Intervista di Giuseppe Giulio a Fabio Ruggieri: l’italiano che inginocchia l’ONU

Non si è mai stanchi di conoscere quello che c’è al di là di noi stessi, senza aver timore di affrontare realtà che in modo stravagante, sono in grado di cambiare per sempre ciò che siamo. Questo è l’esatto pensiero che un uomo vive dopo aver attraversato uno dei continenti più seducenti e crudeli dell’esistenza umana: l’Africa.

Oggi come ora, questo luogo continua a rappresentare per le realtà antropiche sviluppate, una terra su cui rivalutare ciò che il fato concede e soprattutto un luogo di ricerca individuale e collettiva, in cui ognuno, senza differenza di razza oppure di religione riscopre la speranza, l’amore e la vita verso tutto ciò che le società ricche hanno rimosso dal loro portafoglio spirituale.

La cooperazione internazionale africana si avvale di progetti rilevanti ed inediti, di varia ceppo, dalla letteratura alla scrittura, fino ad arrivare alla fotografia. In molti, nel corso degli ultimi due decenni, si sono occupati di rivalutare, tutto ciò che alla metà del secolo scorso era considerato superficiale e non veritiero, tra queste: la fotografia.

Un punto, diventato cardinale per le organizzazioni e associazioni impegnate adesso sul territorio africano, la fotografia oggi rappresenta un pilastro di cambiamento, non solo per gli stessi fotografi, i quali amano definirsi, viandanti del tempo, in grado di creare dei veri e propri documenti di viaggio, ma come dicevo pocanzi, anche per le relazioni internazionali, le quali ora si basano su principi umanistici per diffondere nuove coordinate e prospettive cooperative africane.

L’Africa, ed in particolare i suoi abitanti che come scrive l’autrice Karen Blixen nel suo romanzo “La mia Africa”, considerano il destino un amico, perché sono nelle sue mani da sempre, rappresenta il solco profondo delle loro radici, come lo è stato per il nostro Fabio Ruggeri, il quale ha vissuto un esperienza sorprendente, vicina al cuore di chi sorride alla vita e ai suoi colori ma soprattutto è stata un avventura che lo ha condotto a scoprire se stesso, il vero valore dell’esistenza e del suo cammino umano e professionale. Un ragazzo, come ama definirsi, di soli trentasette anni che nella fotografia ha trovato un modo silenzioso di esprimersi, di urlare al mondo intero ciò in cui crede e che vorrebbe cambiare.

 

G.G.: Cominciamo dalla raccolta a colori e in bianco e nero che tu dedichi alla popolazione del Congo. Una terra africana da molto tempo, direi secoli, martoriata dalla povertà e dalla cruda realtà. Nei volti che tu hai deciso di immortalare, s’intravede qualcosa di diverso, magico. Cosa ti ha insegnato questa terra?

Fabio Ruggieri: Il Congo è un paese splendido, natura selvaggia e incontaminata, pieno di ogni sorta di ricchezza (gas, petrolio, diamanti e molto altro.) e sono proprio queste ultime che hanno reso questo popolo schiavo dell’indifferenza di noi occidentali, delle multinazionali che depredano ogni giorno per i loro sporchi profitti e infine dell’ONU che dovrebbe intervenire per ristabilire la pace e invece rimane immobile in attesa di chissà quale intervento divino, braccio armato di chi vuole potere e ne chiede sempre di più. Tutto questo è ciò che traspare negli occhi delle persone che ho incontrato; talvolta rassegnazione, talvolta delusione, talvolta rabbia ma anche tanta, anzi tantissima voglia di resistere, di vivere con dignità e fierezza la propria condizione.

 

G.G.: E perché il Congo?

