“Dopo il diradarsi, la nube”: la nuova silloge poetica di Emanuele Martinuzzi – Intervista

 “Cedevoli increspature/ dileguano nell’impallidire/ di un volto che si fa antico.// Dono divino che s’ingrigisce/ nell’impalpabile deserto/ rinchiuso da fregi rigogliosi.// La cornice sfumata/ nell’oro della giovinezza/ che vive l’incanto amaro/ di vedersi appassire/ come fremente ritratto.// Avversario caduto,/ il voto dell’anima/ che esaudisce la mimesi/ nel corpo trasfigurato.” – Ὕβρις

Hýbris (dal greco antico ὕβρις) è una colpa accaduta nel passato che, nel presente, influenza in modo negativo gli eventi. Nella tragedia greca era dovuta ad un’azione che violava le leggi divine, e per questo era spesso accompagnata dalla successiva némesis (in greco νέμεσις) con il significato di vendetta degli dei. Nei versi della lirica “Ὕβρις”, infatti, ci troviamo di fronte ad un antico volto impallidito da increspature che simboleggiano le eventualità che si incontrano nella vita; eventualità o doni inseriti in un discorso divino che scolorano nel grigio del tempo. Giovinezza e vecchiaia sono combinate al volto dell’anima, che luccicante d’oro appassisce nel ritrovarsi avversario di se stesso.

Dopo il diradarsi, la nube” è l’ultima silloge dell’autore Emanuele Martinuzzi, conosciuto anche per le raccolte “Nella pienezza del Non” e per “Anonimi frammenti”. Una pubblicazione che mette in risalto la discendenza culturale della nostra civiltà con la scelta dei titoli in lingua greca, così da dichiarare un contatto profondo con la culla della poesia. La prefazione, curata dallo stesso autore, precorre la lettura delle liriche ed esplica al lettore una sorta di manifesto linguistico ed ideologico, che denota sensibilità e rilevanza nel comunicare i propri intenti poetici.

Tambureggia/ una contro-melodia/ oltrepassando/ l’Altro statuario,/ impassibile agli scalpelli/ nel ritornello di rosa,/ agli stipiti dell’abisso/ divelti nella percezione,/ quand’è il momento/ marciante/ per coricarsi/ negli zufoli di cera,/ intagliato/ nel santuario dei cirri/ per svegliarsi bambino/ stretto alla sera.// […]” – Πύλη

Emanuele ci svela qualcosa in più della sua pubblicazione in quest’intervista. Buona lettura!

 

A.M.: “Dopo il diradarsi, la nube” è un titolo particolare. La prima parte del titolo parla di un diradarsi, come avviene l’arrivo della nube e che simbologia ha?

Emanuele Martinuzzi: Dopo svariate esperienze dirette sono arrivato alla conclusione che nessuno più del lettore possa completare attraverso la sua personale interpretazione il significato di una poesia, come anche di un titolo, imboccando spesso vie originali, non preventivate dallo scrittore. È una meraviglia lasciarsi sorprendere dalle impressioni o giudizi o emozioni dei lettori, con cui ho avuto la possibilità di poter discutere e confrontarmi, così da esserne in ultima istanza sempre arricchito. Credo che la lettura, in definitiva, non sia altro che una ri-scrittura, perché ogni lettore è un mondo inesplorato di esperienze, dialoghi e pensieri, unici, naturalmente portato ad ampliare con la sua sensibilità gli universi alieni con cui entra in contatto ed a farli propri in un mutuo scambio di significazione. Quindi, più che un passivo lettore è un attivo scrittore che plasma la sostanza dell’altrui scrivere, un creatore sui generis. Però, in quanto lettore di me stesso, a questo punto oso una possibile interpretazione. A prima svista sembrerebbe che il fenomeno del diradarsi fallisca, che al posto del sereno si frapponga una nube. Questo se si pensa al sereno come ad un qualcosa che sia visibile ed osservabile dal solo senso della vista. Ma se con sereno s’intende l’illuminazione, con cui balena nel cielo la luce del sole, mai coi nostri occhi potremmo vedere direttamente quella lucentezza, né fissarla riuscendo a distinguerla ed identificarla come un semplice oggetto. In questo caso la nube risulta essere l’oggetto o l’ostacolo protettivo, al di là del quale sta ciò che non è possibile cogliere ed ingabbiare coi meri sensi. La nube diventa così il simbolo visibile dell’invisibile, l’icona finita dell’infinito.

