga dalla sua vita passata, non è stato capace di seguire nella crescita quel figlio così apparentemente fragile e cagionevole. Ed Arthur porta avanti la sua esistenza con fatica e tedio nell’attesa che nulla di troppo eclatante possa sconvolgerlo.
La trama in sé è in fin dei conti piuttosto semplice ma durante la lettura si comprende che vi è molto più di questo. Vi è il disagio causato da un lutto e la conseguente ricerca di una risposta che forse non giungerà mai. Vi è la fatica di un ragazzo che non comprende come gestire la propria vita e che per questa ragione la conduce in modo superficiale, a tratti dissoluta nel tentativo di negare le regole della società e le imposizioni religiose.
È un ritorno ai romanzi che avevano come protagonisti gli intramontabili dandy come Baudelaire, Wilde o Rimbaud: al proposito, sarà forse un caso se il protagonista del romanzo si chiama proprio Arthur come il poeta francese?
Il suo è indiscutibilmente un dandismo inusuale, procurato da un trauma profondo e da un considerevole complesso di Edipo. Ma si sviluppa in modo quasi inconsapevole tramite le infinite riflessioni del protagonista, gli incontri con personaggi pseudo – romantici ed in particolare con una donna che rivela essere di nazionalità boema, patria di grande contraddizioni e culture. Non mancano inoltre le similitudini con “Il grande Gatsby” di Fitzgerald, scritto e pubblicato vent’anni prima circa.
Una storia fragile, breve, ma nonostante ciò trascinante e sognante fino all’epilogo crudele, feroce e spietato come la vita stessa, conseguenza dei comportamenti dell’ingenuo Arthur, come a segnare il passaggio ormai inevitabile dall’età della fanciullezza a quella della maturità.
Written by Rebecca Mais
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