Virginia: una storia vera raccontata da Carina Spurio
Virginia aveva 18 anni e gli occhi neri, voleva fare l’attrice. Era alta, flessuosa, possedeva una grazia naturale. Si era da poco diplomata all’Istituto Magistrale situato nel centro di Roma. Quell’estate sua madre le aveva proposto una vacanza in Abruzzo che le avrebbe permesso di trascorrere del tempo con sua cugina.
Virginia aveva sempre vissuto in città, tra grattacieli di cemento e i rumori della strada: era una ragazza serena e senza grandi problemi esistenziali. Si rese conto di quanto fossero belli gli ampi prati verdi e le cascine infilate tra le montagne mentre viaggiava verso il paese con il naso incollato al finestrino e lo sguardo dritto verso il cielo violaceo appoggiato sulle cime delle vette. Arrivarono che era quasi notte. C’era uno strano silenzio nell’aria.
La luna piena rendeva quel luogo irreale, come sospeso sulla montagna. La Fiat 600 celeste si inerpicò per i tornanti ciottolosi. Imboccò un viale d’ingresso e dopo una cortina di abeti si fermò davanti all’abitazione degli zii. Virginia si sentì avvolgere da una strana emozione. Erano arrivati! Nei giorni seguenti si trovò a contatto con gente umile e riservata.
La piacevole avventura in Abruzzo prometteva pace e serenità. In quel luogo tutto era nuovo, pulito, persino il fiume, alla cui riva se ne stava seduta tirando in acqua un sasso dopo l’altro. Poteva esprimere un desiderio per ogni cerchio che si formava e intanto lasciava vagare i suoi pensieri. Si sentiva libera, lontana anni luce dalla sua città, immersa nel verde della natura.
In certi giorni sua madre non approvava il suo isolamento, le chiedeva di unirsi alla compagnia di sua cugina e dei ragazzi del paese. Virginia era restia alle nuove conoscenze, una strana timidezza l’assaliva. Seppe che i ragazzi del paese l’avevano soprannominata “la romana”. Virginia notò che la loro vita ruotava tra i soliti amici riuniti fuori all’unico bar e i pomeriggi invernali trascorsi davanti al camino per esorcizzare la solitudine. Dopo alcuni giorni, gli amici di sua cugina la invitarono una festa. Decise di partecipare. Nel tardo pomeriggio le due ragazze raggiunsero il centro storico del paese.
L’antro della casa era buio, un grande portone antico si apriva su un cortile con altre abitazioni. Dopo due ripide rampe di scale una porta semichiusa lasciava intravedere un enorme camino. Un gruppo di ragazzi e ragazze la scrutarono silenziosi. L’imbarazzo fu presto superato e Virginia riuscì a rispondere a tutte le domande che nel frattempo le rivolsero. In quel paese non esistevano amici sbagliati o amici giusti come in città. Il gruppo si riuniva di frequente per combattere la solitudine e per divertirsi con semplicità. L’amore per Giuseppe sbocciò una notte d’Agosto, la notte di S. Lorenzo.
Insieme ai nuovi amici era andata ad osservare le stelle cadenti in cima alla collina in cui si trovava la chiesa. Giuseppe cercò la sua mano. Poco dopo nessuno dei due ebbe più segreti per l’altro. Di quei segreti visse Sara, nata nove mesi dopo. Sara era stata concepita in Abruzzo, in una notte in cui il cielo vomitava stelle, ma di suo padre non aveva mai avuto notizia. In casa era vietato fare domande su di lui. All’età di dieci anni, sua madre le aveva presentato il suo nuovo compagno, colui che avrebbe preso il posto di suo padre, il posto dell’uomo che alla notizia del suo arrivo si era dissolto come neve al sole alle pendici del Gran Sasso. Dalle uniche parole che aveva origliato di nascosto aveva compreso che sua madre, si era innamorata di un giovane fabbro dagli occhi di cielo e lei, si era formata in un grembo troppo giovane in circostanze fatali.