 

A.M.: La società nel 2013 e la poesia. Come vivi questo binomio

Emanuele Martinuzzi: Sai è una domanda che mi porta a continue riflessioni, una questione sofferta. Il destino della poesia si gioca in questo rapporto. Il binomio sottintende una relazione, la quale intercorre tra la poesia e questa società. Una relazione a volte simile alle relazioni opportunistiche, superficiali, alienate che sussistono tra gli esseri umani nel mondo contemporaneo. Queste stesse modalità di relazione stanno mutando antropologicamente l’uomo ed in modo analogo la poesia, ossia come l’uomo contemporaneo la intende e la produce. Naturalmente credo e voglio sperare che la poesia possieda un intimo nucleo fondativo, incontaminato da tutte le molteplici deviazioni, distrazioni e corruzioni moderne, ma è una purezza essenziale che va ritrovata o preservata. Se le persone leggono o meno poesie è un problema derivato, ma non principale rispetto al ruolo che l’orizzonte culturale moderno assegna a certe questioni fondamentali, influenzandone il valore che si attribuisce di conseguenza ed inevitabilmente anche alla lettura stessa. Questo potrebbe essere un incipit da cui partire.

 

A.M.:  I titoli delle liriche della tua nuova raccolta sono in lingua greca. Come nasce questa scelta?

Emanuele Martinuzzi: In effetti può sembrare una scelta un po’ stravagante od addirittura insignificante. Però per come l’ho ideata nasce da un assunto preciso, soprattutto nel contesto storico attuale, perché, volenti o nolenti, nel nostro cuore e nella nostra mente di occidentali scorre quella linfa che trova la sua origine primigenia nella cultura greca. Ecco l’idea cardine. La culla dell’occidente continua a parlare, a soffrire, a intonare le sue ninne nanne per questa civiltà, dormiente nell’oblio del proprio passato, sempre in lingua greca. Solo c’è da aggiungere, ascoltare questa litania tragica del mondo greco-occidentale è tutt’altro che abbandonarsi ad un sonno senza fine, semmai potrebbe essere un modo per riappropriarsi del risveglio ed uscire così dal torpore narcotico di una certa modernità. Almeno è un augurio od un’opportunità. In questo senso non è necessario conoscere la traduzione dei titoli in greco antico per comprendere le poesie. Ogni poesia vuole evocare il mondo storico-esistenziale che ogni parola greca riassume nel titolo, quindi i titoli possono anche essere visti come geroglifici di una lingua sconosciuta da de-codificare, attraverso l’emozione che le poesie suscitano in chi le vive leggendole. Ah, devo fare una precisazione, come dalla lettura del testo si potrà riscontrare con mondo greco non intendo solamente la Grecia antica pagana, ma un excursus culturale che abbraccia Omero ed Esiodo fino ai Vangeli, non potendo certamente escludere la versione in lingua greca del vecchio testamento, la Settanta.

 

A.M.:  Quali sono, secondo te, i pregi di “Dopo il diradarsi, la nube”?

Emanuele Martinuzzi: Un pregio potrebbe essere non aver preso i difetti di chi l’ha scritta, ossia di essere Poesia purificata dall’Io personale del suo poeta, universale per certi versi. Chissà…

 

A.M.: Che cosa ne pensi, in tutta verità, dell’editoria di oggi?

Emanuele Martinuzzi: L’editoria sta vivendo diverse problematiche, che ne mettono in discussione il ruolo tradizionale di fulcro e promotore culturale. Tutto questo è dovuto a diversi fattori, oramai noti, la crisi del libro, le nuove frontiere della concorrenza digitale e, non ultimo, il dissidio tra il ruolo primario di promotore culturale ed i vincoli dell’attività imprenditoriale, che in tempo di crisi evidentemente possono comportare determinate scelte, sulla cui opportunità o necessità è doveroso riflettere. Questo a grandissime linee, perché essendo un mondo assai vasto e complesso ogni discorso generalista non riesce a descrivere ogni singola realtà, facendo sia un favore a quei casi di speculazione anti-culturale sulla scrittura, sia un torto a coloro che riescono a trovare un virtuoso equilibrio tra qualità e mercato, sia, in definitiva, relegando ai margini dell’accessorio questioni profonde e fondamentali, quali il ruolo o non-ruolo sociale della cultura e dell’intellettuale nel mondo moderno, che non prescindono dall’editoria, ma neanche ne sono totalmente vincolate.

 

A.M.: Qual è l’ultimo libro che hai letto? E l’ultimo film visto?

Emanuele Martinuzzi: Allora, l’ultimo libro è “La fisiologia del mito” di Untersteiner, che ho trovato provvidenzialmente ad un mercatino dell’usato, dove amo andare alla ricerca di tesori letterari nascosti tra miriadi di anticaglie, quasi a modi archeologo. Ultimamente ho rivisto il mitico “Frankenstein Junior” e lo spassoso film sui Muppet.

 

A.M.: Salutaci con una citazione…

Emanuele Martinuzzi: Salutarsi è negare la separazione, è dire: “oggi giochiamo a separarci ma ci vedremo domani“. (Jorge Luis Borges)

 

Written by Alessia Mocci

Addetto Stampa (alessia.mocci@hotmail.it)

 

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