Michael Haneke: le stringate recensioni di Maurizio Ercolani
Retrospettiva monografica sul regista Michael Haneke
“The white ribbon” – Das weiße Band – Eine deutsche Kindergeschichte, di Michael Haneke
Se il film parte con la voce narrante già guadagna un paio di punti.
Se poi ci metti una buona storia e ci aggiungi la giusta dose di classe ed eleganza nel raccontarla, allora aumentiamoli ancora.
Perchè è sempre meno importante la storia del racconto che se ne fa.
Il gusto del raccontare.
L’arte del raccontare.
Ricordi di campagna di quando eri bambino.
I pozzi e le mura crepate.
La neve, i maiali, e il fiume.
[Ma il pubblico in sala reclama chiarezza, il pubblico in sala vuole sapere.]
Dinanzi a sublimi inquadrature fisse, restare attoniti come bambini.
Fine della “recensione”, meraviglia, bianco e nero, e fotografia.
Voto 8
“Funny Games”, di Michael Haneke
Per lunghi secondi il film diventa fotogramma, l’immagine si ferma.
Un solo frame: immobile, congelato.
Così inusuale che a un certo punto hai la tentazione di verificare che sia tutto a posto e che il film non si sia maledettamente inceppato.
Poi quando la donna muove di nuovo la testa la risposta a tutti i tuoi dubbi e a tutte le tue domande è limpida, lampante.
Questo uomo è un genio.
Questa inquadratura è la sua firma, questo quadro è il suo marchio di fabbrica.
In questo punto sei invitato a pensare, a immedesimarti nel silenzio, nel dolore di un incubo senza fine, che però in questo momento, dopo le urla e lo strazio, conosce una pausa di riflessione, conosce una quiete temporanea, una quiete apparente.
Come quando soffri come un cane e ti addormenti e ti risvegli e per un secondo speri che sia tutto finito e invece il tuo incubo è di nuovo lì che ti pressa, che ti corrode l’anima, che ti corrode le ossa, come nello scacco di un feroce assassino, di un rapitore crudele, di un torturatore cinico, di un masochista efferato.
Come in sogno premonitore di qualche giorno fa in cui ero vittima di questi tizi all’interno di un supermercato deserto: tizi che mi perseguitavano, che ricomparivano magicamente e ogni volta in un corridoio diverso, con un unico pensiero ed un’unica preda, io.
Come l’ossessione, come il male che hai dentro, che non ti lascia, non ti lascia.
La normalità del supermercato, la serenità della casa sul lago.
Luoghi normali che diventano incubo quando in questi luoghi rimani solo.
E più hai paura i tuoi aguzzini non ti mollano, più hai paura non ti lasciano via di scampo.
Solitudine e paura, in un crescendo rossiniano.
Estemporanee e vane speranze, ritornano presto illusione.
Violenza psicologica fatta di parole calme.
Corrodono l’equilibrio fino a romperlo, fino a spezzare tragicamente il filo.
Come gocce che cadono in testa, una ad una, lentamente.
Raffinato e spietato stillicidio della normalità.
Voglio quattro uova, cazzo.
Fine della “recensione”, paure.
Voto 9
“La pianista”, di Michael Haneke
A proposito di dinamica, il film è una deliziosa sonata per pianoforte, caratterizzata da un’alternanza di intensità sonore e immagini appassionante: piano, mezzoforte, fortissimo.
Uno spartito ed una sceneggiatura alti, con Haneke che suona il piano.
La nevrosi in musica.
Si comincia con un ritratto di vita familiare claustrofobica: madre e figlia vivono nella stessa casa, dormono nello stesso letto, ambizioni e impulsi vitali soffocati.
Come se il cordone ombelicale non si fosse mai rotto.
La madre è sempre presente.
Anche quando è sola.
Anche quando non c’è.
E Haneke suona il piano.
Puoi trovare la musicalità nella vita, in un opera, in un film, o anche in quello che ora stai leggendo.
E Haneke suona il piano.
