“Tra anima – coscienza” di Siddharta-Asia Lomartire – prefazione di Carmen De Stasio

φωνάζει η ψυχή

“Son così orrenda,/ che più non mi accarezzi?/ Cosa son io/ se non un attimo/ che fugge e poi trasale/ sin a sparire./ Son cosi torbida/ che più non traspaio./ Cosa  sono,/ se non un grido/ che s’affaccia tremante/ ad un mondo sordo./ Cosa son se non/ passione,/ dolore/ parola/ trascendenza/ cammino/ rancore/ speranza,/ fremito e coscienza./ Cosa sono/ se non carne/ imbottita di spirito./ Son questo,/ son tanto,/ non son nulla.”

Enjambement di pulviscolo essenziale in accumulazione poetica.

Cosa sia la poesia non sarà mai il poeta vero a spiegarlo. Nella vivacizzazione della realtà materica sulla quale i versi si adagiano, il poeta distingue, frantuma, rinvigorisce, analizza con occhio lucido e sguardo intrepido condizioni che sovente “interferiscono” con il sistema di scrittura. Nulla di nuovo, dunque, se definisco Siddharta Asia Lomartire artista acclarata del verso.
Una nuova tendenza si affaccia all’orizzonte ed è la ricchezza che solo la mescolanza conferisce. Leggendo le poesie della giovane autrice non si può far a meno di visualizzare quelle frantumazioni interiori animate da spargimenti di vicende esteriori o relative alla condotta razionale dell’individuo. Non già l’asservimento-compiacimento di una consonanza con altri si ritrova, ma la percezione sincronica e metalogica di una scrittura che scuote la strada per incontrare la quotidianità, perché dalla totalità emerga quel pulviscolo essenziale che procede in un enjambement senza vincoli.

Soprattutto l’evoluzione stilistica di Siddharta preme per concedere all’incontro di registri linguistici la gestualità del suo messaggio poetico. O di pensiero. Non è una novità per chi naviga la poesia di ogni tempo, tanto addirittura da scomodare quell’immagine materica e dissolvente che si scopre attuale ancor oggi. Parlo dell’Antologia di Spoon River, opera con la quale Edgar Lee Masters spolverò via la fallacia della demagogia linguistica, sgattaiolando da porte nascoste nelle circostanze, assumendo le sembianze di quella concretezza e traslandola in chiavi versificanti.

Un paradosso. In questo senso si può andare nel mezzo della semantica di Siddharta, la quale utilizza la parola di facile assimilazione che risuona come alto significato attribuito ad una vertigine di azioni, articolazioni materiche, fasi decisive di accostamenti e distanziamenti. I suoi soggetti argomentativi premono di una forza opprimente, obnubilante, plasmata inuno specchio di contrasti derivanti da un senso di indagine da non confondere con l’insoddisfazione.
Non dunque nel mal de vivre la chiave di lettura, quanto piuttosto nella congiunzione a livelli interstiziali di spazi mentali distanti, sussurrati come allusioni, pervicaci come sottili lamine contorte a formare una catena che unisce le varie pagine poetiche in una continuità di favore e contrasto, assorbimento, attesa e spasmo turbolento.

In tutto questo i movimenti delle parole trovano corrispondenza con le dinamiche che scuotono l’osservabile manipolato dalla percezione dell’autrice, pittore di immagini che talora sfuggono anche alla sua stessa determinazione, altre volte sono complici efficaci perché il progetto abbia una sua connotazione decisa di forma e contenuto. Le affinità degli avanzamenti nella costruzione semantica veicolano una flessione del pensiero che si nutre della vicenda implicitamente definita, che subisce altresì l’evoluzione del tempo interiore-esteriore, assumendo, infine, la natura profonda di un’inquietudine come segno di vitalità.
Proiettata come meditazione a più livelli, la lingua di Siddharta offre una maturazione-evoluzione in situazioni complesse rimarcate come impalcatura di parola, verso, anima in aperta conversazione orizzontale con un interlocutore variabile. Davanti ad una scena nella quale a tratti si riconosce come se fosse altro da sé, l’autrice spiega, dipana la matassa degli interventi del suo pensiero. È interlocutore alla riflessione che, nella solitudine di un contenitore nel quale si ravvisa la sua vita, discorre in attesa di veder crescere davanti ai propri occhi la verità intrinseca sulla quale ella indaga.

