“Edipo a Colono”, l’ultima tragedia di Sofocle: una riabilitazione spirituale dell’eroe

La tragedia, rappresentata postuma nel  401 a. C, è l’ultima opera di Sofocle e la continuazione dell’Edipo re (che ho già presentato, a cui rimando) e quindi si inserisce nel ciclo tebano, che tratta del destino della famiglia dei Labdacidi, discendenti di Labdaco, nonno di Edipo.

Benché la tragedia rappresenti ancora l’eroe nella sua solitudine, come tipico delle tragedie sofoclee, mi sono elementi di novità indiscussi sui quali è davvero il caso di riflettere, perché quest’opera è il testamento spirituale del vecchio Sofocle ormai prossimo alla morte, sulla quale lungamente ha riflettuto e riflette.

Andiamo alla trama, perché gli antefatti sono noti per chi mi ha seguita in questo tour tragico: Edipo, appresa la verità su di lui (si veda L’Edipo re) stanco e cieco, si è allontanato dalla città di cui era re, Tebe, e se ne andato in volontario esilio nel demo attico di Colono, alle porte di Atene, accompagnato dalla figlia-eroina Antigone, quella dell’omonima tragedia sofoclea.

Gli abitanti del demo vogliono cacciarlo, perché temono  la contaminazione (mìasma), poi, impietositi dal racconto della sia vicenda, si rivolgono al re di Atene, Teseo. Costui, ovviamente espressione della democrazia illuminata e del senso dell’equilibrio, celebrato nel famoso Epitaffio di Pericle (libro II^ Storie di Tucidide), accoglie il supplice nel demo e gli garantisce protezione. Di qui un’ esaltazione di Atene da sempre rifugio degli stranieri, e ricettacolo di ospitalità. Precisiamo che per i Greci l’ospitalità era cosa sacra e si creava un patto tra la famiglia dell’ospite e quella dell’ospitato che si estendeva a tutte le generazioni a seguire (si veda l’incontro tra Glauco e Diomede nell’Iliade, libro VI).

Giunge nel frattempo da Tebe Ismene, sorella di Antigone e figlia di Edipo, che racconta il litigio dei tue fratelli, Eteocle e Polinice, per il possesso del regno (si veda i Sette contro Tebe) e riferisce il responso dell’oracolo: la città che avesse offerto ospitalità ad Edipo sarebbe stata inviolabile.

Capite tutti che si tratta di una riabilitazione spirituale dell’eroe, che, dopo aver conosciuto grandi onori, ma soprattutto grandi disgrazie, riceve la pietà degli dei, partecipi del dolore dell’uomo quando diventa insopportabile. La cecità di Edipo,che si è autoinflitto come punizione, l’ha perfezionato interiormente. Per i Greci vige infatti il principio della compensazione, per cui chi ha un deficit fisico ne guadagna in profondità dell’anima. Ecco perché Omero e Tiresia sono ciechi, perché vedono col cuore oltre la mera realtà tangibile.

Arriva a Colono il figlio Polinice e il re di tebe Creonte, cognato di Edipo e erede al trono; vorrebbero riportarlo a Tebe per guadagnarsi l’inviolabilità della città. Si oppone risoluto Edipo che maledice il figlio, profetizzando la morte dei figli in un sol giorno (si veda i Sette contro Tebe)e caccia Creonte, che rapisce le due figlie di Edipo. Teseo, re benefattore dell’umanità e simbolo di Atene, recupera le figlie e rispedisce Creonte a Tebe.

Improvvisamente il colpo di scena: si ode un tuono; Edipo si avvia, seguito da Teseo, verso il sacro bosco delle Eumenidi (divinità benefiche). Rivelati a Teseo i segreti che assicurino la buona sorte di Atene. Edipo scompare, riassorbito dalla Madre Terra. La tragedia si chiude con il ritorno a Tebe delle figlie di Edipo, nel tentativo vano di sanare il conflitto tra i fratelli, che, come ha predetto il padre, moriranno in un sol giorno di duplice strage.

Profondo è il cambiamento dell’Edipo a Colono rispetto all’Edipo re: in questa opera, scritta nella maturità, Sofocle presenta un personaggio caratterizzato da piglio giovanile, impulsività e decisionismo, nonché acuta intelligenza, che lo porta a risolvere l’indovinello della Sfinge. Re buono e giusto, che chiama i suoi  sudditi “figli”, viene travolto da un infame destino che lo lacera fino all’inverosimile: il dolore di Edipo non ha eguali nella storia del mito e della letteratura.

Nell’Edipo a Colono, appare vecchio, stanco e paziente, meditabondo sul valore della vita e specie della morte; tratti dell’antica indole si intravedono nella durezza irosa che manifesta contro Polinice, che maledice anche prossimo a morire, ma questo fa parte del gioco drammatico: i Labdacidi ancora devono versare malefico sangue! Mentre si mostra paterno e amorevole verso le figlie-sorelle, che accoglie tra le sue braccia.

Non vi è dubbio che questo Edipo è autobiografico: è Sofocle stesso che ormai vicino alla morte riflette sui valori dell’esistenza e sulla morte, rivelando il pessimismo del suo pensiero, come quello di tutti i Greci: meglio non nascere sulla nera terra e, una volta nati, sparire al più presto. La vita è sofferenza e tribolazione e la morte è l’estrema ratio, come già i lirici hanno affermato. Inoltre di un uomo non è dato conoscere il destino se non post-mortem; in un minuto si può rovesciare un ‘intera esistenza e le città grandi diventeranno piccole e piccole le grandi (come dirà Erodoto nelle Storie), per cui è importante per Atene guadagnarsi l’inviolabilità della sua terra accogliendo Edipo.

Benché la tragedia abbia un lieto fine: Edipo viene assorbito dalla Natura, la vicenda dell’eroe ha una conclusione tragica: la conoscenza del bene non basta a realizzarlo (come dirà Socrate), oltre all’oggettività dell’atto, conta anche l’intenzionalità; ebbene la vita di Edipo va in senso del tutto contrario alla sue intenzioni e la morte è liberazione e rinascita.

 

Written by Giovanna Albi

 

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