“Le Horla”, racconto di Guy de Maupassant – recensione di Alberto Rossignoli
“Le Horla“: Titolo alquanto misterioso. E difficile da tradurre, tanto che ci sono diverse opinioni, in proposito. Tuttavia, comunemente lo si traduce come “L’Altro”, “L’Estraneo”: è molto più attinente a ciò che Maupassant ci narra qui.
Ed effettivamente, nella vita del nostro protagonista, qualcosa di estraneo sembra, di punto in bianco, in medias res, essere entrato; ed è il protagonista stesso a documentarlo, in una sorta di diario. Un allucinante diario. Lucidamente allucinante.
“12 maggio. Da qualche giorno ho un po’ di febbre, non mi sento bene, o meglio mi sento triste. Da dove derivano queste suggestioni misteriose che mutano la nostra felicità in scoraggiamento e la nostra fiducia in debolezza? Si direbbe che l’aria, l’aria invisibile sia satura di inconoscibili Potenze, di cui subiamo la misteriosa influenza.[…] Com’è profondo questo mistero dell’Invisibile! Non possiamo sondarlo coi nostri miserevoli sensi, con gli occhi che non riescono a percepire né ciò che è troppo piccolo, né il troppo grande, né il troppo vicino, né il troppo lontano e nemmeno gli abitanti d’un astro o di una goccia d’acqua…”.
Sin da subito è chiaro che qualcosa ha toccato l’anima del protagonista, più che la sua mente, sebbene egli ritenga, sulle prime, che la sua patologia possa avere un’origine psichiatrica.
Tuttavia… A nulla valgono i rimedi consigliati dal suo medico. Anzi…
“23 maggio. Nessun miglioramento. Davvero il mio stato di salute è inconsueto. Man mano che s’avvicina il buio, mi sento invaso da un’incomprensibile ansia, come se la note fosse per me una terribile minaccia.”.
Un breve sonno, non sereno, e poi… Una presenza. Un qualcuno turba la sua quiete… Un qualcuno che sente così pericolosamente vicino a sé, un qualcuno che gli stringe le mani sul collo e preme…
E il nostro protagonista si sente paralizzato dal terrore. Di punto in bianco, si risveglia, spaventato all’inverosimile. Questa presenza vuole la sua vita…
“4 luglio. Sto di nuovo male. Sono tornati gli stessi incubi. La notte scorsa ho sentito qualcuno accovacciato sopra di me, con la bocca contro la mia: mi beveva la vita attraverso le labbra. […] Poi s’è alzato, sazio, e io mi sono svegliato, talmente fiacco e malconcio che non ce la facevo a muovermi.”.
Decide, febbrilmente, di tentare un esperimento, essendosi accorto che la Presenza beveva l’acqua dal bicchiere posto sul comodino: mette sul suo tavolino acqua e latte, mette attorno alle caraffe delle fasce di mussola bianca, dopo aver legato i tappi con dello spago. Poi, si pone sulle labbra, sul mento e sulle mani della polvere di piombo. E si corica.
Al risveglio da un tormentato sogno, si accorge che le fasce non erano state toccate, ma…. Una volta slegati gli spaghi, si accorse che l’acqua e il latte erano spariti! La situazione degenera.
Al punto tale da far temere al nostro protagonista di non avere più una volontà sua propria. Di non essere più lui a pensare, ad agire, a vivere, bensì un qualcosa d’altro. Non è solo frustrazione. No. Diremmo, meglio, annichilimento interiore. Angoscia che diviene gradualmente forse più terribile della disperazione kierkegaardiana.
“15 agosto. […] Ma chi è colui che mi domina, questo invisibile? Questo inconoscibile, questo errante d’una razza soprannaturale? Dunque gli Invisibili esistono! Allora, come mai dall’origine del mondo non si erano ancora manifestati in modo preciso come fanno adesso con me?”.
Dai pensieri di morte, ai pensieri omicidi. Ora, la Presenza deve essere annientata. Ma prima, il protagonista deve riuscire a vederla distintamente.
Facendo finta di essere intento a scrivere, per trarla in inganno, quando, all’improvviso, la sentì dietro di sé. Fece per girarsi di scatto, ma non vide altro che lo specchio, il quale, tuttavia… Non rifletteva più la sua immagine!
Pian piano, la sua immagine cominciò a delinearsi, come se svanisse una sorta di nebbia davanti allo specchio stesso.
Fino a cosa si spingerà il nostro protagonista, animato dal desiderio di cancellare quella creatura dalla sua vita, di annullarla, annichilirla, distruggerla? In fondo, realizza nel finale, a nulla è servito che intrappolassi Horla nella casa, per poi appiccare il fuoco… Come può morire un essere invisibile, un essere soprannaturale?
E se davvero è superiore all’essere umano, il quale è esposto al pericolo della morte ad ogni istante della sua vita… Non dovrà, il protagonista, uccidere se stesso per porre fine alla maledizione?
Written by Alberto Rossignoli