Fabio Ruggieri: La scelta del Congo è nata un po’ per caso una sera a casa in compagnia di amici… Tra loro un prete di Cremona che conosco da molti anni e che mi ha proposto un viaggio di missionariato in Congo dove da anni presta servizio per i bambini malati di AIDS, bambini soldato, malnutriti… All’inizio io e mia moglie abbiamo avuto un po’ di riserva ad affrontare un’esperienza del genere anche perché, come hai detto giustamente tu, il Congo è terra di estrema povertà e guerre interne molto sanguinose. Ma poi la voglia di partire ha preso il sopravvento, il desiderio di essere lì, presenti ad ogni costo, vivere con e per loro le sofferenze a cui sono sottoposti ogni sacro santo giorno.

 

G.G.: Ci sono molte donne, mamme, ragazze che non appaiono fragili davanti al tuo obiettivo. In particolare la foto dal titolo “Una splendida Maternità”raccoglie in una sola immagine, tutto ciò che di bello nell’essere madre e donna D’Africa. Che cosa rappresenta per te la donna D’Africa?

Fabio Ruggieri: È difficile spiegare il ruolo della donna africana. È il fulcro di una società fondata sulla sacralità della vita. È l’essenza stessa dell’Africa e del suo popolo.

 

G.G.: E perché questa immagine, cosa hai voluto trasmettere?

Fabio Ruggieri: Ho voluto trasmettere, quello che è scritto in questa poesia, la quale riassume in poche righe ciò che realmente penso della femminilità e delle donne africane:

Io non so cosa pensi, tu donna africana,/ quando il tuo uomo parte per una terra lontana./ Io non so, tu donna africana, cosa possa provare/ quando vedi i tuoi figli crescere e sperare./ Io non so cosa pensi, tu donna africana, mentre cammini/ andando a prendere l’acqua per i tuoi bambini./ Io non so cosa provi, tu donna africana,/ quando vedi il sole che tinge di rosso tutta la savana./ Io so che per me è facile sia parlare che pensare/ mentre tu, ogni giorno, devi continuare a lottare…

G.G.: Dal Congo al Kenya, per arrivare ad assaporare il vero gusto semplice che tu tramandi, con la tua fotografia e i soggetti da te selezionati. Nella raccolta “Kenyan Experience”unisci lo stile classico, nero e bianco, con il colore. Come mai questa scelta?

Fabio Ruggieri: Questa scelta di utilizzare il colore, quasi sempre con tonalità sgargianti, è una “tecnica” fotografica che tende ad esaltare un dettaglio chiave della foto, quasi sempre rappresentativo, come in questo caso…

 

G.G.: E soprattutto cosa rappresenta per te la solarità, è un elemento, che considereresti, determinante per la tua arte?

Fabio Ruggieri: La tunica del bimbo è un vestito tradizionale africano indossato dai bimbi della tribù Masai. È sinonimo di senso di appartenenza ad una piccola comunità di uomini e donne che mantengono vive le loro tradizioni mostrandole al mondo con fierezza. Per chi, come me, ha visto quei posti, il sorriso di questi bimbi è esemplare. Descrive come si possa essere felici anche senza possedere nulla, anche solo vivendo in capanne fatte di cacca di mucca e fango e un focolare al centro del villaggio dove ascoltare vecchie storie dagli anziani che tramandano da generazioni. Ai nostri occhi sembra assurdo se pensiamo che i nostri ragazzi hanno bisogno di playstation, di discoteca il sabati sera e di droghe per evadere dal senso di inadeguatezza.

 

G.G.: Questa foto, chiude la parentesi keniana, come e perché sei arrivato in Kenya?

