Sacrificio Incas, vittime dei bambini: ecco la spiegazione della loro orribile fine

A distanza di 14 anni dal ritrovamento, la scienza è riuscita a ricostruire l’orribile fine di tre bambini che, 500 anni fa, furono vittime di un sacrificio Incas. I tre ragazzini, rispettivamente di 15, 7 e 6 anni, furono ritrovati mummificati nel 1999, protagonisti involontari di una storia sospesa tra il sacro e il profano, tra tradizione e crudeltà popolare.

Rinvenuti sulle Ande in un perfetto stato di conservazione, essi sono stati destinati a divenire il “pezzo unico” nel suo genere, e senza precedenti, del Museo archeologico di Alta montagna di Salta, storica città del nord Argentina.

La vicenda dello straordinario ritrovamento ha avuto inizio nel febbraio del 1999, quando una spedizione di 14 ricercatori, finanziata dal National Geographic, partì alla volta della cima del vulcano Llullaillaco, impressionante montagna di 6.700 metri situata al confine tra Cile e Argentina nel mezzo della catena andina. La squadra, capitanata dallo statunitense Johan Reinhard e composta da archeologi e antropologi nord americani, argentini e peruviani, si era messa in viaggio alla ricerca di reperti utili alla ricostruzione delle cerimonie sacrificali della popolazione Inca che causarono la morte di centinaia di bambini.

Gli Incas hanno rappresentato il più vasto impero precolombiano del continente americano e la loro esistenza va collocata fra l’XIII e il XVI secolo. La ricerca fu molto difficoltosa, e i nervi dei membri della spedizione furono messi a dura prova. Le condizioni climatiche erano proibitive, poiché la temperatura sfiorava i -37 gradi. La squadra riuscì comunque a raggiungere i 6 mila metri di altitudine, e, all’improvviso, sotto ad una volta rocciosa, apparve il corpo di un bambino, in posizione raccolta, avvolto da un mantello. Era congelato, mummificato, ma perfettamente integro. Tre giorni più tardi, Reinhard e la sua squadra scoprirono altri due corpi, entrambe bambine, anche questi perfettamente conservati, complice il particolare microclima che caratterizza la cima del vulcano Llullaillaco.

La natura in queste zone è arida ed ostile, e gli indio delle vallate non salivano su queste cime. Lo facevano raramente ed esclusivamente per portarci i bambini destinati ai sacrifici. Li lavavano, li vestivano a festa, tra canti e danze e poi li accompagnavano su, li circondavano di oggetti preziosi, li calavano in un buco e li lasciavano là a morire di freddo. Un sacrificio a Dio, il più prezioso. Nel momento in cui furono scoperti, infatti, i tre corpi si trovavano semisepolti in un santuario inca, sulle Ande della provincia argentina di Salta, avvolti in mantelli che li obbligavano ad una posizione raccolta.

Sacrificare bambini sulle imponenti vette della cordigliera andina faceva parte di un rituale del culto incaico, noto come festa della Capacocha, in onore al Sole, per attirare la benevolenza degli dei. Si credeva che i bambini prescelti venissero elevati per mezzo del sacrificio al privilegio di uno status divino, mentre le loro famiglie, che non potevano rifiutarsi di consegnarli ai sacerdoti, ricevevano l’onore di accedere all’aristocrazia della civiltà di Cuzco, la loro capitale. I bambini venivano condotti sulle cime innevate e gelide delle Ande, drogati con un cocktail allucinogeno di cocaina e alcol e abbandonati lì, in mezzo al ghiaccio e in perfetta solitudine. Senza cibo, sotto l’effetto della droga e del freddo, le piccole vittime si addormentavano e morivano di ipotermia. In seguito venivano sepolti. I tre corpi, che parevano morti da poche ore, aventi ancora tutti gli organi interni intatti, vennero trasportati a Salta ed esaminati a fondo.

È stata questa la fine che con ogni probabilità fecero i tre ragazzi, soprannominati dagli archeologi rispettivamente: la donzella, il bimbo e la bimba del fulmine. Le tre mummie si trovano attualmente al Maam di Salta, ovvero come si è detto al Museo di Archeologia di Alta Montagna. Essi sono esposti sotto teche di vetro nella posizione esatta in cui la morte li ha colti. La temperatura è costante di 20 gradi sotto zero, al fine di mantenere inalterato il loro stato di conservazione. La bimba più grande aveva 15 anni quando morì, mentre la più piccola solo 6.

La ragazza ha lunghi capelli neri intrecciati, e ai piedi, nudi, un paio di sandali. Battezzata dagli archeologi la donzella, morì rannicchiata su se stessa, le braccia serrate attorno alle ginocchia. Gli studiosi la trovarono in un buco quasi in cima al vulcano Llullaillaco, accanto a lei un bimbo di 7 anni che morì in posizione fetale, mentre tentava di avvolgersi la tunica. Una tunica rossa che col tempo è diventata marrone. Gli esami tossicologici hanno rilevato presenza di droghe nei capelli e nei tessuti delle due ragazzine, un misto di coca e alcol, tracce invece non presenti nell’unico maschio delle tre piccole mummie.

Molto probabilmente il bimbo morì per lo shock provocato dall’altura delle Ande, prima che si potesse procedere al sacrificio vero e proprio. Una macchia rossa sulla sua guancia, che si è scoperto essere di sangue, ha fatto ritenere agli scienziati che egli fu seppellito ancora agonizzante. La terza mummia, la più giovane, è una bimba di appena 6 anni, che appare terrorizzata dalla morte. Non lo dicono solo i suoi occhi, ma lo dice la sua bocca spalancata in un grido muto. È chiamata la bimba del fulmine, perché qualche tempo dopo la sua sepoltura, un fulmine le colpì il volto, marcandole una guancia con un segno evidente, lasciando intatta la sua acconciatura di treccine.

Al di là del successo della scoperta e del richiamo turistico delle tre piccole mummie, per le comunità indigene delle Ande esporre i corpi come un trofeo archeologico resta un sacrilegio. Essi li considerano tre martiri e pensano che dovessero restare in cima alla montagna.

Uno dei dati certi sottolineati dai ricercatori è che il gruppo composto sia dai sacerdoti, sia dalle tre vittime partì dalla città di Cuzco e dovette camminare oltre 1.600 km prima di arrivare alla base del vulcano Llullaillaco, meta che molto probabilmente raggiunsero attraverso l’impervio deserto cileno dell’Atacama.

Il nostro pensiero è rivolto a questi tre bambini, che furono scelti per essere sacrificati con onore a Dio, tra i più belli, i più nobili e i più intelligenti. Lasciati soli dentro ad un buco a morire, seminudi, ubriachi, drogati, forse addormentati, con tante bambole a fare loro compagnia.

 

Written by Cristina Biolcati

 

 

 

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