“The Relation between Brain and Behaviour”, album dei padovani Aidan – recensione di Emanuele Bertola
La musica, in qualsiasi direzione artistica la si intenda, è e deve essere prima di ogni altra cosa evocativa, che ciò da evocare sia un’immagine, una sensazione, un’idea, un ricordo o chissà cos’altro; in questo senso spesso le parole non servono, la sola musica disegna scenari di ogni tipo, e quando si parla di doom metal gli scenari sono quelli più oscuri dell’animo umano…
È negli abissi dell’anima e della mente umana, lì dove restano rinchiusi incubi, stranezze, ossessioni e paure, che ci si trova ad attraversare gli anfratti più bui dell’esistenza, dove l’inconscio prende il sopravvento e la luce filtra ben poco, dove la vista è occlusa e bisogna procedere a tentoni, ed è proprio qui, tra ombre scure e pochi, pochissimi spiragli luminosi che comincia questa storia, una storia strana e non poco inquietante, la storia di un uomo normale a cui la vita volle giocare uno strano scherzo, un tiro mancino che lo cambiò radicalmente, inoltrandosi nel buio abisso della sua mente, scalfendo le pareti portanti del conscio e dell’inconscio e consegnando Phineas Gage – questo era il suo nome – alla storia… Phineas era un operaio americano addetto alla costruzione delle ferrovie, un lavoratore, un uomo per bene, un uomo come tanti, fino al pomeriggio di quel fatidico 13 settembre 1848, quando un incidente gli cambiò per sempre la vita.
Durante il lavoro Phineas venne colpito alla testa da un’asta di metallo che gli trapassò il cranio, ma che – incredibilmente – non lo uccise; l’uomo sopravvisse e, fatto ancora più stupefacente, la sua ripresa dal trauma fu praticamente immediata, ma non fu più il Phineas di prima, il suo comportamento cambiò definitivamente, e quello che prima dell’incidente era un uomo gentile divenne scontroso, irascibile ed incontrollabile, la sua personalità cambiò di colpo a causa di quell’asta di metallo, che lo lobotomizzò, rendendolo incapace di valutare i rischi delle proprie azioni e trasformandolo a conti fatti in un’altra persona, fisicamente sana, ma irrimediabilmente condannata a vivere un incubo.
Una storia degna di un film horror, ed ancor più inquietante proprio perché realmente accaduta: l’incidente di Phineas Gage infatti è stato ed è ancora oggi oggetto di studio nell’ambito della neurochirurgia, ed è uno dei punti sui quali si basarono le teorie che portarono alla pratica – fortunatamente abbandonata – della lobotomia frontale, ma non è per raccontare la storia della medicina che siamo qui, bensì per fare un viaggio, un viaggio al centro della mente umana, lì dove la sorte ha colpito con tutta la sua forza il povero Phineas, lì dove un bel giorno, senza nessun apparente motivo, la luce si spegne e si sprofonda nell’oblìo. Ad accompagnarci in questo viaggio troviamo gli Aidan, trio padovano incline al post-metal ed alle sue deviazioni più oscure e doom, nulla di più azzeccato per addentrarsi nei meandri di un cervello sconvolto, di un animo shockato…. “The relation between brain and behaviour“, così si intitola l’album di debutto della formazione veneta, pubblicato il 21 gennaio scorso, un album tenebroso, plumbeo come la sua copertina, un concept perennemente in bilico tra linee di basso imponenti e vibrazioni drone, incentrato sulla vicenda di Phineas, in qualche modo inquadrata dall’interno, come se a fare da narratore lungo i 7 brani che compongono il disco ci sia lo stesso Phineas, con tutte le sue personalità…
Come da copione non troverete una sola parola nei brani dell’album, perché il doom per definizione è strumentale, a suo modo psicologico e l’utilizzo della voce sarebbe soltanto un elemento di distrazione dall’evocatività del suono, dai brividi che inquietano e trasportano proprio dove gli Aidan ci vogliono portare, nei cunicoli stretti ed imprevedibili di una mente deviata; e allora fate un respiro profondo, il cd è nello stereo e la discesa comincia….
Si parte con “Lebanon, 1823“, intro dall’inflessione distesa e dai suoni dilatati, un inizio dai toni grigi, apparentemente morbidi, che introduce la successiva “No longer Gage”, progressione ripetitiva ed ossessiva in cui ad ogni giro la tensione si alza, diventa palpabile, le linee si fanno più scure, la batteria inizia a far sentire la sua presenza, e sul crescendo finale nuvole nere si affacciano per il terzo brano. “Left frontal lobe” è il punto di svolta del racconto e dell’album, è qui che accade il patatrac, è in questo momento che la mente del protagonista viene sconvolta, deviata dall’avversa sorte, le luci si spengono del tutto, e quello che finora sembrava un sentiero ben tracciato incontra un baratro, un strapiombo travestito da una cavalcata al limite del black, non fosse per le potenti sferzate drone che giocano con i tempi pigiando ora sull’acceleratore ed ora di colpo sul freno.
Da qui in avanti quel che c’era prima non ci sarà mai più, e a darcene la conferma arriva “Dr. John Martyn Harlow”, un macigno sonoro che procede come un rullo compressore tra chitarre sempre più incisive, linee melodiche di Sabbathiana memoria ed un crescendo ritmico compulsivo, la mente e l’animo sono irrimediabilmente turbati, le visioni distorte e “Pulse 60, and regular” – che di fatto rallenta il ritmo – con il suo ambient-drone obnubilante incute nuove paure, insinua un nuovo terrore che si muove nel buio più totale in cui ci si ritrova a questo punto. Stiamo giungendo al termine del viaggio, ma in fondo al tunnel non c’è nessuna luce ad attenderci, è il buio a farla da padrone, e “Ptosis” nè è la dimostrazione più alta, una vibrazione inarrestabile, una serie di passi mossi tra i cunicoli umidi e freddi di un razioncinio che non c’è più, un avanzare inquieto, stanco e sconvolto che porta all’inevitabile declino finale di “Lone mountain”, gelido sludge violentemente cadenzato dalla batteria, snervante nei suoi oltre 8 minuti di durata, ma più che mai incisivo e azzeccato per terminare il racconto.
È meglio chiarirlo, non è un album di facile ascolto “Between the brain and the behaviour”, come non è un genere di facile ascolto il doom, che qui spadroneggia su tutte le altre più o meno marcate deviazioni stilistiche, non lo è ed è giusto così, ma se le atmosfere cupe delle inquietudini vi sono affini, se siete disposti ad ascoltare un incubo in musica senza lasciarvi fermare dal polso che aumenta e diminuisce bruscamente da un secondo all’altro, allora “Between the brain and the behaviour” fa per voi, ascoltare per credere…
Written by Emanuele Bertola
Tracklist
1. Lebanon, 1823
2. No longer Gage
3. Left frontal lobe
4. Dr. John Martyn Harlow
5. Pulse 60, and regular
6. Ptosis
7. Lone mountain