Eppure non cerca risposte. In questo caso si svilirebbe la motivazione stessa del far poesia, bisogno endemico e strategia per affrontare l’arduo territorio della conoscenza. Sommessa, convulsa, vertiginosa, verticale ed abissale, dunque, la poesia di Siddharta si rappresenta come una icona frammentaria di vicende che uniscono e miscelano in una variazione inesauribile i soggetti delle sue ricerche tradotte in una versificazione che media costantemente tra linguaggi ricercati ed espressioni di uno spirito libero che mai nega la propria natura. Alla libertà in senso amplificato, infatti, Siddharta si rivolge e lascia intravedere il suo favore nei confronti di un intelletto netto da schemi mentali, sovente affievolito sulla necessità che un evento circostanziale possa aprire a nuove interpretazioni. Possa suscitare la divagazione dei segni.

Siddharta scandaglia il dove per trovar all’interno la strategia da adottare perché quel suo pensiero diventi azione. E l’azione realizzata vada a sostituirsi progressivamente a sentenze fissative. Nel luogo della dispersione di idee, ella prosegue la sua traiettoria olistica, incastra sensi e percezioni, traslando la lingua e rendendola complice delle sue trasmigrazioni, nelle sue uscite da sé e nei ritorni, talora alterata rispetto al sé precedente. Molto spesso ramificando le sue meditazioni concrete e materiche in una visualizzazione che è acquisizione di dati o fasi di avvio di nuove problematiche da risolvere.

Brutale, a tratti falcidiata da un sentore di impotenza, la poesia esprime in questa seconda pubblicazione una consapevolezza più chiara dell’approccio con l’essenza – anche virtuale – delle cose. L’artista deliberatamente nasconde, irradia, scaraventa – talora – sulla pagina gli eccessi di meditazione, compiendo una trasmigrazione che dalla parola esplode in una sillessi sconvolgente per poi acquietarsi in un cantuccio che integra i silenzi del tormento e l’acuto urlo di chi scuote le membra per non lasciarsi travolgere.
È la sensazione di un autunno che si reinventa al lume di nuove percorrenze in un territorio variabile, divisibile, frantumato, che l’autrice cerca di sondare prima che un senso di avvilimento costrittivo sopraggiunga a disperdere nel nulla le facoltà di convergenza critica ed astrattiva. La discorsività del linguaggio segue l’anelito della comprensione che vivacizza soprattutto la poesia anglosassone di inizio del secolo scorso, che focalizza l’attenzione su elementi altrimenti assenti allo sguardo vago di chi percorre la propria esistenza racchiuso nel timore di non farcela. In un tempo che teme di perdere se stesso. Dilatando la prospettiva su piccole sensibilità che confrontano l’individuo con le sue componenti, Siddharta lascia trasparire quel senso di legame d’amore scontroso, contrastato, violento con la vita, che non langue su apostrofi di leggerezza, ma incide, scava, penetra il fondo, assimilando – forse inconsapevolmente – lo scuotimento di una delle rappresentazioni verbali per me più vive di ogni tempo “la Vita è troppo forte per voi – ci vuole vita per amare la Vita” (Lucinda Matlock in Antologia di Spoon River, pag. 419 Einaudi 1993).

Distesa / sotto un cielo di silenzio./ Donna / di un raro respiro.. / ..io che volevo./ E in questi attimi / che il silenzio sollecita / a restar infranti, / il mio pensiero spinge, / sbatte / a non voler restare, / ma veloce / e inquieto s’aggrappa / a non voler restare / reliquia / di un ricordo distante.
Rumori – Siddharta Asia Lomartire

 

Written by Carmen De Stasio

 

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