Un quadro austero fatto di atteggiamenti, di apparenza, di buone maniere, lezioni di piano, di alta borghesia, di restrizioni, di rinunce, di rifiuti, di impedimenti che si sfascia quando seguiamo la pianista passeggiare sulle note di Schubert e dirigersi in un simpatico peep-show di periferia.
E Haneke suona il piano.
Entrare nella stanza, e le tinte sono mezzoforti ancora per poco.
Perchè poi c’è uno schermo diviso in 4: zoomata sul riquadro in basso a sinistra.
E Haneke suona il piano.
Fortissimo.
E Haneke suona il piano.
Tavola tonda di legno, lei distesa a pancia in su con la testa a scivolare giù, mentre lui le tocca il seno: piano forte, piano forte.
E Haneke suona il piano.
A tempo di musica.
E Haneke suona il piano.
Climax.
E Haneke suona il piano.
Come le scivola in bocca il cazzo.
E Haneke suona il piano.
Fine della “recensione”, altro.
Voto 9
“Hidden”, Caché, di Michael Haneke
Mi devo ripetere, quello che mi fa impazzire di Haneke sono queste maledette inquadrature fisse.
Caché comincia con uno squarcio cittadino anonimo: un paio di palazzi, alcune macchine parcheggiate, un motore, un lampione.
Squarcio che gradualmente si anima.
Un paio di minuti di fermo, poi passa un pedone.
Poi passa una macchina.
Ed è come se ti affacciassi alla finestra di casa.
Ma neanche.
Perchè poi scopri che quello che stai guardando è quello che i protagonisti del film stanno guardando.
Il film nel film.
Ma neanche.
Perchè non è una semplice videocassetta, non solo una fredda inquadratura.
Ma è un terzo sguardo.
Impresso su nastro.
Un terzo sguardo, oltre al tuo che osservi chi osserva.
L’osservatore è anche osservato.
Visuale soggettiva, dedalo, caleidoscopio di sguardi.
Ma il film non è solo tecnica.
È la storia del peccato originale, e del tempo che non cancella la colpa.
Fine della “recensione”, l’accetta e il gallo.
Voto 7
“Il tempo dei lupi”, Le Temps du Loup, di Michael Haneke
Haneke e l’apocalisse dei rapporti umani.
Haneke e la fantascienza.
L’egoismo al centro.
L’egoismo risorsa indispensabile per la sopravvivenza.
Uomini come bestie.
Si scannano per mangiare.
Donne come scrofe.
Si fanno scopare per la ricompensa.
Ma arrendersi è la sconfitta senza ritorno.
E sperare forse è il senso.
Sei cose per cui vale la pena vivere?
L’amore, la musica, la poesia, scrivere una lettera, fare sorridere, il treno.
Fine della “recensione”, il bambino e il fuoco.
Voto 7
Benny’s Video, di Michael Haneke
Ho rubato una pistola per uccidere i maiali.
La voglio provare.
Continuo a guardare sempre la stessa sequenza.
Il contadino appoggia la pistola captiva sulla testa dell’animale.
E poi boom!
In un attimo l’animale si accascia a terra.
Violenza brutale, senza sensi di colpa: Haneke è il Male.
Ho rubato una pistola per uccidere i maiali.
Fine della “recensione”, i primi vagiti di Funny Games.
Voto 7,5
Per leggere la Retrospettiva Monografica sul regista Kim Ki-Duk clicca QUI.
Per leggere la Retrospettiva Monografica su Andrej Arsen’evic Tarkovskij clicca QUI.
Per leggere la Retrospettiva Monografica su David Lynch clicca QUI.
Per leggere la Retrospettiva Monografica su Sergio Leone clicca QUI.
Per leggere la Retrospettiva Monografica su Lars von Trier clicca QUI.
Per leggere la Retrospettiva Monografica su Park Chan-wook clicca QUI.
Per leggere al Retrospettiva Monografica su Tetsuya Nakashima clicca QUI.
Written by Maurizio Ercolani:
http://www.facebook.com/streamofconsciousnessfanpage
http://youtu.be/lS4VVUYsK44
6 pensieri su “Michael Haneke: le stringate recensioni di Maurizio Ercolani”