Resoconto del concerto dei Sikitikis al Linea Notturna, Cagliari
Resoconto del concerto del 19 Febbraio 2012 al Linea Notturna.
Che senso avrebbe avuto fare il resoconto, o reportage, di un concerto come quello dei Sikitikis al Linea Notturna, sotto la produzione di Kuntra? Nessuno. Un plotone di fotocamere con dietro delle menti, Shibuya, si sono piazzate a due centimetri dall’asciugamano sudato di Jimi e dalla barba di Diablo, documentando ogni mossa, ogni nota, ogni tic. Tutte “Le belle cose“.
E allora ho preferito giocare di lato, mettere la testa sottoterra, o fra le nuvole, immaginare di non essere solo un taccuino sgualcito. Ho chiuso gli occhi e ho pensato i volti, la colonna sonora, l’immaginario. Un concerto dei Sikitikis, ma in un altro modo.
Il mio.
Ho visto un racconto che non ho mai scritto nelle due ore di musica di quel sabato sera. E siccome ci sarebbero mille incroci in cui mi sarei diramato volentieri, ho preferito fissarmi all’incipit del romanzo di genere, tagliando ogni possibile parentesi che avrebbe portato altrove.
Anche se potrebbe non sembrarlo, questo è il più obiettivo testo che potrei scrivere a proposito di questo gruppo, questo locale, questo concerto.
Seconal: stralci di un racconto che non ho mai scritto
1.
Abdul era un infermiere. Si, un cazzo di infermiere color merda quaggiù in quest’isola di merda. Una piccola rivoluzione nei corridoi del Brotzu. Non che gli altri suoi colleghi fossero molto diversi da lui, parlavano addirittura più strascicato. E non era solo per il seconal. (…)
Aveva preso la qualifica durante quei brutti disordini, laggiù lontano. Quando, per avere in cambio due braccia e un’anima, ti davano gratis un tozzo di pane. Abdul, la jeep e la sua barella. (…) Ma Abdul non si sbatteva troppo per fare il suo lavoro nel migliore dei modi. Nonostante questo, restava un infemiere, e lo era sempre, anche durante il cosidetto “tempo libero”. (…) Il suo pensiero era che il tempo libero non esiste, nella vita. Uno è una cosa, e quella è. E per dimostrarlo, non smetteva mai la sua maglietta a V oversize. Bianca, o zozza di sangue. La indossava sempre, anche quando andava per locali. Anzi, ne faceva un vanto. Sulla pelle olivastra molti pazienti ci vedevano un che di malaticcio, andato. Bastava sputargli nel brodino di mezzogiorno e di quel sorrisino superiore se ne fregava. (…)
Jeans stretti, cinto in vista, tatuaggi nudi, parole sputate a doppia voce e birra. Il tempo libero era spaccarsi di alcool e stare all’erta per rimettere a posto i denti di quelli che se le davano. E nei locali che frequentava succedeva spesso. Abdul si sentiva un uomo buono e giusto.
Anche quella sera Emme era uscito col suo cappellaccio alla Paul Simonon. “Ti hanno d-d-detto che ascolti musica di merda…c-c-che c’è? Un magrebino non può ascoltare i C-C-Clash? Dove sono finite tutte quelle cazzate su “Rock the c-c-casbah”? Think thank, t-t-hink thank! Perché non si parla più di petrolio anche s-s-se costa quasi due euro al l-l-litro? Ah?” quella sera Emme era particolarmente su di giri. Quando ingurgitava anfe andava sempre col cervello affanculo, faceva collegamenti strani, mischiava discorsi sentiti tra Villanova e Castello, buonismo e ignoranza, pressapochismo e invidia senza punteggiatura.
Era un coglione.
E fu proprio per una di queste uscite a caso che si conobbero, dopo uno di quei pugni da fumetto che fanno un rumore come di mattoni lasciati cadere su una sacchetta di calce.
Faceva male, Emme quasi piangeva, tratteneva solo il disonore. Non era la sua prima volta. Quello li l’aveva steso alla prima botta e poi gli aveva appoggiato la punta dello stivale sul naso. (…) Gli stronzi che frignano sputando sangue ricordavano quella specie di budino sull’asfalto, quello sdraiato li, mentre loro aspettavano inermi perché l’ambulanza non era equipaggiata. Venti minuti di urla. Solo venti minuti? E’ distrazione? Cose dell’altro mondo, mai viste neanche lontano nel deserto. Ma chi ci da i soldi per lavorare? Chi muove le ambulanze?
2.
Te lo racconto, di nuovo. Come ogni domenica. In silenzio.
Bevevi un vesper anche se era pomeriggio. Era l’unico sollazzo che ti concedevi, in quel sonoro giorno di merda. Su Cagliari, il cielo era fermo, l’aria chiara, limpida, e sotto decine di pullman, pulmini, auto, moto.
Polizia, finanza e carabinieri che si sbracciavano, manco fosse arrivato in città il presidente. Tu non facevi una piega, in tasca i fogli giusti, qualche biglietto aereo e una lettera. Una goccia sul viso, ma non ti poteva tradire, non lei. (…) La lettera. Quella cercavano. Finisti in un sorso il tuo bicchiere, senza dare troppo nell’occhio. Nessuna fretta. (…)
Dagli occhiali guardasti attorno, con discrezione. Un uomo irrequieto è un uomo ricercato, e tu lo eri solo nel gesto di ravviarti i capelli corti.
Uscendo fuori.
Piazza Repubblica era un formicaio paralizzato. “Non riuscirò a scappare da questo posto“, il primo pensiero. “Oggi scapperò” il secondo. Calma e gesso, avevi due piedi e il portafogli faceva qualsiasi cosa. (…) Mai che ci fosse un taxi da quelle parti. Decidesti di farsi una passeggiata, non ti avrebbe fatto male. Un tuo amico una volta ti aveva confessato che la tattica di mimetismo migliore è quella in cui con disinvoltura ti mostri al nemico. Placido, sereno come il cielo. E ti mostrasti immenso, nella tua bellezza. La pulizia è un dono di pochi.(…)
Via Grazia Deledda. Tutti quegli stupidi, non solo quei coglioni in divisa. Quanto odiavi la loro mancanza di discrezione. Ma non ce n’era solo per loro. Eri furioso contro qualsiasi rete tesa sulla città. I palazzinari, il loro lardo ficcato dentro la cinta. Per non parlare di quelli che vivevano di appalti e finanziamenti della Regione, poveri falliti. O di chi presta i soldi. Poi c’erano quelli che arrivavano e te li chiedevano in cambio di nulla. E l’esercito? Che brutte persone. Brutte persone. (…)
Di colpo ti accorgesti che il passo si era fatto svelto, irregolare, discontinuo. Sembravi un pazzo, l’umore nero, la giacca aggrappata al braccio, una foce a delta, lo tsunami sulla fronte. Forse qualcuno poteva riconoscerti. Optasti per via Iglesias, percorrendo via Eleonora D’Arborea saresti stato al sicuro.
Pensavi.
L’appartamento, l’ascensore. Eri a casa. Piedi nudi sulla moquette, qualcosa da bere in mano. Magari anche io, la tua Linda che balla nuda poco prima di saltarti addosso. La mia bocca sul collo, la giungla di “Malamore” sul piatto, o qualcosa a caso degli Arawak. Una sola scopata. Nessun dolore. Forse immaginavi troppo in Cinemascope. Non vedesti la 112 Abarth che superava la Fiesta ferma di fianco a te, mentre attraversavi viale Regina Margherita, appena due metri fuori dalle strisce pedonali.
Ma io si. E non sono mai andata via da quel momento.
3.
“E che c-c-cazzo me ne frega a me? Questa cassetta è troppo massiccia, bestiale! Lo spaccia del rigattiere m-m-mi ha dato tutto, sono passato prima dietro i cancelli, adesso mi faccio uno s-s-spinello in macchina e poi me la filo d-d-dritto dritto da Uilli a portargli il seconal. Quello, anche se è pazzo, marcio, e sta marcendo dentro, è sempre pieno d-d-di dineros in tasca. Stasera Linea Notturna – mi sto sfregando le mani e il volante va tutto da solo – (…). Chi cazzo c’era stasera? Quegli stronzi dei Sikitis? Minchia il c-c-cantante è uguale a quello dei fumetti che mi passava mio f-f-fratello. Buzzelli, come si chiamava? Tutte quelle storie di diavoli e uomini con le teste di cane. (…)
Mamma. Lei si che ha l-l-la faccia da cane. Mai che sganci un soldo, solo domande. Mi avvalgo della facoltà di non rispondere…e poi fatti i c-c-cazzi tuoi! Ho trent’anni, cazzo, trent’anni. Non una lira, non un cazzo di lavoro. Non ho m-m-manco la donna, porca troia. Quando ci penso, alle pensioni, mi viene un’i-i-incazzo, ma cosa se ne fa un vecchio di tutti quei soldi? Voglio birra. No, lo spinello. Un bambino di fronte a un g-g-giocatolo, mo’ mi faccio il solaro. Manco un accendino in questo b-b-botto d-d-di m-m-macchina. Mai mai mai. Aspetta pagu-pagu, sotto il sedile, ecco dov’era caduto. Mi, cassau! Z-z-zac, al primo colpo! Fiamma, ho acceso coi finestrini aperti, tira come un caminetto ben fatto, p-p-porca puttana!
CIOSSSSSSS!!
M-m-merda a q-q-quello stronzo l’ho e-e-evitato per un pelo di cazzo! Che cazzo non attraversi sulle strisce, o-o-osugunnuemammarù!! Ancora un po’…lo stavo per beccare, c-c-azzo! Non farti prendere dal panico, E-e-emme!“
Scaletta:
“La mia piccola rivoluzione”
“Tsunami”
“Umore nero”
“Amore sul Mac”
“Al primo colpo”
“Wilson”
“Aria”
“Tu sei muta, io sono sordo”
“L’importante è finire”
“Tiffany”
“Malamore”
“Voglio dormire con te”
“Le belle cose”
“R’n’r contest”
“Salvateci dagli italiani”
“Avere trent’anni”
“Piove deserto”
“Non avrei mai”
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Foto di Paola Corrias
(http://www.flickr.com/photos/paolacorrias/)
Testo di Alessandro Pilia
(http://www.facebook.com/profile.php?id=1422829837)
Info Sikitikis:
http://www.sikitikis.com
http://www.myspace.com/sikitikis
http://www.facebook.com/pages/Sikitikis/50730244731
Video “Voglio dormire con te” prodotto da Shibuya:
Per il resoconto del concerto di Neeva al Fabrik del 19 febbraio clicca QUI.
Per il resoconto del concerto dei Takoma al Fabrik del 19 febbraio clicca QUI.
Per il resoconto del concerto di Signorafranca al Fabrik del 19 febbraio clicca QUI.
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