Il colore dei suoi occhi! In quel momento seppe da chi li aveva ereditati. Cercò nella sua mente un volto da dare a suo padre. Lo immaginò ancora per anni, persino il giorno del suo quarantesimo compleanno, quando lo sognò ancora, proprio come quando era bambina. Malgrado la vita l’avesse duramente provata, aveva cercato di realizzarsi, eppure, tutti i suoi sforzi di indipendenza e di autonomia crollavano davanti al desiderio di ritrovare suo padre. Il suo liquido fertile e spensierato le aveva dato vita tra tanti spermatozoi destinati a morire.
Era nata da una possibilità astratta, tra il vento caldo della sera e i respiri convulsi di due ragazzi che piano piano avevano ripreso il ritmo normale. Chissà se Virginia e Giuseppe si erano salutati alla fine dell’estate! Sara non avrebbe mai saputo se avessero tentato di rivedersi, ma intanto, i geni si erano fusi senza chiedere permesso e lei, ogni tanto, si tormentava con schiocchi pensieri e ingenue illazioni: causa l’estremo bisogno di dare un volto a colui che l’aveva involontariamente generata. Da alcune settimane era tornata da un viaggio di lavoro a Parigi. Quella mattina, come di consueto, si era svegliata alle sei. L’autobus che l’avrebbe portata nel centro di Roma partiva esattamente un’ora dopo dal capolinea, non poteva correre il rischio di perderlo. Si trascinò fuori dal lenzuolo preparandosi ad una lunga giornata di lavoro.
Non avrebbe mai immaginato che dopo aver chiuso la porta del suo appartamento alle sue spalle, avrebbe deciso di partire per l’Abruzzo senza avvisare nessuno. Quella mattina si rese conto di non essere più la stessa. Il bisogno di ritrovare le sue origini e di sciogliere quel nodo intorno alla sua nascita si era fatto intenso, nonostante la vicinanza di Alberto, il marito di sua madre, e dei suoi due fratelli. Arrivò al paese verso sera. Non le fu facile trovare un posto in cui trascorrere la notte. La indirizzarono verso il fiume, lì avrebbe trovato un albergo. Il giorno seguente si recò al paese ma gli indizi in suo possesso erano pochi. Le uniche informazioni che aveva ricevuto le conosceva già.
Giuseppe, il ragazzo dagli occhi azzurri, era vissuto in quel paese nel 1956 e di professione faceva il fabbro. Nonostante tutto, decise di rimanere in quel posto, sperando di trovare la chiesa sulla collina e il prato in cui Virginia aveva fatto l’amore con Giuseppe. Scoprì che la chiesa si trovava a pochi chilometri dal paese e si apprestò a raggiungere il luogo. La vide subito. Era poggiata su uno sperone roccioso. Per raggiungerla avrebbe dovuto arrampicarsi sulla collina. Aveva lasciato l’auto sul ciglio della strada e si era avviata sulla ripida salita che la luce pomeridiana rendeva quasi irreale. Passo dopo passo, le sembrò di raggiungere uno stato di coscienza trascendentale. Il suo respiro arrivava quasi alle nuvole e fu allora che dentro di lei avvertì una rinascita. Intanto, nel cielo estivo, era apparsa la luna. La sua mente era affollata da vecchie immagini che per alcuni minuti le proiettarono in un altro tempo, tempo in cui la vita aveva preteso troppo anche da lei, aspettandosi che due esseri potessero vivere per forza un solo mondo, inserito tra immagini quotidiane e lotte di potere.
Come se fosse stato facile rimanere a lungo con la stessa persona senza reali affinità. Era questo il motivo per il quale non aveva sposato Giulio, affinché certe scelte, non sembrassero condotte dal destino quando i soggetti sono già incompatibili a priori. Il destino o la leggerezza erano stati fatali per Virginia che aveva visto crollare i suoi sogni di ragazza dopo una notte d’amore e questo poteva bastare. Sara, al contrario di sua madre, aveva un temperamento deciso, nelle sue scelte aveva messo la logica sopra ogni cosa, certa che bastasse mettere il dito sulla sua ferita per non commettere errori. In amore aveva imparato a difendersi giocando d’anticipo. Quell’abbandono l’aveva accompagnata per tutta la vita e le aveva insegnato che non ci si può mai fidare di nessuno fino in fondo. Un solo giorno trascorso sulla terra di suo padre l’aveva rigenerata. Si sentiva piena di nuove idee. Avrebbe ricominciato dal passato, camminando sul prato in cui era stata concepita.
