“The Wild Child” album omonimo della band lombarda – recensione di Emanuele Bertola

Alla faccia degli alternativi, alla faccia degli snob, degli indie e di questa sorta di corrente di pensiero per la quale il passato è soltanto banale e il “già sentito” è una schifezza, ci sono – per fortuna – generi e sonorità che nonostante i decenni di storia alle spalle non perdono il loro fascino.

The Wild Child
The Wild Child

Il metal – e si parla del metal classico, niente sottogeneri più o meno di recente nascita – fa certamente parte di questi. Genere particolare il metal, non certo sofisticato nei modi e nell’atteggiamento, ma che da oltre 40 anni fa battere i piedi a tempo, agitare la testa in snervanti headbagging e pogare duro sotto il palco con le corna alzate al cielo.

Non ci sono scappatoie, nel metal ci sono band fondamentali per cui si deve assolutamente passare e che ogni metallaro, dal death all’epic, conosce ed apprezza, sono band dai nomi altisonanti e talmente famosi da sembrare banali, ma così non è, e lo sanno bene i The Wild Child, formazione tutta italiana proveniente dai più alti lidi della Lombardia, nello splendido scenario della Valchiavenna, ad un nonnulla dalla frontiera svizzera.

I The Wild Child rispondono ai nomi di Cristian “Cris” Nava (voce e tastiere), Marco “Mark” Gilardoni (chitarra ritmica e solista),  Paolo “Paul” Gilardoni (basso), Mattia “Matt” Ardenghi (chitarra ritmica) e Andrea “Endriu” Martocchi (batteria), nel 2004, uniti dalla medesima passione per l’hard rock e il metal, decidono di mettere insieme un gruppo ed iniziano a muovere i primi passi come cover band dei gruppi fondamentali del genere, su tutti Black Sabbath e Judas Priest, ma ben presto il semplice tributo non basta più, e i cinque cominciano a scrivere pezzi propri, proposti prima durante i concerti e infine stampati sul primo album ufficiale della band, “In the next life”, autoprodotto e datato 2008.

Dopo l’uscita dell’album i The Wild Child riprendono un’intensa attività live che li porta in giro per lo stivale, fino ad un nuovo ritorno in studio, per registrare il successore di “The next life”.

The Wild Child
The Wild Child

The Wild Child“, titolo omonimo per il secondo lavoro della band, uscito nel 2012 e supportato da un fitto tour radiofonico in giro per l’Italia, che sta già regalando grosse soddisfazioni alla band, sia per quel che riguarda il riscontro del pubblico sia, soprattutto, per il giudizio della critica, giudizio che è già valso ai cinque l’inserimento nell’annuario del metal italiano 2012 della rivista Rock Hard.

Non è difficile capire il motivo del successo di “The Wild Child”, basta mettere il cd nello stereo e premere play, il resto è chiaro con i primi secondi di “Wild Child”, traccia di apertura introdotta da un attacco di batteria al fulmicotone di Martocchi, coadiuvato dal riff chitarristico di un Mark in stato di grazia, è l’intro perfetta, potente e imbottito di watt dal primo secondo e senza variazioni dalla linea del più classico metal di scuola Priestiana, da qui in avanti sarà questa la ricetta, immutabile da oltre 40 anni, già sentita – certo – ma ugualmente coinvolgente, sudata e passionaria come sempre e, soprattutto, suonata in maniera impeccabile da tutto il gruppo, che non manca di regalare elementi di rito quali tiratissimi assoli di chitarra, acuti gracchianti e ritmi da doppio pedale, finanche un poderoso assolo di basso di Paul all’interno di “Fuckin’ money”, brano che vira verso l’hard rock e che grazie ad una forte presenza del basso assume sembianze splendidamente cupe.

The Wild Child
The Wild Child

Si passa così per “The ghost”, forse il brano più snervante dell’album e forse anche il migliore, ripieno di nervosismo, echi growl e – ovviamente – di elettricità palpabile, “Mofo”, classico che più classico non si può, ma anche “Mother eye’s”, malinconica power ballad un po’ straniante all’interno di un album di duro impatto come questo, ma che guadagna fascino con i successivi ascolti.

E poi ancora “The last battle”, granitico pezzo incline al doom dall’incedere costante, introdotto ed accompagnato da cori epicheggianti che trasformano l’atmosfera in qualcosa di tetro e a tratti quasi terrificante quando la voce di Mark si fa importante e venata di cattiveria mentre annuncia di prepararsi alla battaglia.

La chiusura dell’album viene affidata a “Cris song”, il brano più lungo dell’intero e sicuramente uno dei più interessanti: il pezzo parte inaspettatamente con il suono soft di un pianoforte e qualche riverbero, al primo impatto pare di trovarsi di fronte una nuova ballad, ma non è così, per oltre 11 minuti Cris ci accompagna in un viaggio nervoso, in bilico tra le linee morbide del piano e le scariche elettriche di riff violentissimi scaricate a piccoli tratti, tratti che separano le diverse fasi di un discorso splendidamente recitato dal batterista che, parola dopo parola, sembra accumulare rabbia, salvo poi scaricarla in un tremendo anfratto elettrico prima della quiete finale.

Un finale azzeccatissimo, che lascia spiazzati ma che resta fortemente impresso, forse più di ogni altro brano dell’album nonostante la lunga durata.

Insomma, un ottimo album questo dei The Wild Child, suonato senza il minimo cedimento e senza lasciare adito a considerazioni negative sulla tecnica e sul sudore che questi 5 ragazzi dimostrano di avere nelle proprie corde.

Un album metal classico, come è giusto che sia, perché ci sono suoni e generi che per sopravvivere hanno bisogno di continue novità e continue nuove deviazioni ed influenze, ed altri che procedono dritti per la propria strada, senza bisogno d’altro. Il metal è così, lo si ama o lo si odia, se lo odiate “The Wild Child” non fa per voi, ma se lo amate non potrete non apprezzarlo al meglio…

 

 Written by Emanuele Bertola

 

Tracklist

1. Wild Child

2. Confusion

3. Mofo

4. The Last Battle

5. Fuckin’ Money

6. Mother’s Eye

7. The Ghost

8. Cris’s Song

 

 

 

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