Intervista di Alessia Mocci a Federica Iezzi ed al suo "Mam nonga Afrique"
“Non tutte le letture hanno valore etico e sociale.” Federica Iezzi l’ha dimostrato con il suo libro “Mam nonga Afrique” edito presso la casa editrice Onirica Edizioni. Il racconto di un’esperienza lontana dieci anni, un viaggio che si è addentrato a fondo nell’anima dell’autrice.
Dopo dieci anni ecco il resoconto/diario di viaggio di una studentessa di medicina, la scelta di partire per il Burkina Faso, la consapevolezza delle difficoltà e la grande scoperta di un amore universale e di un bisogno reale di aiuti, sorrisi ed abbracci. Di seguito alcune risposte dell’autrice riguardo il libro e le presentazioni.
A.M.: “Mam nonga Afrique” è un libro davvero toccante. Com’è nata l’idea della pubblicazione di questo diario di viaggio?
Federica Iezzi: Quello che oggi chiamo “libro” è un sottile scorcio di emozioni, sensazioni, gesti, perplessità, vissute in una terra lontana, nel tempo e nello spazio, dalle abitudini, dalla prosperità, dall’indifferenza, che incuranti incontriamo nella stanca ed inaffidabile quotidianità. Un piccolo raggio di esempio di bontà di un popolo indifeso. In contrasto con la perfidia combattuta con la meschinità, condizione in cui l’uomo sembra obbligato a sottostare.
A.M.: Quanto tempo è trascorso dal viaggio alla pubblicazione?
Federica Iezzi: Sono partita per il Burkina Faso nell’estate del 2000, avevo appena finito il mio primo anno di Medicina all’Università.Il quaderno dove annotavo le percezioni di un mondo bruciante e tenero è sempre rimasto nascosto in una scatola. Al riparo dal resto della mia vita. Con violenza ho sotterrato l’amore profondo per quella terra, per quella gente, per quei colori, per quei profumi. E poi è bastato graffiare in superficie e riscoprire che la mia Africa mi aveva accompagnata per tutti questi dieci anni.
A.M.: Pensi che il fattore tempo sia stato determinante nella tua scelta di pubblicazione?
Federica Iezzi: Non è stata una scelta. Il tempo aiuta a congelare le emozioni, a plasmare i ricordi, ad esaminare l’operato. Centellinare la bellezza della maestosa natura, la soavità degli sguardi dei bambini, l’armonia fra religioni, la durezza dei lavori più umili mi ha pervaso lo spirito. Condividere un lampo sottile, con parole scritte su un foglio di carta, è stato solo il passo finale.
A.M.: Potendo tornare indietro rifaresti la scelta dell’Africa come luogo per il tuo bisogno di volontariato?
Federica Iezzi: Senza alcun dubbio. L’Africa è capace di guarire ferite profonde del corpo e dell’anima. Senza dimenticare che il concetto di “volontarietà” di un atto si può concretizzare anche sotto i nostri lussuosi palazzi.
A.M.: Nelle pagine di “Mam nonga Afrique” si scorge anche una terribile malattia che hai contratto. Ne vuoi parlare?
Federica Iezzi: La malaria. In effetti nei paesi ricchi, oggi si studia nel modulo di “Medicina tropicale” del corso di Laurea in Medicina e Chirurgia. E’ annoverata tra quelle malattie dalle complicanze critiche, senza pensare che fino agli anni venti anche nelle paludi pontine, i nostri bambini si ammalavano di malaria. Io in Africa non ho avuto paura nemmeno per un istante della mia febbre, del mio mal di testa e di quella fredda diagnosi. Ho avuto paura, quando mi sono ammalata in Italia, al mio ritorno, rimbalzata da un medico all’altro, nei nostri sontuosi ospedali impreparati.
A.M.: Qual è il ricordo più vivo che la tua mente riporta fuori della tua esperienza?
Federica Iezzi: Il calore di un popolo che ti vuole bene. Una terra arida e povera che ti abbraccia.
A.M.: Che cosa ti ha sconvolto maggiormente della tua avventura?
Federica Iezzi: La presenza di ospedali “occidentalizzati”, che non curano se non hai soldi. L’Africa non è così, la gente d’Africa non è quella che lavora in questi posti. L’aver trasformato la nobiltà di gente genuina in sistemi meccanizzati e disinteressati. Mi ricordo di una giovane donna con una voluminosa ernia inguinale, che era stata buttata fuori dall’ospedale perché non poteva pagare 30.000 franchi per l’intervento. Così si era rivolta al nostro dispensario medico-chirurgico (è il luogo dove ho lavorato, è paragonabile ai nostri reparti di pronto soccorso).
A.M.: Com’è stata la presentazione del 19 Giugno 2010 a Milano?
Federica Iezzi: E’ stata in assoluto la mia prima presentazione. Una giornata di pioggia. Non mi aspettavo di trovare tanto calore e tante persone attente alle mie parole. Ho raccontato i miei giorni ad Ouagadougou e nei villaggi del Burkina Faso osservando con serenità i volti di chi mi ascoltava. Contenta di aver lasciato un pezzo di me in quella libreria, in quella città, in quell’aria fresca.
A.M.: Il 17 Luglio 2010 a Bucchianico ci sarà la prossima presentazione del libro. Che cosa ti aspetti dalla serata?
Federica Iezzi: Bucchianico è il mio paese, ci ho vissuto fino a cinque anni fa, prima di trasferirmi a Roma per seguire la mia cardiochirurgia. Mi aspetto di ritrovare le vecchie signore sedute per le piccole vie del centro, la gente che si saluta mentre si va a fare la spesa o mentre si va in farmacia o mentre si va dal medico per una ricetta. Siamo come una sorta di mirabile famiglia, ci si aiuta ancora nei momenti difficili, si sorride ancora insieme, ci si racconta dove la vita ci ha portato
– Intervista di luglio 2010.
La foto “Tramonto a Sieké” è del fotografo Mariano Casti:
Facebook de “Mam nonga Afrique”:
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