Sofocle: il mondo concettuale del tragico greco che ha isolato l’eroe nella sua solitudine

Presentate attraverso le recensioni tutte le opere di Sofocle, offro una riflessione sul suo mondo concettuale che sia di sintesi e di approfondimento per chi mi abbia fin qui seguita e di introduzione a chi voglia immergersi nella conoscenza delle sue opere.

Quando mi accosto a questa figura sento tutto il timore reverenziale che mi ispira un colosso della letteratura, ancora più stupefacente se si pensa che egli, vissuto nel V^ sec. a. C. (Colono,496-Atene, 406), ha indagato la psiche umana con una profondità straordinaria per i suoi tempi e ha anticipato tutte le riflessioni che sulla psiche sono state elaborate, influenzando radicalmente il pensiero del fondatore della psicoanalisi S.Freud, Viennese. Dopo quello che ha scoperto Sofocle sull’uomo, chiunque deve andare cauto quando si avventura a scandagliare le dinamiche psicologiche umane: egli ha già detto tutto sulla sofferenza dell’uomo, su i suoi conflitti interiori, sul rapporto che intercorre tra l’essere umano e il divino.

Per cui vi prego di leggere questo mio contributo in religiosissimo silenzio. Non sto esagerando, se lo stesso Aristotele della Poetica afferma che Eschilo è l’iniziatore della tragedia, Sofocle l’ha portata alla sua massima espressione, ed Euripide, con il suo relativismo, ne segna l’inizio della decadenza. Era abitudine dei Greci, ma anche dei moderni, porre in relazione stretta i tre tragediografi, ma io penso che Sofocle è di tale grandezza che vive per se stesso e sempre vivrà nei secoli a venire.

La sua lunga vita gli consentì di conoscere la grandezza e il declino dell’Atene del V^ sec.: egli conobbe la potenza di Atene al suo massimo splendore e la democrazia istituita da Pericle, del cui circolo culturale faceva parte, accanto a illustri come Fidia, allineati col potere, ma anche grandi rivoluzionari del pensiero, come i Sofisti, Gorgia e Protagora, per citare i più noti.

Pur non essendo di origini aristocratiche, ebbe un censo tale che gli consenti i migliori studi, e si distinse fin dai quindici anni, conducendo il coro di giovinetti che celebravano la vittoria di Salamina; a fianco di Pericle, fu anche stratega nel 442 nella spedizione di Samo; poi fu a fianco del democratico Nicia; probulo, ricoprì anche funzioni religiose in veste di sacerdote di Asclepio, la cui statua accolse nella sua casa, come segnale della sua profondissima fede.

Uomo totalmente realizzato, diremmo senza dubbio: felicemente sposato ebbe due figli, di cui una da una concubina; si suole pertanto raffiguralo nell’iconografia e nella statuaria come la perfetta incarnazione dello spirito apollineo dell’equilibrio greco (metriòtes); talmente equilibrato che, appresa la notizia del nemico in arte Euripide, si presentò a teatro vestito a lutto, anticipando il pensiero senecano della compassione umana: “Tutti sono mortali, anche il mio nemico lo è” (Seneca).

Nonostante i successi arrisi e la piena sua realizzazione, ebbe tutto il tempo per riflettere sulla condizione dell’uomo, con toni di profondo ripiegamento interiore, come si desume da tutte le sue opere, specie quelle dedicate ad Edipo. Nell’Edipo a Colono (demo attico) infatti vediamo Sofocle che, prossimo alla morte, lungamente e penosamente riflette sul destino dell’uomo perituro, di quell’uomo che tanto può fare nella vita(e il suo secolo lo dimostra!), ma non può sfuggire all’abisso della morte, qui visto come una liberazione dal male psichico. ”Meglio non esser nati, o, una volta nati, vedere al più presto la fine della luce”, in una amara constatazione che lo unisce profondamente ai poetici lirici. Per la Poetessa Saffo, la vita è sofferenza sulla nera terra, ma la luce che rifulge dalla gloria poetica ci rende eterni, ebbene di questa luce risplende Sofocle che ha vinto e vincerà “di mille secoli il silenzio”.

