“Uno, nessuno e centomila”, romanzo di Luigi Pirandello – recensione di Nino Fazio
Nel 1926, dopo una lunga gestazione, viene pubblicato “Uno, nessuno e centomila”, l’ultimo romanzo di Luigi Pirandello, colui il quale insieme ad Einstein e Nietzsche mette in ginocchio le certezze dei secoli precedenti.
Nel compendio di tutta un’opera, il premio Nobel affronta la dicotomia tra essere e apparire e l’evanescenza della realtà che, moltiplicandosi e scomponendosi, mal si presta a cristallizzarsi in forme oggettive e immutabili.
Il semplice atto di mirarsi allo specchio è all’improvviso fonte per Vitangelo Moscarda di un’amara scoperta: il naso pendente verso destra e altri difetti fisici mai notati fino ad allora lo portano a capire che l’immagine che di sé ha la moglie è diversa da quella riflessa dallo specchio.
Il protagonista si trova così alle prese con un altro sé, a lui estraneo, che la moglie chiama Gengé e che gli si sovrappone costantemente. Ben presto questo estraneo si moltiplica – divenendo centomila – poiché ciascuno lo vede a suo modo. Inizia così una slavina di ragionamenti contorti che lo travolge, conducendolo alla pazzia.
La speculazione filosofica dello scrittore di Girgenti prende le mosse dalla constatazione della molteplice rappresentazione della realtà: “Ci fosse fuori di noi, per voi e per me, ci fosse una signora realtà mia e una signora realtà vostra, dico per se stesse, e uguali, immutabili. Non c’è. C’è in me e per me una realtà mia: quella che io mi do; una realtà vostra in voi e per voi: quella che voi vi date; le quali non saranno mai le stesse né per voi né per me.”
Non esistendo una “realtà in sé”, si presenta dunque con insistenza il problema gnoseologico, che scuote dalle fondamenta le basi del sapere: cosa posso conoscere? È questo l’interrogativo che ha accompagnato la storia della filosofia, dal “so di non sapere” di Socrate alla “Critica della ragion pura” di Kant, passando per S. Agostino e S. Tommaso.
La risposta di Pirandello è netta e destabilizzante: l’uomo non può conoscere nulla in sé, può solo forgiarsi la propria realtà, figlia di un modo di vedere le cose, di un vissuto e di una cultura strettamente personali. Questo principio è valido anche per la conoscenza interpersonale: non esiste un solo Vitangelo Moscarda ma tanti quante sono le persone che lo vedono dall’esterno e tutti diversi dal Moscarda in sé. Un Moscarda, quest’ultimo, che varia inoltre da momento a momento.
Dal momento in cui cade la convinzione che la propria realtà sia La realtà, oggettiva e immutabile, Moscarda non riesce più a vivere, ossessionato dalla smania di vedersi vivere. Quasi a dire che senza certezze l’uomo può solo vedersi vivere, sommerso e disgregato nel mare magnum delle infinite possibilità, nessuna delle quali concretizzata in una forma. Per vivere è necessario avere delle certezze, benché fittizie, con le quali dare forma a sé stessi e alla realtà, che ognuno costruisce a suo modo. Così da uno si ritrova ad essere centomila e dunque nessuno, disgregato e sfaccettato come un prisma.
Lo sfrenato relativismo – che ne è logica conseguenza – porta Pirandello ad una vera e propria lezione di tolleranza, velata dietro alla condanna di ogni forma di sopraffazione: «“ Ma si! è qui tutto,” pensavo, “in questa sopraffazione. Ciascuno vuole imporre agli altri quel mondo che ha dentro, come se fosse fuori, e che tutti debbano vederlo a suo modo, e che gli altri non possano esservi se non come li vede lui.”».
Il protagonista – impegnato spesso in lunghi e contorti monologhi – si rivolge ad un ipotetico lettore col “voi”, tramite uno stile dialogico volto a scandagliare l’animo umano alla maniera della maieutica socratica. Le problematiche – poste sotto forma di obiezioni dal protagonista – fungono da terapia psicoanalitica, scavando e destrutturando le convinzioni apparentemente più consolidate.
La salvezza arriverà dal rifiuto totale della propria persona con la dissoluzione nella natura dell’io, che così si abbandona al flusso continuo e mutevole del mondo, rinunciando a qualsiasi forma e reinventandosi continuamente: “[…] muojo ogni attimo, io, e rinasco nuovo e senza ricordi: vivo e intero, non più in me, ma in ogni cosa fuori”.
Written by Nino Fazio
Bella recensione di quello che è ormai diventato un classico della letteratura italiana.