Poteva essere un modo per liberarsi dei ricordi e di quel volto che continuamente le appariva nei suoi sogni. Intanto, era arrivata davanti alla chiesa. La chiesa con copertura a capanna, sosteneva un campanile a vela che proteggeva due campane di grandezze diverse. Sulla campana più grande c’era una scritta: “A fulgure et tempestate libera nos Domine” (Liberaci o Signore dal fulmine e dalla tempesta). Ai lati della facciata, due finestre rettangolari. Sopra l’architrave una piccola finestra rotonda con la cornice di pietra, poco oltre, su un travertino si leggeva: “Flecte genu timeq(ue) Matrem venerare viator melius intactus dirigat illa tuos ped(es) d(ominus) Ber(nardinus) Paulinu(s) erecta A.D. 1617” (Inginocchiati e venera la Madonna, o viaggiatore, affinché Ella guidi i tuoi piedi fuori dai pericoli). Sara sospinse l’uscio e sull’altare barocco le apparve la statua in legno della Madonna con il Bambino. Sua nonna le aveva raccontato di una leggenda, la quale, narrava che la Chiesa della Madonna della Tibia fu fatta costruire per grazia ricevuta intorno al 1617 da un commerciante di bestiame di Amatrice, il quale, aveva invocato l’aiuto della Madonna dopo essersi fratturato una tibia cadendo da cavallo mentre tornava a casa.
E ora, tra quella visione sacra, il suo fiato ed il cielo, c’era qualcosa di nuovo che metteva in moto un’altra crescita senza più dubbi e fissazioni. Un tempo all’improvviso diventato solo suo e di Virginia, che in un momento non facile, aveva avuto il coraggio di accettare la creatura che portava in grembo, acquisendo automaticamente la capacità di far fronte al silenzio e ai travagli della vita. Ad un tratto, le sembrò di vedere chiaramente il dramma della scelta di sua madre e le conseguenze che l’avevano incollata al dito di molti. Gli abitanti di un luogo irrompono sempre nelle esperienze traumatiche contenute nella gamma di possibilità a cui un essere umano si espone, esaltando nei momenti cruciali la morale, l’etica e la dignità umana.
Ma cosa sono questi sostantivi impostori al cospetto dell’amore? Si perdono nel mare dei sinonimi, tra le pagine di un vocabolario in cui non si trovano mai i significati per vivere la vita. Nella donna immobile su quell’altare rivide gli occhi di Virginia, di fronte a quegli occhi, le sue gote divennero striate, ora di rosso ed ora di rosa. Il miracolo sembrava essersi compiuto. Comprese che la tentazione unita ad un cuore che batte è tutto ciò che una donna ha sempre sognato. Non c’era più spazio per le parole giuste. Le chiese sono strane dimore dove non abita la vita e la morte non è sconosciuta. Tra le pareti scrostate vide scivolare i dolori dei fedeli. Fuori, sul prato, giaceva un un amore senza più forza. Quella notte, a Roma, l’anima di Giuseppe volò verso il cielo. Inconsapevolmente Sara si schiuse dall’inerte bruco e come una farfalla scelse nuovi colori per le sue ali.