Perché gli attribuiamo tanta grandezza? Per una lunga lista di motivi da cui enucleo i principali: 1) Ha rivoluzionato la tragedia, sciogliendo la quadrilogia in singole opere, sì da dare più spessore al singolo eroe, dannatamente solo; 2) ha inserito il titretagonista (terzo attore) sì da conferire maggiore drammaticità alla rappresentazione e da consentire dialoghi tra i protagonisti, portando dentro la tragedia il dibattito sofistico. 3)Ha infatti sostituito al monologo eschileo statico il dialogo dinamico; 4) ha elevato il numero dei coreuti da dodici a quindici, ampliando l’aspetto spettacolare del dramma e dando uno spazio maggiore al corifeo (guida del coro) che spesso interloquisce con il protagonista, consigliandolo e inducendolo alla riflessione; 5) ha spostato l’attenzione dal piano divino (centrale in Eschilo) a quello dell’uomo, fondando un teatro antropocentrico; 6) ha isolato l’eroe, disaminandolo con una perizia impensabile ai suoi tempi e ha anticipato il dramma moderno e il romanzo psicologico del ‘900.

Potrei aggiungere altro, ma ho l’obbligo della sintesi. Riflettiamo su questo dato: l’eroe è solo e nella sua solitudine combatte fino allo stremo delle forze (tutti i suoi personaggi docent) prima di rassegnarsi rispetto alla potenza degli dei, che è assoluta quanto la solitudine dell’eroe. Edipo, ad esempio, dà fino alla fine la caccia al colpevole della morte di Laio, suo padre, per poi dover sopportare che l’omicida è proprio lui. Vi rendete conto del dramma? L’eroe prima sviluppa una “nobile sopportazione del dolore” e poi, sfibrato dall’accertamento della sua verità, si autopunisce con l’accecamento, che gli consente di approfondire la conoscenza della sua interiorità e del male che in lui alberga. Altrove gli eroi muoiono (Antigone, Eracle, Eteocle, Polinice, Aiace) perché talmente invasiva è la potenza degli dei che l’uomo ne resta angosciatamente schiacciato. E pur combatte, questo è quel che conta e questo esprime la fiducia nell’uomo del V^ sec. a. C., moralmente forte perché in grado di nobilmente sopportare.

La nobile sopportazione del dolore è il messaggio che passa agli spettatori, che sono consapevoli di quanto sia stata dura la vita della Grecia, perseguitata da una congenita povertà economica; per cui lento e faticoso è il progredire dell’uomo, che non deve inorgoglire per i successi conseguiti, perché l’invidia degli dei è la spada di Damocle, e non si può conoscere il destino di un uomo se non post-mortem, come affermerà il coevo Erodoto, attraverso le parole di Solone. Appeso ad un filo è l’uomo, ma anche la città e la Grecia, perché la storia insegna che un attimo può rivoluzionare le sorti di un intero popolo e che è certo che: ”Le città piccole diventeranno grandi e grandi le piccole” (Erodoto). La tenacia dell’uomo e la sua volontà sono centrali nella tragedia, ma sempre con questo monito a tener fede ai principi delfici del “Conosci te stesso”, che poi non è altro che conoscenza dei limiti, e del “Niente di eccessivo”, che poi è invito alla misura e all’equilibrio per non scadere nella hybris, incorrendo nella  punizione degli dei.

A conclusione, direi che Sofocle porta dentro la tragedia l’antropocentrico dibattito sofistico, per dimostrare però che non è l’uomo “misura di tutte le cose”, ma lo è il dio, benché all’uomo vengano riconosciuti spazi di libertà, di libero arbitrio, di scelta consapevole, assenti nel teatro eschileo.

Per tutto quanto detto, l’immagine di un Sofocle sereno, felice e contento va certamente rivista; egli, uomo di successo, non si inorgoglisce, ma resta meditabondo sul destino precario dell’uomo e della fama connessa, lasciando un’eredità spirituale che mi sembra che i moderni trascurino. Per questo con i miei contributi cerco di rilanciare la cultura classica, che ci ammonisce alla riflessione e alla ricostruzione di un uomo consapevole di punti di forza e di debolezza.

 

Written by Giovanna Albi

 

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