“Nessuno sa quando il lupo sbrana” di Maddalena Capalbi – recensione di Rita Pacilio
‘La poesia è il fiore più antico della terra’, dice Katerina Anghelaki-Rooke perché è connessa inevitabilmente alla vita, ai suoi intrecci.
La poesia, infatti, è la rivelazione dell’energia vitale del mondo ed il poeta ne subisce il ‘perché’ restituendone l’intero e sublime mistero del ciclo puro ed ininterrotto dell’esistenza.
Rinunciando a ricostruire tratti psicoanalitici dell’opera poetica Nessuno sa quando il lupo sbrana di Maddalena Capalbi si captano, necessariamente, l’alternarsi e il sovrapporsi di percorsi cruciali psicosociologici intrisi di forti confronti con i processi di vita dolorosi.
Il lettore esperto, alla prima lettura, inizia malgrado tutto, a prendere una forte distanza dal proprio personale dolore effettuando una prima liberazione; si posiziona come terzo neutrale per meglio comprendere la grande edificazione poetica proveniente da una demolizione di rapporti umani devastati, tenuti in vita da una straordinaria architettura monastico/clericale.
La Capalbi denuncia le dinamiche borghesi che, paradossalmente, sotto le vesti formali, proteggono violenze e soprusi mentendo, sottomettendo o deviando voci, pensieri e commenti innocenti. Spesso è la famiglia che nasconde i più grandi drammi sociali: i sentimenti di sacralità familiare sono intrisi di ombre e falsità a livello quasi midollare.
Lo sguardo va ai ragazzi, piantagioni dei nostri campi, elementi vitali che dovrebbero garantire lo status di salute; la salute che dipende dall’integrità. La Capalbi sa che la nostra è un’epoca riduttiva: sa farsi carico, quindi, della responsabilità di madre crudele di tutti i tempi e della pena di figlia come vittima innocente, anche se i ruoli possono invertirsi, per un gioco di contrasto e paradossi, per ambiguità e misteri.
Le dinamiche psicologiche sottese al quotidiano evidenziano la disperata e lucida solitudine dell’età infantile maltrattata da un padre multiforme: incongruenza di un’epoca sociale che vive di controversie e turbamenti. Si capovolgono le attese quando la Capalbi narra nei versi la tragicità suburbana scommettendo la conversione e il perdono nel segno carnale del tempo.
La madre e la figlia diventano soggetti atemporali nello specchio del trascendente. Si giurano amore, morte e segreto perché Nessuno sa che l’urlo arriva al mare (R.P.) divinizzando in morfologia biblica gli elementi dell’inconscio per meglio celebrare i sentimenti/segmenti di amore/pietas che il poeta cerca, cristallizza e colora. Questa è l’arte pregevole del ritratto.
“Quando le bambine diventano grandi/ non si devono far toccare dagli uomini/ sono specialisti nel mettere nei guai”// Il corpo allora diventa elettrico/ perché spiato,/ penetrato dal sorriso che svela,/ non ci credo./ Inizia così la gara degli estremi/ per non avere rivali,/ inizio a rubare femminilità/ ma sono ancora a mezzo servizio.// Non mi basta toccare il seno/ di mia madre,/ voglio fare male/ strappare le lettere che/ lì nasconde/ mentre la guardo negli occhi.// Conosco il segreto che nessuno deve sapere.” – Femminilità rubata
Written by Rita Pacilio