“Vertigini astratte” di Giuseppe Bonaccorso – recensione di Marzia Carocci

Vertigini astratte“. L’elegante “prosare” di Giuseppe Bonaccorso, si trasforma con forza, in parola viva, pulsante; un  lemma fra moniti e asserzioni, dove la riflessione trova ampio spazio intonando canti ed effluvi di idiomi ricchi di spessore emotivo ed emozionale.

 Una sorta di metamorfosi fra pensiero e costruito, dove l’introspezione del poeta esce in metafore filosofiche nella trasformazione in cui l’inferenza e l’immaginazione entrano in una simbiosi perfetta e indissolubile.

Bellissimi passaggi letterari, dove la scioltezza del verbo/verso, si snoda in alchimie lessicali che ampliamente ci donano quel senso di vissuto e di comprensione al significato inteso dal poeta; essenza vitale umana dove spesso il senso comune delle cose racchiude una miriade di sfaccettature che la vita ci impone malgrado noi.

Il poeta osserva, traccia, addita, implora segnalando le congetture, le distorsioni, di quella retorica che appartiene all’uomo; Bonaccorso disegna la parola, la cerca, la studia, la incanala nel giusto spazio fino a darle colore, forma, suono e significato nel processo che lega in un transfer  l’emozione del poeta alla condivisione percepibile del lettore.

Metafore che accarezzano, che scrutano, indagano il verso rendendolo dipinto immaginario:

“Anche la nebbia, stamane,

s’aggrappa al cielo”.

L’uso della figura retorica per Giuseppe Bonaccorso scaturisce naturalmente,  offrendoci nella lettura la sensazione di avere i sensori in attesa di rumori, odori, sapori e immagini.

Egli riesce naturalmente a fare entrare il lettore in quel suo mondo fatto di quotidianità, di gesti comuni, di pensieri a voce alta, di constatazioni fra certezze e dubbi, fra ombre e luci soffuse, ogni prosa ha il suo preludio che lentamente prende vita e si apre a una continua riflessione dove il poeta cerca risposte o dove a volte ne trova.

Incanto e disincanto, l’autore girovaga fra albe e tramonti dove mai, neppure per un istante ignora il senso di ciò che scrive, anzi, egli scava per trovare il senso agli eventi, risposte ai quesiti  incontrando dubbi e certezze, delusioni e accettazioni .

Malinconico, riflessivo, acuto, cercatore di speranze e trasformazioni anche là dove il tempo a volte non lascia tempo e le soluzioni restano rebus del vivere quotidiano.

Giuseppe Bonaccorso, in questa bellissima silloge, si presenta come uomo sensibile ma concreto, conoscitore dei difetti umani ma forte nell’affrontarli, egli diventa ora amico, viaggiatore, amante, soldato, becchino, identificandosi nei vari vissuti immedesimandosi nella parte di ognuno come a leggersi dentro per ritrovare forse  tante piccole parti di sé e del proprio vissuto.

Bonaccorso, dirige costantemente la sua prosa, ne fa discussione, manifestazione, processo nell’intenzione che il tutto, come la vita stessa, è già stato.

Un autore che strumentalizza la parola riuscendo magistralmente a costruire concetti e riflessioni che aiutano il lettore stesso ad entrare in contatto del sé.

Una lettura che è simbiosi di esistenza dove ogni istante, prende a brulicare, a vibrare, a respirare e ogni idioma si trasforma in personaggio, luogo, emozione.

Interessante viaggio attraverso una forma letteraria ben costruita, dove niente è a caso, ma anzi, diventa tassello in uno spazio ben congegnato in tutta la sua forma.

 

Written by Marzia Carocci

 

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