Written by Carina Spurio
Photo by Francesco Mosca
Letta tutta di un fiato…un trasporto inidescrivibile emozionante, fantastico …
Molto bello! Solo chi viene dalle nostre montagne può apprezzare in pieno la magica cornice della mitica Madonna della Tibia. Il finale del racconto (“Inconsapevolmente Sara si schiuse dall’inerte bruco e come una farfalla scelse nuovi colori per le sue ali”) è da premio nobel per la letteratura :D
Ho sempre pensato di avere un debito con Virginia come con tutte le Donne che optano scelte coraggiose. Il tempo di Virginia, non era un tempo facile, ma nessuna Donna, prima di una gravidanza involontaria, sa che sta attizzando un fuoco che potrebbe bruciarla… capisco la tua emozione: in fondo è la favola che credevamo favola, durante la nostra infanzia.
Baci.
una bella storia,che puo’essere ancora una storia dei nostri giorni,perche’ancora adesso,quando una donna fa una scelta del genere viene additata e non solo nei paesi ma anche nelle citta’,che secondo me sono grandi paesi.possiamo dire,scelta di vita,scelte coraggiose…….no sono solo scelte,quando ci si crede,unicamente di cuore.Brava Carina.
Bellissimo pensiero Teresa!
Carina, sei brava. Bel racconto, il tuo, emozionante e che fa pensare, scritto in bello stile. Un amore che si consuma nell’arco di una notte, in cima ad una collina e sotto le stelle cadenti, e che conduce una ragazza ad una scelta sofferta. Ma la figlia saprà trovare la via del riscatto.
Ciao Fabio,
ti avevo già anticipato che il tuo commento l’avrei conservato tra le frasi più belle. Sara, il frutto di una notte d’amore, ha ereditato tutte le ansie della scelta di sua madre. Ogni donna ha cercato dentro di sè il volto del padre, anche quando era presente e magari lo sentiva lontano. La trasformazione metaforica -che attua nella chiusa- non è altro che una scelta: colori nuovi per combattere i predatori e volare finalmente senza insidie e condizionamenti.
Grazie. C.
Ciao Teresa,
la scelta di far nascere un figlio nel 1956 era strettamente legata all’impossibilità di alternative. Quel tempo, purtroppo, era anche il tempo degli aborti clandestini agiti in casa per mano di ostetriche improvvisate. Oggi, la situazione è molto cambiata. C’è meno spazio per i condizionamenti e c’è più libertà di scelta, ma, il rischio di trovarsi nelle condizioni di Virginia, non cambia. Voglio pensare che Virginia, abbia creduto alla creatura che portava in grembo e che si era presentata senza chiedere permesso, ammirandola a distanza di tempo per il suo coraggio.
Grazie. C.
Professor Verducci,
Inutile dirle che sono onorata dal suo commento. Non è stato facile sviscerare una storia che si lega al mio albero genealogico recente, come ho scritto, era la favole che credevo una favola durante la mia infanzia. Io non ero nata in quel periodo, ma sono stata la diretta depositaria delle chiacchiere confezionate di comari annoiate. Avevo un debito con Virginia, lo ripeto. A distanza di tempo ho saputo ri-legittimarla solo attraverso la scrittura.E qui, la parola è diventata un’arma legale!
C.
Ho gradito molto la lettura di questo racconto che riesce ad evocare nitidamente luoghi a me cari, toccando una tematica che, conoscendomi, tu sai mi “intriga molto” e che solo una donna sensibile può sviscerare come hai fatto tu.Io non sono un critico, ma il tuo racconto mi ha affascinato e coinvolto…e questo a me basta per dire che è proprio un bel racconto. Baci Lea [♥]
Ciao Lea,
non è facile entrare in punta di piedi nelle vite e nelle scelte altrui con la parola. Ogni sillaba ha un potere occulto a volte pericoloso. Dicono che le parole conservino la memoria: così giustifichiamo i ricordi che s’insinuano tra le dita come un ectoplasma ansioso di riaggregarsi …
Baci a te.
E’una storia che, per tanti e diversi motivi, mi colpisce molto! Invidio quel coraggio di Virginia e ammiro chi, come Sara, attribuisce la giusta importanza alle proprie origini e con esse ai posti che hanno contribuito alla formazione del proprio Essere… E poi ho sempre pensato che chi nasce “cittadino” e non vive posti come quello descritto è meno fortunato! Complimenti.
