“Rituali ad uso e consumo”, nuovo album dei Karma in Auge – recensione di Emanuele Bertola

È un mondo difficile… È vita intensa. Felicità a momenti, e futuro incerto“, così Tonino Carotone recitava in una delle sua canzoni più famose, era il 1999 e il nuovo millennio era alle porte con tutte le speranze che l’arrivo del 2000 portasse cambiamenti in meglio. Oggi, nel 2012, queste parole sembrano non essere invecchiate di un solo giorno…

Il futuro di questi tempi è sempre più incerto, la felicità si gusta sempre più a momenti, in frammenti da dosare bene e spesso travestiti da acquisti consigliati alla tv e piccole evasioni dalla quotidianità; tempi difficili, soprattutto se si vive in una piccola realtà, piccola e lontana dalle megalopoli frenetiche figlie della società globale come molte realtà del Sud del nostro paese, ed è proprio da una di queste che nasce il progetto musicale dei Karma In Auge, terzetto tarantino dal nome che profuma di Battiato e che vede in formazione Giovanni D’Elia al basso, Mimmo Frioli alla batteria e ai synth, e Salvatore Piccione ad occuparsi di voce, chitarra e synth, nonché alla stesura dei testi.

La band nasce nel 2006 cercando fin da subito una propria dimensione musicale, la giusta combinazione di sonorità moderne e graffianti e liriche non scontate; per i primi anni l’attività del gruppo è composta principalmente da live e partecipazioni a diversi concorsi nazionali, finché nel 2010 viene pubblicato il primo lavoro in studio, “Memorie disperse“, un EP composto da 6 brani che riceve un buon riscontro di critica e regala ai tre la vittoria al concorso “Gothic room” organizzato da Darkitalia. Da qui partono una nuova attività live e l’elaborazione di nuove idee per un debutto ufficiale sulla lunghezza del Long Playing, in uscita il 29 ottobre.

Rituali ad uso e consumo” – questo il titolo decisamente significativo dell’album – rappresenta un passo in avanti lungo il percorso di maturazione artistica della band; con questo secondo lavoro i Karma in auge mostrano fin da subito una profonda attenzione alle liriche ed un avanzamento nella composizione degli arrangiamenti rispetto all’esordio – seppur già decisamente buono – di “Memorie disperse”. Siamo dalle parti del post-rock e del post-punk, inutile girarci attorno, i 9 brani del disco avanzano su tempi solidi tra chitarre cavalcanti e groove graffiante, con i synth ad amalgamare il tutto e a regalare effetti corali e dispersioni sonore tipicamente figlie degli anni 2000, ci sono tracce di dark wave sparse qui e là, ma i passi si muovono senza troppe deviazioni lungo il sentiero tracciato da grandi nomi come Cure o Joy Division.

Le sonorità cupe del post-punk fanno da perfetta ambientazione per i testi dei brani, che raccontano della vita di tutti i giorni, dei suoi crucci e delle sue manie, della routine e dei suoi strozzanti meccanismi. Si parte con “Consumismo mon amour“, e sulla base sonora riverberante dei synth la voce di Piccione introduce una critica sarcasticamente amara alla società di questo “mondo stanco ed effimero” in cui “l’abbondanza non sarà mai un crimine”, vittima di un consumismo ossessivo-compulsivo che alla lunga omologa e anestetizza le personalità al punto che ci si ritrova di fronte alla tv a dire “Pubblicità, cosa mi consigli ora che sento il vuoto nell’anima?”.

La successiva “La notte del rituale”, traccia di anticipazione dal cui testo è estratto il titolo dell’album, carica di watt la chitarra e si fa più aggressiva, come le sensazioni disilluse e nervose di chi si trova di fronte alla decisione di lasciare la propria terra in cerca di un futuro migliore, tra la paura di abbandonare le vecchie abitudini e la speranza di trovare un nuovo posto da poter chiamare casa, ‘chè – come risuona ossessivamente durante tutto il brano – “Home is the nest where all is best” (frase splendida).

Il desiderio di evasione dalle proprie prigioni è la sensazione dominante dell’intero album, che sia l’evasione da un luogo fisico o da sè stessi, da una routine che giorno dopo giorno ci condiziona sempre più e sopisce desideri e speranze, e ciò che traspare dalle canzoni è quanto certe sensazioni siano vissute sulla propria pelle, siano viste e narrate dall’interno di un animo in pena, terrorizzato da un futuro nascosto dalla nebbia della società contemporanea e dei suoi difetti, ma ancora capace di sognare, di vedere al di là anche quando tutto sembra buio.

Ecco allora che il disco prosegue tra alti e bassi emozionali, un percorso intenso fatto di attimi di felicità, speranze folgoranti e disillusioni cocenti, in bilico sul filo di un’esistenza che passa attraverso “Guerre fredde”, “Silenzi”, “Lotte visioni prigioni & routine”, a cavallo di un sound affascinante e coinvolgente, tanto potente quando a dominare sono chitarra e basso quanto avvolgente e sognante quando sono invece i synth a prendere il sopravvento, ed in cui il ruolo fondamentale resta comunque quello dei testi, delle parole quanto mai attuali e scandite chiaramente nonostante il nervosismo, parole che fanno di “Rituali ad uso e consumo” un disco di cantautorato moderno da ascoltare con attenzione, e – escluse le motivazioni bastiancontrarie dei soliti indie-snob – poco importa se musicalmente i brani non escano più di tanto dal seminato e restino ancora decisamente ancorati al genere, il sound è interessante e molto curato, tecnicamente impeccabile e soprattutto perfetto per la linea con cui il terzetto pugliese ha deciso di lanciare i propri messaggi, le liriche sono profonde e appassionate e il risultato è un ottimo album. Per una personalizzazione più importante del sound c’è comunque ancora tempo, e resta da vedere se il percorso di maturazione della band proseguirà a ritmi così alti, ma se queste sono le premesse non si può che sperare in bene, alla faccia del futuro incerto…

 

Written by Emanuele Bertola

 

 

Tracklist

1. Consumismo mon amour

2. La notte del rituale

3. Oltre il mondo

4. Persi

5. Guerre fredde

6. Lotte visioni prigioni & routine

7. Wave

8. Silenzi

9. Bovarysme

 

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