I fratelli Taviani vincono l’orso d’oro a Berlino con “Cesare deve morire”
La possibilità di tornare a sperare, aldilà del bene e del male, è resa nella sua estrema crudezza, ancora per una volta, dai fratelli Taviani, che ora più che mai sono stati investiti di una responsabilità in senso lato civile, politica nel senso che riguarda la città, la quale si vive, si dovrebbe, dal basso verso l’alto, da ciascuno di noi Italiani, dal momento che hanno vinto l’orso d’oro al Festival di Berlinoper “Cesare deve morire“.
Perché non abbiamo mai dimenticato la forza travolgente di storie quali “Padre Padrone” o “La notte di San Lorenzo”, dentro a cui tornavamo anzi a rifugiarci molto più spesso di quando ognuno sia disposto ad ammettere.
Anche perché, come già nel racconto della vita dello scrittore Gavino Ledda, avevano prediletto il linguaggio musicale quale vero e proprio canale di democratizzazione, per l’universalità, inutile dirlo, di cui si avvale.
Il grande merito dei Taviani è lampante, sotto gli occhi di ciascuno degli ultimi che hanno sempre accolto sotto la loro egida: sono tornati a scommettere sulla vita, anche se castrata nei suoi fondamenti libertari, che anzi si sono trasformati in liberticidi.
Hanno portato in scena, infatti, il cinema dei detenuti di Rebibbia, ringraziati uno ad uno dal podio, nel momento della vittoria.
E hanno dato loro quella seconda opportunità che hanno perso nella esistemza comune, concreta, di ogni giorno, e che hanno iniziato a gridare sin dai loro provini, quando palesavano con forza e parallela tenerezza la loro identità, persuasi, o meglio addirittura convinti che, ora, attraverso il medium cinematografico, avrebbero potuto raggiungere quella madre, moglie, sorella, quella figlia lasciata lì fuori ad “arrangiarsi” e che, invece, avrebbe finalmente potuto sentirsi di nuovo orgogliosa di loro.
Ma anche noi, siamo fieri di loro, perché hanno saputo lottare per il proprio riscatto, hanno saputo meritarlo, e non tanto perché, in fin dei conti, non è lecito toccare Caino.
Ma perché un uomo è pur sempre un uomo.
E Paolo e Vittorio, nel loro rinnovato realismo, lo hanno sempre saputo.
Applaudirli, significa perciò abbracciare quella schiera di perdenti in tutto, fuorché nell’onore.
Fonte:
http://www.ilcorrieredabruzzo.it/cultura/20371-il-cinema-speranza-vince-ancora-i-taviani.html
Tesi di Federica Ferretti in Analisi del Linguaggio Politico: “La metafora del Linguaggio Musicale nella produzione cinematografica dal 1950 ad oggi2006”
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