“Quando parlo urlo”, album dei Tindara – recensione di Emanuele Bertola

Esisteva una maniera di fregare il potente e si chiama Rock ‘N Roll. Ma indovinate? Oh no! Il potente ha corrotto anche quello con una cosina di nome MTV!“, così un ispiratissimo Jack Black nei panni di Dewey Finn, il pazzo professore improvvisato di School of rock, spiega alla sua classe l’esplosione della musica commerciale usa e getta a cui la popolare emittente ci ha purtroppo abituati.

Fortunatamente però il rock è una bestia dura a morire e non sarà certo MTV a decretarne la fine, il rock è il linguaggio di chi ci crede davvero e di chi lotta, che le battaglie siano quelle epocali o quelle di tutti i giorni, il rock è un violento urlo in faccia alle ingiustizie che non ha bisogno di andare in heavy rotation su radio e tv, e se in questi anni di musica plastificata sembra scomparire in realtà non c’è altro da fare che cercarlo meglio, lui sarà sempre lì, carico e pronto a sferrare cazzotti elettrici nello stomaco del mondo.

Ed è proprio cercando bene, scandagliando gli scaffali dei negozi di dischi alla lettera T che, tra una compilation house di Terry Hunter e un inutile cd dei Tokio Hotel, si può intravedere in giallo su nero il nome dei Tindara, progetto nato tre anni or sono dall’idea di Terenzio Valenti, appoggiata e coadiuvata fin da subito dal nome altisonante di Luca Bergia, batterista e co-fondatore dei Marlene Kuntz, nonchè dallo staff della band cuneese. La premessa è ghiotta, perchè il buon Bergia ha l’occhio lungo per quel che riguarda i talenti rock e, visto che ha accettato di partecipare al progetto Tindara, le aspettative sono delle più speranzose verso l’album di debutto di Valenti & co., uscito a marzo di quest’anno ed edito dalla sapiente mano di Toto Maisano.

Quando parlo urlo“, titolo in qualche modo rabbioso che chiarisce già al primo impatto che Valenti ha qualcosa di importante da dire e non ha certo paura di alzare il volume, niente di meglio per introdurre le undici tracce che compongono l’album, undici pezzi per raccontare del senso di inadeguatezza che attanaglia chi ha il coraggio di non scendere a patti con il sistema omologato, la rabbia di chi vede le ingiustizie e sceglie di non tacere, di chi sgomita per rimanere a galla in un sistema che premia i meno meritevoli e punisce chi si impegna, un sistema che spende tutte le proprie energie per trovare lavoro ai figli di papà e lascia cadere a terra senza il minimo aiuto chi ne avrebbe davvero bisogno, un sistema corrotto che si nasconde dietro un buonismo di facciata difficile da tollerare per i Tindara.

L’album si apre musicalmente più soft di quanto forse ci si aspettasse, con i polpastrelli di Daniele Mantegazza a sfregare sulle corde metalliche della chitarra acustica introduttiva di “Come dici tu”, brano dedicato alla disperazione di chi cerca lavoro senza riuscire a trovarlo e oltre al danno è costretto a sopportare la beffa di chi giudica impietosamente, un testo malinconico e rassegnato cantato da Valenti con una cadenza che ricorda non poco il Manuel Agnelli dei primi Afterhours; si sale con il ritmo e la chitarra si fa elettrica, è ora dell’alternative di gran classe: “Ho scelto il nero”, uno dei pezzi più ispirati se non il più ispirato in assoluto, potrebbe essere l’inno del popolo dark, che ha scelto il nero “per tener lontano chi proprio non mi va”, perchè “meglio del grigio, eterno indeciso” e “meglio del bianco che mai sarà tale”, un dito medio sbattuto in faccia alla pressante spinta all’omologazione e a convenzioni fin troppo strette. L’omologazione e la sua mediocrità stanno alla base anche del pezzo successivo, “Sopra la delusione”, un crescendo nervoso e disilluso che si conclude con distorsioni acide quasi hardcore che sparano finalmente la giusta scarica di watt per una rock band che si rispetti.

La title-track spezza il ritmo e decelera violentemente per una ballad intensa che disegna lo scenario triste di chi vive una storia che sta lentamente scemando e si ritrova a vedere i propri sforzi tornare indietro senza sortire effetto. “Stones” riporta il rock aggressivo a farla da padrone con le chitarre tirate e il basso a far sentire forte la propria voce mentre Valenti canta delle dipendenze e di una costante voglia di autodistruzione fine a sè stessa, una bomba elettrica seguita da un nuovo rallentamento, quello di “Un minuto”, desiderio in musica di tempo e spazio per pensare con la propria testa, anche poco, “un minuto di tempo è quello che desidero di più” recita la voce stanca del cantante, e come dargli torto? “Sogna che ti passa” è la delusione di un adolescente che non riesce a conquistare una bella e vanitosa ragazza, brano agrodolce che anticipa i botti finali, tra lo stampo verdeniano di “Schiuma” e la devastante “Vescica”, al limite tra il grunge e l’hardcore, secca, violenta rabbiosa e tremendamente rock, e poi l’intermezzo strumentale ben riuscito di “Upupa” e il finale affidato a “Consapevolezza”, un’autocommiserazione in salsa alternative che chiude alla grande il disco.

Più di 35 minuti sono già passati dalle prime note di “Come dici tu”, e le aspettative sono state decisamente soddisfatte da “Quando parlo urlo”, i Tindara si rivelano una gradita sorpresa e promettono ancora meglio per il futuro, un’altra prova che – nonostante MTV – il rock, anche in questa nostra povera Italia, non muore mai. Spulciare gli scaffali dei negozi di musica dà delle gran belle soddisfazioni!

 

Written by Emanuele Bertola

 

 

Tracklist:

1. Come dici tu

2. Ho scelto il nero

3. Sopra la delusione

4. Quando parlo urlo

5. Stones

6. Un minuto

7. Sogna che ti passa

8. Schiuma

9. Vescica

10. Upupa

11. Consapevolezza

 

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