“C’è da giurare che siamo veri…” di Vincenzo Calò – recensione di Marzia Carocci
Recensione a “C’è da giurare che siamo veri…” di Vincenzo Calò
Il cammino poetico di Vincenzo Calò è quell’itinerario di considerazioni filosofiche che impone una riflessione attenta a chi si appresta nella lettura dei suoi monologhi ragionati e argomentati.
Durante la visione del testo, si ha la sensazione di “vedere” fra le righe, l’autore stesso che affacciato alla finestra, diventa osservatore di Vita, e di comportamenti dell’uomo, dove la solitudine e la difficoltà dei rapporti umani, crea quel distacco fra essere/materia e anima/pensiero.
L’autore antepone ad ogni sua lirica, un messaggio riassuntivo di quel pensiero che propone, quasi in atteggiamento di designazione sull’essenziale, rendendo concreto e esplicativo il proprio ragionamento che diventa mano a mano attenta considerazione del lettore.
Vincenzo Calò, ci metterà così di fronte alla VITA costruita in una modernità divenuta ormai un’assurda competizione del niente, dove i valori e i sentimenti si sono trasformati in freddi contatti.
Una versificazione di consapevolezza , dove riflettono ben scisse due identità, quella dell’autore/uomo, che osserva e esprime e l’altra, dove l’uomo ha perso ogni capacità comunicativa nell’azione di una tendenza alla solitudine e al cercare contiguità con l’altro attraverso parodie di contatti quali social network, cellulari, pc … dimenticando la condivisione umana e calda della vicinanza, dell’ analogia, dei sorrisi e di quelle carezze sui volti ormai dimenticate.
L’autore nel titolo della sua raccolta “C’è de giurare che siamo veri…” c’impone di nuovo un dualismo che diventa quesito: “Siamo veramente veri?”.
Un libro dove Calò scandaglia la propria anima, quasi a scavare in una profondità senza fondo, e lo fa attraverso l’alter ego /osservatore, in una dimensione fra il credere o lo sperare ma nella concretezza di quel pensiero che sente reale nella sua difficoltà.
Quesiti ai quali anche noi cerchiamo risposte, alla ricerca di quel sé a volte incompreso in una nullità totale che ci opprime dove il vuoto esistenziale prende ogni giorno più forma, dove l’uomo e la donna, sono diventati passeggeri di una terra ricca di automi, anime senza sentimento.
Attente osservazioni di un uomo che ci indica quelle retoriche e contraddizioni di vita, dove lo spazio alla normalità diventa opzione irraggiungibile.
Umani, carenti di sentimenti sempre più stressati e vogliosi di essere qualcosa in più per fare tacere quella sensazione di fragilità che diverrebbe impossibilità al vivere moderno.
Timori e incertezze, dubbi e ostacoli che l’uomo stesso crea in quel caos esistenziale diventato ormai prigione di catene e accettazioni di ciò che umilmente siamo: uomini e donne fragili di fronte alla guerra emotiva che la vita ci impone.
Nella prima pagina, l’autore scrive solo una frase: “Chi si fida di me” , frase che diventa indicazione e input a ciò che poi esplicherà nel suo libro, come tacito inteso all’ascolto nella piena fiducia di chi parla e spiega; ancora più valore , è espresso nell’ultima pagina dove l’autore nel fondo bianco del foglio imprime solo due parole: “ringrazio me”, idioma scarno ma concetto importante e significativo, “ringrazio me” per essere riuscito ad esprimere quello che l’anima mia sente, senza timori come entità fuori dal guscio ,nell’umiltà dell’uomo che sa parlare , libero di pensieri con le ali che vanno oltre quella non concretezza che la vita stessa è diventata.
All’autore mi sento grata nella condivisone del suo pensiero che è quello mio, in quell’onda difficile e spesso insormontabile dell’esistenza dimenticata nei legittimi atteggiamenti umani; a lui unisco la mia voce : C’è da giurare che siamo veri…ma io aggiungerei quel punto interrogativo in cerca di risposta.
Written by Marzia Carocci
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