“Frankenweenie”, nuovo film visionario di Tim Burton: dal 17 gennaio al cinema

Frankenweenie” nelle sale italiane dal 17 di gennaio ma già visibile in Uk, dove, al London Film Festival, ha avuto la sua prima mondiale, è l’omaggio che Tim Burton ha fatto a Frankenstein.

Prodotto dalla Disney, è un’opera già nota agli appassionati di Burton, come la mostra di luglio a Parigi aveva evidenziato: “Frankenweenie” sviluppa infatti un corto del 1984 che è contenuto speciale del dvd “The Nightmare before Christmas”.

Il protagonista è un bambino, Victor Frankenstein, un genio della scienza. Il suo unico amico è il suo cagnolino Sparky (una scintilla in un mondo di persone smorte e dall’aria malata: il film è in bianco e nero). Quando l’animale muore, a Victor viene un’idea (indirettamente ispirata dal professore di scienza Ryzurski – la voce è di Martin Landau, che fu Bela Lugosi in “Ed Wood” – un evidente omaggio a Vincent Price) su come riportarlo in vita.

Esperimento riuscito, ma seguiranno problemi legati alla competizione tra i ragazzi del villaggio, New Holland (dotato provvidenzialmente di un mulino, per ospitare il gran finale), che si stanno preparando per la fiera della scienza e che temono che Victor li batterà. Insomma, il tipico film di Burton: un bambino, un sogno, i prodigi della scienza, la magia, la provincia americana annoiata e precisa, l’amicizia, la vita in una ridente e benpensante cittadina (come in “Edward mani di forbice” e “La sposa cadavere“).

Il film è per adulti, perché i rimandi culturali (oltre a “Frankenstein”, ci sono “La Mummia”, “Gremlins” , “Quasimondo” , “Goonies” e “Godzilla”) non sono ovviamente comprensibili da parte dei bambini, ma anche per i più piccini, dato che mette in scena sentimenti semplici ed immediati, ed un mondo magico che affascina (non solo) i ragazzi.

Burton è il solito grande visionario, i personaggi sono perfettamente realizzati e caratterizzati anche nella lingua che parlano (fenomenale il cinese Toshiaki). I temi sono quelli consueti e la fedeltà poetica di Burton per alcuni può essere una ossessione: i deformi sono eroi solitari e la storia racconta sempre e solo dello scontro incontro con il mondo dei normali, che sono i veri detentori di ciò che ci si deve rimproverare.

La storia scritta da Mary Shelley è appositamente banalizzata e disinnescata delle sue implicazioni psicoanalitiche: Sparky è un cagnolino e non fa paura a nessuno e Victor non rischia nulla in conseguenza al suo gesto. Non è il desiderio di Victor di ridare la vita a creare il danno, ma la sciocca competizione e la mancanza di vero amore per la scienza dei suoi compagni di classe a causare il disastro.

Il film è toccante. Commuove. La pellicola, pur essendo sfacciatamente commerciale, è molto personale. L’humor è gotico e geek. Non solo durante i monologhi del professore, ma anche nella caratterizzazione di Nassor, il sosia di Boris Karloff, che fa sorridere per come parla e  come si muove, se non addirittura per il tipo di animale che riporta in vita (Cololssus). Sparky stesso è un animaletto dolce e buffo che dà vita a gag semplici ma divertenti.

Tenera anche la cagnolina sposa di Frankenstein, Persefone, con le strisce bianche nel pelo, la sua padrona, Elisa Van Elsing (sì, proprio così, un divertente cortocircuito), come anche il gobbo Quasimodo, lo strisciante Edgard E Gore.

Alla fine, al quesito iniziale, se sia bene o meno riportare in vita il proprio caro amico. Non si ha risposta, o forse sì. Con amore si può fare tutto (infatti Sparky è buono, gli altri animali resuscitati, che sono sconosciuti ai bambini che li trasformano, no).  “La scienza fa domande” e le persone invece non le vogliono sentire, preferendo usufruire in modo facile delle scoperte. Ogni attività cambia se fatta con amore o odio.

I progressi scientifici possono creare mostri, o ridare la vita, a seconda di chi li realizza.

L’insegnamento finale è che i personaggi positivi sono spontanei e naturali e come sempre il bene vince sul male. Chi veste di nero e sembra inquietante non è necessariamente cattivo e non bisogna avere paura dei morti, ma dei vivi.

La regia accurata, specifica e mai scontata accompagnata da una scrittura semplice, immediata e sincera fanno di questo lavoro un piccolo tesoro, in particolare nella scena in cui il cane muore.

 

Written by Silvia Tozzi

 

 

Un pensiero su ““Frankenweenie”, nuovo film visionario di Tim Burton: dal 17 gennaio al cinema

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *