Resoconto del concerto di Bugo al Linea Notturna, Cagliari

Resoconto del concerto del 10 Marzo 2012 al Linea Notturna.

 

Si, sono un fan della seconda ora di Bugo.
Sono uno di quelli rastrellati con “Casalingo“, il giornalinismo de “il Beck delle risaie” e la sua produzione magistrale. In effetti è stato uno squarcio sulla scena indipendente italiana, capomastro e compagno di una cricca di loser di tutto rispetto.

Tornai indietro ad affascinarmi con “Sentimento westernato“, rimanendo poco propenso all’ascolto di “La prima gratta” e tutto la sotterranea miscellanea cazzonaggine degli esordi.

I primi anni all’università, mi ci sono ammazzato di Bugo.
E Bugo ha percorso una carriera lunghissima.

Ai tempi che furono, dovetti vendere la collezione di “Geppo” e “Felix” per potermi permettere le perle del doppio “Golia & Melchiorre“. Ho apprezzato l’asciuttezza di “Sguardo contemporaneo“. E’ stato quel disco a darmi un‘idea di finitezza, di limite, di maturità. Bugo era normale.
Avvisaglie.

Due anni dopo “Contatti“. Una sorpresa. Arrangiamenti completamente elettronici, forse la conferma di quanto Bugo abbia sempre avuto bisogno di un buon produttore come spalla. Per smarcarsi da se stesso, per trarre linfa e generare nettare. Ero sicuro ci sarebbe voluto altrettanto per pensare/scrivere/incidere un disco completamente diverso. E con qualche ritardo, dovuto all’attività di artista, quella di attore, il trasferimento in India, ecco “Nuovi rimedi per la miopia“.

Di nuovo mi trovo non in linea. Di nuovo un disco asciutto, con qualche riminescenza contattesca. Non so se sia un abbaglio, ma mi viene in mente “E io ci sto” di Rino Gaetano, diverso, soprattutto musicalmente, eppure affine negli intenti. Non ho prove da dimostrare, nessuna analisi. E’ solo una sensazione.
Pensieri prima del concerto, valutazioni riguardo un artista che conosco da troppo vicino.

Si accendono le luci. Bugo striscia sino ad arrivare al suo microfono: t-shirt “Size doesn’t matter” spropositata, il chiodo, i calzoni attillati e le scarpe sfollate. La pelle lucida, gli occhi brillanti, quegli arti enormi che si lanciano in acrobazie tra la break e la ginnastica da palestra. E’ un enterteiner, focalizza l’attenzione. E’ uno che prende una macchina fotografica tra la folla e fa cinque o sei scatti in mezzo, a tutti. Il mostro di Frankenstein al doppio del voltaggio.

Il live?
Il basso suona come un basso. La batteria come una batteria. La chitarra come una chitarra. Le tastiere come tastiere, pur facendo gran parte del lavoro d’arrangiamento. Dal punk al glitch, dal boogie al pop-giocattolo, sino al funk, sono loro a guardare severe il quartetto di turnisti, rimbrottare gli slanci arditi, riportare alle consuete forme, organizzare sostegni corali.

Il concerto lo fa Christian Bugatti. Il gruppo concede al cantautore la libertà di tenere conto solo della propria voce. La ruvida battistiana interpretazione stacca solo interrotta dalla mania per lo scherzo, l’improvvisazione, il casalingo rimiscelare professionale/amatoriale. Bugo ha voglia di divertirsi. Non sta nella pelle del suo giubbotto. Sembra Celentano in salsa “Sexx laws“. Come il molleggiato, va a prendersi una birra tra un pezzo e l’altro, balla con sconosciute multicolore, organizza battimani e mossettine improponibili. Si lancia direttamente dalla grancassa, possibili legamenti partiti in cielo. Capriole, giravolte, corna, strollocchi con l’asta piantata sul soffitto, spillesamenti cafoni e prisencolinensinainciusol. Aizzare la folla massacrando dei tamburi a mani nude dopo diciotto brani a voce cruda. Gestacci old school alla Beastie Boys. E gestacci alla Vasco.

Si, Vasco.
Vasco Rossi.

E spicco il volo.
Tutti quegli autori di testi e le loro pettinature a dettarne il passo. La provincia e le sue esplosioni creative. La parabola carrieristica, tutti i giorni a fare dischi. La leggendaria dicotomia adulto/bambino, al parossismo di mezz’età. “Che diritti ho su di te?” senza Bob Dylan, come percorrere le luci di Milano in limousine. Avere quasi quarant’anni e non sentirli perché ti sono sfuggiti dalle dita. Il raggiungimento di uno status di benessere che semplifica testi, musica, interessi, in una motivazione che non è più quella foga giovanile, piena di problemi ironici e crisi spicciole. “Caramelle” e “Il sangue mi fa vento“. Analizzare l’idea di dio, i rapporti, la vita. Inserire riferimenti criptici nei testi, sotto varie letture. Registrare canzoni da cantare a chi le ha già sentite milioni di volte. E cosa ci riserva il prossimo disco. La summa di uno stile sotterrato come un tomahawk. E infine, lui potrebbe ripartire da capo, senza tutto ciò che ha fatto finora?

Chissà se Bugo beve ancora Montenegro.
Chissà se fuma sigari.
Chissà se ascolta ancora “Una pentola al fuoco che attende la pioggia“.
Posso solo supporlo, in buona fede. E nientaltro.

 

Scaletta:

Non ho tempo
Nel giro giusto
La salita
Amore mio infinito
In pieno stile 2000
Ggeell
Mattino
Che diritti ho su di te?
Casalingo
Il sangue mi fa vento
Comunque io voglio te
Io mi rompo i coglioni
Love boat
I miei occhi vedono
La mano mia

Lamentazione nr. 322
C’è crisi
E ora respiro

 

Foto di Paola Corrias 

(http://www.flickr.com/photos/paolacorrias/)

Testo di Alessandro Pilia

(http://www.facebook.com/profile.php?id=1422829837)

Info Bugo:

http://www.facebook.com/bugosound
http://nuovirimediperlamiopia.com/

 

 

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