Resoconto della mostra “Rothko/Sugimoto: Dark Paintinings and Seascapes”, Londra

La mostra Rothko/Sugimoto: Dark Paintings and Seascapes organizzata a Londra nella sala della Pace Gallery recentemente aperta ai Burlington Gardens è semplicemente magnifica (4 ottobre – 17 novembre 2012). Mette a confronto, con grande intelligenza e sensibilità, i quadri bicromi in bianco e nero, od in tonalità di grigio, del tardo Mark Rothko con le fotografie delle marine grige, bianche o nere di Hiroshi Sugimoto.

Rothko/Sugimoto: Dark Paintings and Seascapes  raccoglie otto dipinti in acrilico di Rothko e otto opere in gelatina argentata di Sugimoto, rivelando due differenti approcci artistici che arrivano però ad una conclusione simile.

Entrambi portano alle estreme conseguenze l’astrazione e il rapporto tra lo spettatore e l’opera. Esse sono caratterizzate da rettangoli di bianchi e di grigi giustapposti, a rappresentare volumi e pesantezze reali, spazi delimitati ed angusti, scorci e prospettive, adombrando significati più vari, profondi e misteriosi di quelli colti a prima vista.

L’idea della esibizione è nata nel 2010, quando Hiroshi Sugimoto entrò a far parte della Pace e conobbe Christopher, il figlio di Mark Rothko. La Pace lavora con la famiglia Rothko dal 1978.
I quadri scuri di Rothko sono stati realizzati l’anno prima della sua morte e sono un cambiamento radicale rispetto alla produzione precedente, brillante e luminosa. Si riducono a due rettangoli uno più buio, l’altro più chiaro. In quell’ultimo periodo sono stati usato solo il nero e il grigio, raramente il marrone e il blu, circondati da un margine bianco, che isola ed enfatizza l’immagine. Il significato è metafisico.

I “seascapes” di Sugimoto nascono nel 1980 e ritraggono corpi d’acqua a partire da quelli del Canale inglese e della Baia di  Sagami, fotografati in una composizione immobile, con una linea dell’orizzonte che divide acqua e cielo in due rettangoli, di cui uno sempre più chiaro, e li rende geometricamente astratti. Anche in questo caso, le emozioni sono asciugate, e le immagini trasfigurate.

La mostra è talmente bella da essere immediata per tutti. Si fa apposta a voler confondere i due autori, sovrapporli, confrontarli, giustapporli, usarne uno per comprendere l’altro.

E’ piacevole confrontare l’”Untitled” di Rothko del 1969 con “Ligurian Sea, Savoire” del 1993 di Sugimoto: entrambi sono tutti grigi in varie tonalità. Incantevoli alcune opere del giapponese, in particolare “Bay of Sagami” del 1997, a una prima occhiata una macchia bianca e poco nitida in uno spazio nero, che si rivela essere la luna piena  scintillante in cielo, sopra un mare immobile.

“Lake Superior, Cascade River” di Sugimoto del 1995 è altrettanto meraviglioso: da lontano, sembra tutto grigio, ma poi ecco apparire i riflessi dell’acqua in tutta la sua delicatezza, varie tonalità di un grigio argenteo a dipingere ogni singola onda increspata; il paragone con l’”Untitled” del 1969 di Rothko, con due tonalità di marroni che sembrano identici è inevitabile.

“English Channel, Weston Cliff” del 1994 ritrae un mare quasi nero e il cielo grigio scuro, piombo. Non c’è la luna e la luce del giorno se n’è andata: mancano pochi minuti al buio totale, ma ancora si vedono le onde.

Le opere fanno riflettere il visitatore sui limiti della percezione: a seconda del colore dominante sembrano più grandi o più piccole, più o meno ariose, più o meno statiche, e comunicano sensazioni differenti, nel caso di Rothko. A volte sembrano muoversi e brillare, sembrano ritrarre masse pesanti, sembra di poterli toccare con lo sguardo e quasi di sentire il rumore della risacca, nei quadri di Sugimoto.

I pezzi in mostra sono in tutto 15  in un’unica sala suddivisa in tre corridoi per  9,000 piedi. Il bianco predomina e focalizza l’attenzione sulle tele. Isola, evidenzia, pulisce. L’effetto è minimale. Non ci sono numeri o testi, non sono riportati i titoli dei dipinti o l’indicazione di chi dei due ne sia l’autore.  La pulizia, il bianco e il grigio, il rigore e la trasfigurazione prima di tutto.

 

Written by Silvia Tozzi

 

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