“The last of England” di Derek Jarman – recensione di Alessandro Morera

Ciò che resta dell’Inghilterra – The last of England 
Derek Jarman, pittore, giardiniere, scenografo, film-maker, scrittore, attivista punk, gay e anti-tacheriano, realizza nel 1987 Ciò che resta dell’Inghilterra – The Last of England, editata in Italia nella sua duplice versione di libro-diario e di film (in dvd) grazie alla Alet edizioni nel 2007.

Il titolo dell’opera di Jarman proviene da un quadro composto dal pittore preraffellita Ford Madox Brown nel 1855, un quadro la cui composizione era ispirata all’emigrazione Inglese dell’epoca verso l’Australia, mentre Jarman, come si evince attraverso il suo libro-diario composto durante la lavorazione del film, si ispirò direttamente alla sua esperienza formativa, partendo dalla sua opera di regista e pittore, mescolata agli anni della sua infanzia (anni dai quali provengono molti dei materiali in super 8 mixati e montati nel video-film), passando per gli anni giovanili quando visse a New York nel pieno periodo dell’affermarsi della pop-art, fino all’epoca in cui stava elaborando The Last of england, un video-film dove vi sono
altresì integrati altri suoi cortometraggi come Imaging october dedicato a Eiseinstein, un video-film che risulta, in fine, essere uno sguardo lucido e acuto sulla crisi dell’Inghilterra contemporanea e sulla fine di un’epoca, uno sguardo lucido che rileva le strutture più profonde e ipocrite dell’epoca sociale degli anni 80 (l’affermarsi dell’edonismo reganiano e del tacherismo in campo politico, con il predominio dell’ultra liberismo economico a scapito dello stato sociale con conseguente suo smantellamento; il restringimento sempre più soffocante delle libertà individuali e collettive, unite a un sempre più opprimente concetto di moralità pubblica), attraverso uno stile unico la cui
forma prevalentemente percettiva predomina sulla sostanza del narrato: uno stile unico quello di Jarman, tanto personale quanto universale, uno stile la cui forma visiva, congiuntamente al ritmo del montaggio e alla plasticità delle immagini, colpisce direttamente lo spettatore attraverso i sensi, piuttosto che con la struttura narrativa o con la costruzione semantico-intellettuale dell’opera.

Nel diario, oltre ai ricordi dell’autore, spicca la sua sagacia, nonché un sottile humor nero che l’autore ricalca su se stesso e le sue disgrazie, come quando l’infermiera a cui si rivolse per il test sull’AIDS gli annunciò mestamente la sua condizione di seriopositivo: era il 22 dicembre del 1986 e Jarman annotò sul diario il suo atteggiamento, che fu quello di consolare l’infermiera, dicendole di non preoccuparsi
poiché “non aveva mai amato il Natale”, arrivando a benedire la possibilità di conoscere in anticipo i tempi della sua morte, avvenuta il 19 febbraio del 1994 a Dungeness nel Kent, nei pressi della centrale nucleare dove si era ritirato negli ultimi anni della sua vita e aveva costruito il suo cottage con un enorme giardino di ciottoli e fiori intorno.

Tanto nel libro-diario quanto nel film emergono le sue principali occupazioni ‘professionali’ quali la pittura e il giardinaggio (come fu evidenziato nella splendida mostra che la Barbican Art Gallery gli dedicò dal maggio all’agosto del 1996 a Londra e da cui fu tratto il libro inedito in Italia A Portrait: Derek Jarman – Artist, Filmaker, Designer), oltre che la passione per la musica (Jarman fu tra i primi a rivoluzionare il mondo dei video musicali con il bellissimo video degli Smiths nel 1986 The Queen is dead, a cui ne seguirono altri, tra cui alcuni video per i Pet Shop Boys, Marc Almond, Marianna Faithfull ecc.) e l’immenso amore per il suo nume tutelare, ovvero Pier Paolo Pasolini.

Un Jarman che, come lo stesso Pasolini, dona tutto se stesso attraverso la forma diario, un Jarman artista totale e assoluto, capace di far convergere diversi linguaggi (dalla scrittura, al super 8, passando attraverso ritagli di giornale, pellicola e video) in un’unica strepitosa forma linguistica (sia essa quella del diario intimistico che quella del film che lo accompagna): una forma, come dimostra anche il video-film, assolutamente priva di una vera e propria struttura classicamente intesa, una forma esplosiva dove l’unità della composizione proviene direttamente
dal materiale umano dell’autore e dove l’omogeneità del ritmo visivo (o della relativa scrittura) è direttamente simbiotica alla sua esperienza di realizzatore di video musicali (oltre ai già citati va ricordato che Jarman girò uno dei primi video live dei Sex Pistols), d’altronde è lo stesso autore a riportare nel suo libro-diario tale riflessione: “Nell’ultimo decennio, il video musicale è l’unico ambito nel quale il linguaggio cinematografico si è evoluto”.

In qualsiasi ambito creativo, Jarman ha manifestato un’arte libera espressione di un’individualità energica e vitale, un’arte non omologata ai canoni standard dell’art-business-shop, un’arte rivolta a tutti coloro che hanno voglia di leggere (e vedere) qualcosa di completamente diverso da ciò che gli schermi (e le librerie) italiane propongono continuamente seguendo solamente i dettami di un mercato standardizzato che nulla ha a che fare con le opere d’arte e la cultura che da esse scaturisce.

 

Written by Alessandro Morera


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