Ciao Romina,
prima del 1978 la disciplina penale considerava l’aborto provocato intenzionalmente come un grave reato, per il quale erano previste sanzioni piuttosto severe. Tuttavia la Corte Costituzionale, pur ritenendo che “la tutela del concepito ha fondamento costituzionale” (art. 2 della Costituzione in difesa dei diritti inviolabili dell’uomo), si espresse in favore dell’interruzione della gravidanza (indicata con la sigla IVG) se giustificata da motivi molto gravi (sentenza n. 27 del 18/2/1975). Fu questo il primo passo verso una visione più moderna. Tre anni dopo, il 22/5/1978, veniva definitivamente approvata la legge sull’aborto n. 194, che consentiva l’interruzione della gravidanza entro i primi 90 giorni di gestazione. Ecco … io credo che Virginia sia stata vittima anche delle leggi del suo tempo, nel caso in cui avesse tentato di abortire. Concordo sullo scenario … la chiesa della Madonna della Tibia è stata edificata su un luogo stupendo!
Un bacio.
Davvero bello. Lo leggerò ancora domani con calma, cioè, dopo averlo divorato, mi trasformerò in ruminante e ti dirò ciò che, oltre all’emozione istantanea, mi avrà colpito.
Congratulazioni
Giuliana
Ciao Giuliana,
mi hai regalato una “Rosa” in prosa, anch’io sarò impegnata a leggerti nei prossimi giorni.
Un abbraccio.
La storia si snoda lungo un filone classico: la fanciulla,la vacanza, nuovi amici, un paesaggio complice. Ma una fanciulla colma di aspettative, una vacanza sognata, nuovi amici senza pregiudizi, così diversi da quelli di città. E un paesaggio dai colori della malia, dove non mancano un fiume scintillante e chiacchierino,un prato di erbe odorose, un cielo “che vomita stelle”. Fin qui, sia pure espressa con un bel linguaggio, una storia abbastanza comune. Ma ecco che la creatura generata in una di quelle notti stellate, si fa grande e sente nascere in sè il bisogno prepotente di ricercare il padre, di verificare se il suo profilo corrisponde a quello a lungo sognato. Ecco il “ritorno” in quei luoghi a distanza di quarant’anni; ecco la scoperta o la riscoperta, di fronte all’immagine della Madonna della chiesetta del paese, della figura materna, di quella coraggiosa Virginia che era stata madre e padre, che aveva anteposto a una carriera o a una vita più facile la gioia della maternità. Finalmente Sara si libera dell’Assenza che l’aveva abitata dalla nascita e in una notte di vento caldo libera anche l’avanescente figura paterna ed indossa le sue ali iridate di farfalla.
“Il ritorno” non cambia il codice dell’anima di Sara, la vita la mette di nuovo davanti ad una mamma con il bambino in braccio, il fotogramma è ancora “da donna a donna” e Sara anche dopo 40 anni vede ancora e solo il volto di Virginia: molto spesso è questo il rischio di voler vedere per forza chi non c’è stato -quello di continuare a non vederlo- ottima recensione Giuliana. Grazie di esserci sempre e cmq.
Baci.
Che bella storia, Carina! Piena di sentimenti :amore, coraggio, ricerca delle proprie radici,libertà …e tanto altro ancora . Per non parlare della descrizione magistrale di luoghi magici che anch’io conosco e amo moltissimo !Complimenti , anche se non hai bisogno dei mei in particolare! Sei bravissima e il tuo modo di scrivere sia in versi che in prosa mi “prende ” sempre tanto , mi trascina! Scusa il ritardo ma ho avuto il pc bloccato e ancora fa i capricci. Un affettuoso abbraccio, Gabri.
Gabriella…
è una storia piena del coraggio della disperazione!
A qualcuno poi, spetta il compito gravoso -forse anche inconscio- di farsi carico volontariamente e di tramandare il ricordo…
Grazie mia cara, è sempre un piacere leggerti!