Resoconto della mostra “Rubble and Revelation” dell’artista Cyprien Gaillard, Milano

La Fondazione Trussardi (curatela di Massimiliano Gioni) ha portato a Milano un nuovo talento dell’arte contemporanea e ci sta facendo scoprire l’ennesimo luogo suggestivo di Milano, l’artista francese Cyprien Gaillard e  il panificio della Caserma XXIV Maggio in via Monti.

Nato nel 1980 a Parigi, Gaillard si forma a Losanna e poi si stabilisce a Berlino. Tra i vari riconoscimenti, ha ottenuto il Premio Marchel Duchamp del Centre Pompidou di Parigi nel 2010 e il premio per la Giovane Arte della Galleria Nazionale di Berlino nel 2011. Ha esposto in tutto il mondo, e tra le sedi più prestigiose annovera la Kunsthalle di Basilea e quella di Kassel, il Centre George Pompidou di Parigi, il Moma di New York, la Tate Modern di Londra e il Mori Art Museum di Tokyo. Astro emergente dell’arte, Gaillard realizza una mostra che permette  di vivere un percorso esaustivo all’interno della sua poetica.

Suggestiva e magnifica la colonna sonora diffusa per il panificio, che ottimamente si sposa con le immagini in mostra. Èrealizzata dai Salem, gruppo statunitense. Si tratta in loop di “Prelude (Dragged)”,  rielaborazione del preludio de “L’oro del Reno” di Richard Wagner, celeberrima prima opera della tetralogia. Gaillard sembra voler così sottolineare le analogie tra contemporaneo e mito.

Il titolo della personale è “Rubble and Revelation – Rivelazioni e Rovine“, e presenta filmati e collage fotografici che puntano l’attenzione proprio sulle rovine e sulle rivelazioni che gli accostamenti di immagine ci suggeriscono.

In apertura, una sala – che è quella dei forni della caserma ottocentesca  – con una serie di frottages a carboncino intitolati “Gates”, presentati in anteprima. Sono grafiche che riportano la dicitura Made in India dei tombini delle città di San Francisco e di Los Angeles. L’idea è ironica, ma anche finalizzata ad analizzare il rapporto tra civiltà differenti e  la mescolanza culturale. Chi avrebbe mai pensato che sui tombini statunitensi fosse scritto made in India? Che venissero addirittura da un altro continente?

La seconda sala è la sala indaco dei forni, dove trova collocazione “New Picturesque”, una serie di piccoli collages: si tratta di buste strappate attraverso le quali si intravedono vecchie cartoline. Un lavoro che anticipa il video “The Lakes Arch” in cui: due ragazzi si tuffano nelle acque di fronte a Saint–Quentin–en–Yvelines, nella periferia di Parigi. Ma l’acqua è troppo bassa (spoiler) e uno si fa male e la camera insiste sul suo volto sanguinante ed umiliato. La metafora è evidente. La scena è incorniciata dalla presenza incombente dell’architettura, maestosa e vuota.

Il video è girato con una camera a mano, per dare veridicità a ciò che vi è rappresentato. Nonostante il video sia rough, è intriso di profondo lirismo e malinconia e parla dell’impatto col cemento di una generazione figlia dell’epoca dei crolli.

Pruitt-Igoe Falls”, un video del 2008 che in mostra anticipa la sala dei collage, è un’esplosione. Dapprima ecco, nella propria fierezza, un edificio eretto in mezzo a un antico cimitero scozzese. Poi l’esplosione con una nube di polvere che, a poco a poco, si fa cascata. Una cascata che dura all’infinito e che, tramite l’uso di filtri, cambia di colore e si fonde con riprese notturne delle Cascate del Niagara.

“Pruitt-Igoe Falls” è il nome di  un complesso residenziale costruito negli anni ’50 a St. Louis. L’edificio ripreso era situato nella periferia di Glasgow. La sua demolizione indica la cancellazione del passato, che sparisce e viene dimenticato. Il film è di grande impatto, potente e ammaliante, e il crollo ci affascina ma non solo per la potenza che la demolizione sprigiona, anche perché la metamorfosi in cascata lo rende magico e magnetico.

Millions into Darkness” – che occupa le due sale a seguire –  raccoglie in teche foto in bianco e nero di eventi storici e di cronaca nera quasi esclusivamente statunitensi. E’ un lavoro difficile da capire, con un’accurata scelta di immagini e un’altrettanto complessa scelta di come accostarle. Le fotografie ed i ritagli infatti servono da spunto per farci riflettere sull’equilibrio precario che governa il mondo, sulle tensioni sociali, sulle contraddizioni, sulla povertà, sulla fragilità della condizione umana.

Geographical Analogies”sono meravigliose tavole sistemate sotto lunghe teche da museo di storia naturale, sono composizioni a forma di rombo formate da  polaroid simili a coppie o a terzetti, che accostate creano nuove suggestioni. Tra i soggetti hooligans, prefabbricati di città russe, turisti americani ubriachi, resort futuristici, piramidi, Angkor wat, murales, graffiti, nomi, parchi, dinosauri (in gran copia), alberi, rovine Maya, centri militari, piante di varie forme, case di ogni tipo, grotte e macerie, chiese riprese da varie angolazioni, colonne e capitelli, specchi d’acqua, templi; Ogni rombo è, per l’appunto , creato da nove polaroid, scattate in giro per il mondo, che compongono una sorta di atlante della memoria, e che spesso si completano nel significato l’una con l’altra.

Il filo conduttore dell’accostamento di questi luoghi è il sublime, ma anche lo smarrimento di senso cui sono destinati tutti i monumenti, gli edifici e le architettura, senza possibilità di salvezza. Ci sono rombi di per lo più la riflessione è sulla decadenza e sulla lotta tra uomo e natura (con alterne vittorie). Le immagini sono tutte scattate in diagonale di modo da poterle accostare creando il rombo, realizzate con effetto lomo e seppiato e con grandissima perizia, particolare che nel vederle tutte assieme a volte sfugge.

L’esposizione si chiude con il film in 35 mm “Real Remnants of Five Wars V“, che, come il nome suggerisce, è ultimo di una serie di cinque. La pellicola documenta l’esplosione di un estintore in un parco. Tra gli alberi – una delle fissazioni dell’autore – appare una nuvola bianca. La ripresa è a carrello lungo una balaustra del castello che fa da cornice allo spettatore. Si muove molto lentamente, imponendoci il punto di vista in modo assai deciso ed evidente. Non possiamo vedere altrove, ma lo desideriamo. E più lo desideriamo, più questa lentezza ci infastidisce, più siamo costretti da essa.

L’esplosione fa pensare al tema dell’iconoclastia ed impone l’annullamento dello sguardo: gli alberi siano nascosti dalla nube, che ricorda le nuvole di polvere generate dalla demolizione degli edifici, il prato è nascosto dal muro.

Ammaliato dall’immagine della rovina, Gaillard è un esteta della caduta. In relazione al suo lavoro è emerso spesso l’aggettivo “romantico”, che trasmette quell’insieme di pathos, drammaticità, ricercatezza e compiacimento di cui è pregna la sua ricerca formale. I temi ricorrenti sono: demolizione, conservazione, preservazione e ricostruzione, in una costante ricerca di equilibrio e in una profonda musealizzazione della storia. Vi è poi una forte componente romantica, tratta da molta pittura ottocentesca, e un senso di ineluttabilità affascinante. Recarsi all’esposizione fa sognare, ci trasporta in un tempo sospeso e magico, in spazi meravigliosi impreziositi da opere di vera arte. Da visitare di corsa, entro domenica.

 

Written by Silvia Tozzi

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *