“Everest”, album dei Gouton Rouge & Apash Twenty Twelve – recensione di Emanuele Bertola
Non è semplice fare una musica che parli di emozioni e sentimenti, di qualunque tipo di sensazioni si tratti, belle o brutte che siano saranno sempre complesse da riassumere nei pochi minuti di una canzone, ma quando un artista o una band ci riescono bastano pochi secondi per rendersene conto, ed è proprio quel che succede ascoltando “Everest“…
I Gouton Rouge sono quattro ragazzi sfuggiti per questioni anagrafiche a correnti musicali alle quali ora guardano con quella strana nostalgia che si prova verso epoche mai vissute, quella nostalgia che ti fa dire “Ah, se fossi nato 10 anni prima!…” e che nella musica spesso finisce per definire influenze stilistiche e gusti personali; è così che i Gouton Rouge si appassionano allo Shoegaze, ed è verso le atmosfere eteree e i suoi muri sonori fatti di riverberi e suoni dilatati tipici del genere che scelgono di indirizzare la loro musica, incidendo due ep (“Rogues” del 2011 e “Cambiamo casa” del 2012) di grandissimo impatto, loro dicono di non essere ancora arrivati a fare shoegaze ma ad ascoltare questi due lavori pare proprio il contrario…
Altra storia è invece quella degli Apash Twenty Twelve: la band nasce nel 2000 e in dodici anni incide 3 album passando attraverso numerosi cambi di formazione e deviazioni stilistiche, l’iniziale garage-punk vira anno dopo anno verso le plumbee lande del minimal-dark e del Sad-core, e dall’iniziale formazione a tre con il passare del tempo si arriva a 2, a 4 e infine ad un solo componente: Fabio Armando Patini; è lui la voce e l’anima di quello che ormai è divenuto un interessantissimo progetto One Man Band di cantautorato moderno, a tratti sperimentale, fatto di chorus, effetti gracchianti e mood oscuri e sofferti.
Due storie differenti, due generi sonicamente agli antipodi, eppure qualcosa che lega i Gouton Rouge con Apash c’è, e non c’entra il fatto che entrambi siano di Busto Arsizio; quello che accomuna i due progetti è l’attitudine emozionale delle rispettive musiche, la voglia di trasmettere sensazioni ed emozioni prima ancora che parole e messaggi, e per nulla incide il fatto che le atmosfere malinconiche ma musicalmente energiche dei primi paiano molto distanti dalle tenebrose sensazioni da valle di lacrime del secondo, le emozioni sono semplicemente emozioni, bianche o nere che siano si troveranno sempre sulla stessa lunghezza d’onda, proprio come Gouton Rouge ed Apash, che – incontratisi – decidono di collaborare alla realizzazione di un album condiviso; ciò che ne nasce è uno split di 6 brani pubblicato lo scorso gennaio sotto il titolo “Everest”.
Tre brani a testa, se non fossimo stati nell’era del digitale si sarebbe detto “lato A e lato B”, e mai scelta sarebbe stata più azzeccata, perché in casi come questo avere un lato A ed un lato B aiuta ad assimilare meglio, basta infatti stoppare il disco alla fine del terzo brano, giusto quei pochi secondi che sarebbero serviti a ribaltare il vinile sul piatto e riappoggiare la puntina, per cambiare in meglio l’ascolto, per inserire un distacco, un piccolo intervallo tra primo e secondo atto sufficiente per assorbire in modo più completo le vibrazioni dei brani.
Il “Lato A” è affidato ai Gouton Rouge, che rispetto ai lavori precedenti abbassano l’asticella dello shoegaze a favore di più marcate linee tipicamente alternative-rock, senza però abbandonare l’attitudine alla melodia che li contraddistingue. “Josef K”, “Wessels” e “Sentimento, tre brani malinconici ed intimi che uno dopo l’altro aumentano di intensità ed espressività, brani sentiti e sudati che parlano a cuore aperto di delusioni cocenti, speranze in bilico e di quei ricordi che “ci assillano, attraversano, trafiggono, bruciano, uniscono”.
Quando la splendida “Sentimento” volge al termine viene da chiedersi perché i quattro non abbiano inciso semplicemente un ep con questi 3 pezzi a cui non manca assolutamente nulla, ma la risposta arriva ben presto e si rivela una piacevolissima sorpresa….
Mettiamo in pausa, prendiamo fiato e ripartiamo, il protagonista del secondo atto è Apash, chitarra, voce e qualche giochetto elettronico, niente di più, e la storia cambia, il cantato in italiano lascia spazio a quello inglese, la luce si abbassa, le emozioni si fanno agre ed alla malinconia si aggiunge una buona dose di disillusione; a dispetto degli speranzosi titoli, “Beautiful”, “Wish” e “I’m flying” sono pezzi da pugni contro il muro, introspettivi e in alcuni momenti davvero debilitanti, con la voce di Apash che vibra quel tanto che basta per trasmettere le sofferte sensazioni descritte dai testi.
Gli effetti rumoristici industrial di “I’m flyng” mettono la parola fine a questo interessantissimo lavoro, sono passati poco più di 20 minuti, ma le vibrazioni sono state tante e soprattutto intense, cosa riserverà il futuro per i Gouton Rouge e per il solitario Apash non è dato sapere, ma quando si sanno trasmettere le emozioni con classe non c’è che da sperare in bene….
Written by Emanuele Bertola
Tracklist
1. Josef K
2. Wessles
3. Sentimento
4. Beautiful
5. Wish
6. I’m flying