Fabio Ruggieri: Il Kenya è stato un viaggio molto particolare, oserei direi quasi imprevisto. Io e mia moglie siamo partiti come tante coppie che dopo un anno di lavoro hanno bisogno di assoluto riposo e evasione dalla routine quotidiana. Non avremmo mai creduto che le cose sarebbero cambiate una volta giunti a destinazione. Tutto è successo un giorno quando, durante un’escursione, siamo approdati su di un’isola splendida che prende il nome dall’esploratore Robinson. In questo luogo, che è un vero e proprio paradiso in terra, siamo stati accolti come se fossimo i reali d’Inghilterra. Spiagge di sabbia bianca finissima, deserte e piene di rigogliosa vegetazione… ci siamo accomodati in lettini e ci hanno offerto un drink  con tanto di ombrellino. Sembravamo essere le persone più felici della terra. Al momento del pranzo siamo entrati in una costruzione tipica keniana fatta di legno e rivestimento di palma come tetto. Sul tavolo petali di rosa e stoviglie neanche fossimo all’Hilton. Abbiamo mangiato ogni sorta di pesce: granseola, gamberoni, cernia rossa, cernia bianca, polpi, ecc. Dopo un po’ ho anche perso il conto di quante fossero le pietanze. A servirci un ragazzo giovane, bellissimo con uno sguardo che bucava le pareti. Abbiamo fatto amicizia, ci ha raccontato di lui e della sua famiglia… dei suoi numerosi figli e del fatto che il padrone di quella galattica struttura lo pagava non più di 1 dollaro al giorno e ogni giorno doveva fare più di 20 km a piedi per raggiungerla. Era impaurito, non poteva parlare con noi perché il suo padrone non voleva che i clienti fossero disturbati. Avevamo da mangiare per un esercito e gli abbiamo chiesto di sedersi con noi e condividere il pranzo ma nonostante lo volesse con tutto sé stesso (un po’ per fame e un po’ per cortesia) è stato costretto a rifiutare chiedendoci anche scusa. In quel preciso momento io e mia moglie ci siamo guardati negli occhi e abbiamo cominciato a piangere. Lo sguardo di quel giovane aveva messo a nudo tutte le nostre miserie e, nonostante avessimo desiderato stare a milioni di km di distanza da lì, ancora oggi ringrazio Dio per quell’incontro  per quello sguardo. Prima di andar via abbiamo preparato un pacco enorme di cose da mangiare e soldi che abbiamo dato a quel ragazzo. Quando ha aperto la busta i suoi occhi si sono riempiti di lacrime, ci ha abbracciato cosi forte e cosi intensamente che sembrava volesse sfogare tutta il suo senso di frustrazione per una vita che non gli ha concesso quello che avrebbe voluto per sé stesso e per la sua famiglia. Da quel giorno abbiamo deciso di abbandonare la “vacanza” e mettere anima e corpo per sostenere in ogni modo chi era più sfortunato di noi. Abbiamo girato villaggi, orfanotrofi, scuole, insomma ovunque potesse essere utile la nostra presenza e comprando tutto quello che era necessario. Insomma per dirla in parole povere il nostro Viaggio (con la V maiuscola) è cominciato proprio in quei giorni quando ci siamo calati realmente nel contesto che non è fatto di villaggi turistici e di ostentazione della ricchezza ma di storie degli uomini e delle donne che abbiamo incontrato, dei loro sguardi, della capacità di sbarcare il lunario nonostante tutte le difficoltà… Che grande insegnamento abbiamo ricevuto!

 

G.G.: Ho scelto questa foto per terminare questo inedito, nuovo e interessante viaggio nel cuore pulsante, vivo e mai morto della terra che cammina a pari passo con la vita. Un immagine solare, come sei tu, d’altronde  ottimista, fresca e senza un addio. Cosa ti hanno lasciato nel cuore queste due terre “nere” ?

Fabio Ruggieri: Beh, queste due terre sono per definizione differenti. Il Kenya è turistico e la povertà poi non è cosi evidente come in Congo. Quest’ultimo possiede ogni sorta di materia prima che fa gola a tanti a differenza invece del Kenya che invece punta molto di più sulle bellezze naturalistiche da visitare. Però quello che accomuna questi due paesi è la bellezza del popolo africano, la loro storia, la loro cultura, la grande dignità che traspare in ogni gesto, in ogni sguardo. Quando sono tra loro mi sento un uomo migliore, un cittadino del mondo e so di stare nel posto giusto. Questo è ciò che mi spinge a tornare e mi fa sentire maledettamente vivo. Oggi come oggi il mio più grande desiderio è trasmettere tutto questo a chi vorrà ascoltarmi e magari condividere con me un’esperienza del genere.

 

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